L’essere scelti e scegliere, soggetti passivi ed attivi dello stesso atto. Non avviene sovente nella quotidianità di essere scelti, è più frequente invero l’atto del scegliere, con maggiori o minori difficoltà, per questioni più o meno rilevanti, ma si sceglie. Tali scelte tuttavia, almeno per la maggioranza dei casi, rispondono a bisogni materiali; ma quando si percepisce nel profondo che noi siamo parte di un progetto soprannaturale, divino, e quando per la sua attuazione concreta scopriamo anche di essere chiamati per attuarlo, nella chiesa, consacrandosi, è ancora veritiera l’affermazione per cui possiamo definirci soggetti attivi della scelta? “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. Qui risiede la risposta, questo estratto del vangelo di Giovanni (15,16) è la dimostrazione dell’amore preveniente, dell’incommensurabile amicizia di Gesù verso i suoi discepoli. È la dimostrazione del fatto che è stato Lui, innanzitutto, a scegliere e non loro a scegliere lui. Credo che questo versetto costituisca la frase emblematica del percorso che noi giovani aspiranti abbiamo da pochi giorni concluso e dei prossimi che ci apprestiamo ad iniziare. Tutto è stato orientato non certo nel valutare la scelta che avremmo potuto o meno compiere, quanto invece nell’analisi approfondita della consapevolezza che all’origine della chiamata vi fosse proprio Lui, Gesù. Lo scoprire cioè che in Lui è da ravvisarsi la fonte e, ancora, che è Lui che in ogni cosa ha avuto l’iniziativa. Dunque, il nostro ruolo non è propriamente quello di scegliere. Noi, così infinitamente piccoli dinnanzi alla maestosità divina non possiamo fare altro che essere consapevoli della chiamata, riducendo al minimo ogni nostro margine di scelta. Se veramente dunque la maturazione in noi di questa consapevolezza si fa sempre più viva e zampillante ecco che allora non resta che dire sì, oppure no, nel caso contrario. Ma tutto si traduce in questo, non esistono posizioni intermedie e incerte, come “sì, ma a certe condizioni”, oppure “Forse”. No, una volta che quella consapevolezza di essere scelti diviene in noi sempre più marcata, ci pervade, non resta che abbandonarsi. Ecco, questa è l’unica “scelta” che ci è concessa, abbandonare la nostra vita per rinascere tra le braccia del Padre oppure continuare nella quotidianità la propria esistenza precedente senza “morire” per rigenerarsi in Cristo. “La rigenerazione infatti, come emerge dalla parola stessa, è l’inizio di una seconda vita. Perciò prima di iniziare una seconda vita, bisogna porre fine alla prima” (San Basilio Magno, Su lo Spirito Santo). Noi aspiranti abbiamo deciso di dire il nostro “sì” e di proseguire quindi alla volta del prenoviziato, un periodo di ulteriore approfondimento spirituale, concreto, in cui alla ricerca interiore si affiancherà anche un approccio diretto con la vita comunitaria.
Si tratta in fondo di una ricerca solo in apparenza astratta ma nella realtà dei fatti estremamente introspettiva e spirituale che deve tuttavia fondarsi su di un denominatore comune fondamentale: la libertà. Se l’uomo si sente libero può scegliere. Gesù non obbliga, lascia a noi la possibilità di scegliere, di abbracciare la sua proposta o meno, di seguirlo oppure no, di lasciarci guidare da Lui oppure no, ma a chi decide di stare con Lui, di amarlo e seguirlo, chiede tutto. Ancorché oggi prolifichi, non c’è spazio per il cattolicesimo annacquato; Gesù stesso è molto chiaro, parla senza mezzi termini: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34-35; Mt 16, 24-25). Da ciò emerge dunque che non è possibile non accettare Gesù così com’è, se Lui ha scelto la via della croce, chi si pone alla Sua sequela deve passare per la stessa via.
Certo è che oggi, vedere dei giovani desiderosi di consacrarsi totalmente a Cristo divenendo sui discepoli potrebbe apparire quanto meno sui generis, del resto, perché rinunciare alla “vita del mondo”, con tutti gli sfarzi, i piaceri e le mode che essa offre? Oggi si è alla ricerca continua di qualcosa che soddisfi, che esalti, che innalzi, senza considerare tuttavia che il tutto si traduce in un affamato inseguimento alla volta di una meta inesistente che, sebbene appaia sempre più nitida all’orizzonte, una volta prossima, scompare, ricomparendo più avanti, divenendo di fatto, irraggiungibile. Prima di tutto questo però, come più volte spiega Gesù nei Vangeli, l’uomo ha bisogno di amare, è fatto per amare, ma al contempo necessita di amore. Ebbene, cosa può inebriare più dell’Amore di Cristo, il nostro, talvolta così misero, nei Suoi confronti ed il Suo, incommensurabile ed infinito, verso di noi, poveri uomini. Ecco la vera motivazione, ecco il desiderio di donarsi a Cristo, abbandonandosi nelle sue amorevoli braccia; la volontà dunque, per dirla come santa Caterina da Siena, di “fare come l’ubriacone, che non pensa a sé stesso, ma solo al vino che ha bevuto e a quello che gli rimane da bere”. Inebriarsi alla fonte viva di quell’amore che solo Cristo può donare, questa è la pienezza che costituisce la vera ragione per cui chi è chiamato desidera rinunciare alle “cose” del mondo, con un unico obiettivo primario, fare la volontà del Signore.
Personalmente, ciò che sin dall’inizio mi ha spinto ad approfondire la mia chiamata sentendomi attratto, in particolare, dall’ordine di San Domenico è stata proprio l’immagine quanto mai singolare del “bere” e il compito ad essa riconducibile. È indubbio che uno dei cardini del carisma domenicano sia proprio la predicazione ed è proprio qui che l’idea dell’ubriacarsi e far ubriacare viene in rilievo, ovvero nella grandiosa possibilità di predicare non solo una serie di Verità su Dio ma anche un “vino” buono e nuovo, che i frati prima di tutto hanno assaggiato e bevuto. I domenicani sono inebriati dell’amore di Cristo, fonte viva e zampillante, attingono da questa sorgente e indicano il percorso affinché più anime possibili divengano desiderose di questa “bevanda” e trovino la strada per raggiungerla ed abbeverarsi, in modo da divenire a loro volta ebbri della Parola predicata. Credo infatti che questa sia uno dei corollari principali della missione centrale dell’ordine dei domenicani, ossia, la salvezza delle anime.
Durante il percorso di aspirantato abbiamo avuto modo di sperimentare due lati della medesima medaglia: materiale e