Dalla preghiera di Gesù il dono del Paraclito

17 maggio 2020

LETTURE: At 8,58.14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21

La prima lettura tratta di una delle prime iniziative di “missione”, anche se, più che un progetto pastorale, è un felice risultato occasionale. Infatti At 8,1-4 informano che a causa di una persecuzione i fedeli di Gerusalemme – e tra questi Filippo – furono dispersi e così, andando di luogo in luogo, annunciavano la Parola.

L’invito omiletico è di far emergere le sequenze del processo di iniziazione: la predicazione della parola accolta con fede, il battesimo, il dono dello Spirito. In questo senso i vv. 15-17 conclusivi attraggono i precedenti, in quanto la predicazione, l’ascolto, le guarigioni e la gioia (vv. 5-8) sono presenza dello Spirito che opera per condurre al dono sacramentale.

Nella seconda lettura il titolo si concentra su: «Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito». Per il Gesù secondo la carne e glorificato nello Spirito, cf Rm 1,1-4.

Il cenno al Cristo sofferente e glorioso è funzionale alla condotta dei cristiani, per i quali «è meglio soffrire operando il bene che facendo il male» (v. 17). Il v. 15 con il «sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» è diventato una fondazione dell’apologetica cristiana. In realtà la parola “apologia” – sempre pronti alla “risposta” – ricorre in altri testi che riguardano un discorso (At 22,1; 25,16; 1Cor 9,3; 2Cor 7,11; Fil 1,7.16; 2Tm 4,16), mentre qui la risposta riguarda la speranza e si concretizza nell’imitazione di Cristo e nella «dolcezza e rispetto» (v. 16), dunque in un agire “pasquale”. Scontata l’attualizzazione: senza questa prima apologetica, le restanti apologetiche, per quanto doverose e per quanto esatte, risulteranno inefficaci.

«Pregherò il Padre e vi darà un altro Paraclito»: il titolo del vangelo è centrato sulla promessa dello Spirito Santo che seguirà la glorificazione di Gesù, rimanendo «con voi per sempre» (v. 15), naturalmente senza sostituirsi a Gesù Cristo.

Poiché viviamo cronologicamente dopo – e molto dopo! – il tempo del vangelo, nell’omelia sarà suggestivo leggere il vangelo come la descrizione di quanto è ormai avvenuto e in cui siamo inseriti. Dovremmo osservare i comandamenti per vivere ed esprimere l’amore (vv. 15.21); Cristo è di nuovo fra noi e attraverso la fede lo conosciamo con una esperienza talmente viva che può esprimersi con il vocabolario della visione (la “teoria” del v. 19); il Paraclito – avvocato, confortatore, testimone – è stato dato alla Chiesa e ad ognuno nel sacramento della confermazione; ancora oggi la Chiesa, come Cristo (v. 16) e gli apostoli (v. 15 prima lettura) prega perché il Padre per Cristo mandi lo Spirito e ciò soprattutto nella epiclesi eucaristica.

Come sempre, non è opportuno evitare l’attualizzazione anche del negativo per non urtare noi stessi e i nostri contemporanei. E allora l’influsso di demoni impuri vale solo per il tempo di Filippo o anche oggi nelle nostre parti c’è qualcosa di simile? Quelli che «malignano sulla vostra buona condotta» esistevano solo ai tempi di san Pietro o rivivono oggi in molte offensive mediatiche ai cristiani, alla Chiesa, a Gesù Cristo? Tanta bellezza patinata, tanti discorsi e profondità di analisi e di cultura sono veramente una ricchezza e un fascino o derivano da un mondo che «non può ricevere lo Spirito perché non lo vede e non lo conosce»?

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