IL CARISMA DEI FRATI PREDICATORI E LA SPIRITUALITA’ DOMENICANA
La definizione più bella e riuscita del carisma dell’Ordine dei Predicatori è probabilmente quella che ne dà un suo illustrissimo frate, Tommaso d’Aquino, santo e Dottore della Chiesa, nella sua opera più conosciuta, la Summa theologiae (II-II, q. 188, a. 6).

LA CONTEMPLAZIONE DOMENICANA
Le caratteristiche della preghiera domenicana
SILENZIO
Non è pensabile un Ordine domenicano e il suo clima contemplativo senza il silenzio.

Per comprendere la preghiera domenicana occorre risalire agli inizi, da ciò che Domenico e i suoi primi compagni (fratelli) hanno vissuto e hanno travasato sul DNA dell’Ordine. È indubbio che la preghiera domenicana è nata in ambiente monastico, tra l’ambiente cistercense e quello canonicale riformato, che san Domenico e il suo Vescovo Diego avevano entrambi conosciuto e praticato. La preghiera domenicana si è modificata rispetto a quella monastica e canonicale, per dare spazio anche allo studio e alla missione. Tuttavia un certo clima è rimasto, il clima di silenzio. Non è pensabile un Ordine domenicano e il suo clima contemplativo senza il silenzio. Tutta la vita conventuale domenicana deve essere immersa nel silenzio, facendo attenzione certo al pericolo che ognuno si chiuda nel proprio mondo, ma esso costituisce l’humus sul quale è nata e sviluppata la vita del nostro Ordine, sia dei frati che delle monache. Anche i laici partecipano coi frati e le monache a questo clima, secondo le loro condizioni familiari, se sposati o consacrati alla verginità e all’ascetismo nelle loro case. I nostri conventi nacquero in questo clima, con questa caratteristica. Tuttora ciò che emerge nell’immaginario collettivo sui conventi è il silenzio, la serenità, la pace del luogo.
Nei nostri ultimi tempi si è accentuata, giustamente, la relazione, anche nei conventi, e molto si è scritto sulla di essa, del resto così fondamentale nella vita comunitaria e cristiana. Tuttavia corriamo il rischio di cadere sotto la terribile legge del pendolo, per cui si va da un estremo all’altro, difficile rimanere nel mezzo, nell’equilibrio, se non di passaggio veloce. Dobbiamo tendere invece a questo equilibrio per favorire, oltre la relazione, anche il silenzio, in ordine sia allo studio che alla preghiera, anche personale. Silenzio esteriore per arrivare poi a quello interiore, fino al punto che il silenzio interiore possa sussistere anche in un ambiente di strada. Fino ad essere contemplativi sulla strada.

LA PREGHIERA CONTINUA E PERSONALE
La preghiera continua, comunitaria e personale, deve permeare tutto il nostro vivere.
La seconda esigenza della (nostra) contemplazione è il tendere alla preghiera continua, costituita dalla preghiera liturgica, che scandisce la nostra giornata, alla quale però deve aggiungersi la preghiera personale,anche detta segreta. Se non si tende ad una preghiera continua, non si può parlare di contemplazione. Ricordo uno dei detti dei Padri del deserto: un giorno una comunità monastica nascente scrisse ad un anziano monaco per chiedere il suo parere sul loro ritmo di preghiera: noi preghiamo in questa ora, in questa ora, in questa ora, elencando tutti i momenti quotidiani della loro preghiera. L’anziano rispose con un breve biglietto: “e nelle altre ore non pregate?”. La contemplazione esige la preghiera continua o, se vogliamo, tutto deve essere vissuto in clima di preghiera. A ben pensarci, i frati vivevano, secondo la regola, tutte le loro attività comunitarie in clima di preghiera, dai pasti, agli incontri comunitari, alle elezioni comunitarie, alle stesse ricreazioni che un tempo si aprivano con una breve giaculatoria, agli spostamenti da un luogo all’altro del convento, e anche per strada: quando i nostri frati andavano a piedi da un convento all’altro erano per lo più in silenzio pregando e cantando. Gli antichi monaci pregavano anche quando lavoravano manualmente, rimuginando dentro di sé un versetto della Scrittura, e questo manteneva il clima della preghiera, per poter attuare il comando di Gesù di pregare sempre senza stancarsi. La preghiera, anche liturgica, per non essere superficiale e abitudinaria, ha bisogno di un sottofondo continuo, come non si ama ad orario, così non si prega ad orario. La preghiera come l’amore non si improvvisa. In forza di questa preghiera continua quando la comunità si riunisce in preghiera tutto il convento entra in clima di preghiera e di silenzio, anche chi non ha la possibilità materiale di essere presente in coro. Penso anche al clima di preghiera quando si prendono i pasti comunitari; il nostro mangiare deve avvenire in un clima di preghiera, con un pensiero di gratitudine al Signore anche per i nostri benefattori e amici.
LO STUDIO
Lo studio da intendersi in senso ampio: non solo filosofico e teologico, ma anche accostamento alla Parola di Dio, la lectio divina

Ora che la nostra preghiera quotidiana è ridotta a livello di quella dei laici, essa appare effettivamente un po’ povera rispetto al nostro carisma. La preghiera liturgica fa parte infatti della nostra missione, non meno della predicazione e dello studio e dovrebbe essere fatta con meno preoccupazione di fare in fretta. Occorre tuttavia lo studio, che spesso rischia di essere negletto alla pari della preghiera, sospinti dalle necessità pastorali e dalle molte attività. Preghiera e studio sono tra i quattro mezzi fondamentali in ordine alla nostra missione, insieme alla vita comunitaria e all’osservanza della regola. Lo studio per noi è da intendersi in senso ampio, non solo come studio filosofico e teologico, ma anche accostamento in modo orante alla Parola di Dio, alla sua ruminazione (lectio divina). San Domenico può essere considerato ancora un esemplare della lectio divina, espressa in quella significativa immagine del beato Angelico che ritrae Domenico raccolto in preghiera, seduto, con un libro sulle ginocchia. Anche le monache e i laici devono avere questo studio, non solo i frati, i quali necessariamente devono studiare per prepararsi alla predicazione a tutti i ceti dei fedeli e ai non credenti. Ma sarebbe poco, anche per i frati, studiare teologia, senza la serena e feconda lectio divina.
Un altro aspetto che caratterizza la contemplazione domenicana è lo studio, perché la nostra contemplazione, oltre che costituire il fine a cui tutti dobbiamo arrivare, per noi domenicani ha un’altra connotazione che le deriva dalla finalità apostolica del nostro carisma che è la predicazione del Vangelo. La predicazione è così importante, da qualificare anche il ritmo della giornata e lo stesso ritmo della preghiera. Il noto breviter et succinte che accompagna la nostra preghiera liturgica, da noi ha il senso di non prolungare talmente la preghiera comunitaria da dare poco spazio alla preghiera personale e allo studio, in vista della nostra missione che comprende la predicazione del Vangelo, ma anche l’insegnamento, la direzione spirituale e la celebrazione del sacramento della penitenza. Da questo intento apostolico era dettata la norma prevista dalle Costituzioni primitive, della dispensa dal coro, per alcuni, in determinate circostanze. Ma la riduzione del tempo di preghiera nella riforma della Liturgia delle Ore operata dopo il Vaticano II, per adattarla al ritmo di vita dei laici e dei chierici in cura d’anime, ha fatto decadere la normativa della dispensa dal coro (vedi la lettera di promulgazione delle nuove Costituzioni, del P. Aniceto Fernández, Maestro dell’Ordine).

LA VITA COMUNITARIA
Non dei contemplativi, ma comunità contemplative.
Ultimo elemento della contemplazione domenicana è il suo aspetto comunitario. Noi dobbiamo essere non semplicemente dei contemplativi ma delle comunità contemplative, da intendere non in senso monastico, ma in senso domenicano: contempliamo e comunichiamo agli altri ciò che abbiamo contemplato e, aggiungerei, vissuto. Questo intento non è anzitutto dei singoli ma delle comunità. Il carisma domenicano è dell’Ordine non dei singoli. Non giova al nostro carisma lasciare ai singoli l’attuare questo programma di vita, se non diventiamo una comunità che si fa preghiera, studio, predicazione, che si fa ascetica, povera, che attua la Regola. Potremmo parafrasare il titolo di un libretto sulla preghiera di sant’Alfonso de’ Liguori “Del gran mezzo della preghiera”, dicendo: “Del gran mezzo della comunità”. Dopo il Concilio sognavamo delle piccole comunità, ubicate anche in appartamenti, per essere di lievito in mezzo alla gente. Ma senza spazi di silenzio, studio e preghiera, si correva il rischio di essere dei buoni laici, o anche buoni monaci di città, o dei buoni preti operai, ma non domenicani. Perché sono le comunità ad essere domenicane, e noi in proporzione del nostro partecipare e vivere il suo crisma. Il nostro carisma è eminentemente comunitario, come la preghiera liturgica, santa messa compresa.
Uno non fa liturgia come vuole, altrimenti tutto è lecito: togliere, aggiungere, vesti moderne, vesti antiche, rito ordinario, rito straordinario. Da noi la liturgia è della comunità, anzi dell’Ordine. Con la Professione diventiamo partecipi del carisma dell’Ordine, impegnandoci a vivere secondo questo carisma. Facciamo professione nelle mani del Maestro dell’Ordine, rappresentante del carisma dell’Ordine. Detto questo, è chiaro che devono essere le comunità a darsi una struttura contemplativa, senza lasciare tutto ai singoli. I quali singoli, se vivono praticamente isolati, fuori dalla comunità, per scelte loro, ritengo non possano dirsi pienamente domenicani, anche se si ispirano al carisma domenicano. È chiaro che gli elementi della contemplazione domenicana (come la stessa predicazione) non sono solamente dell’Ordine, ma appartengono alla Chiesa. L’Ordine ne è un “segno” (vedi il documento dell’attuale Maestro dell’Ordine Bruno Cadoré sulla predicazione domenicana e i laici, 22 dicembre 2013).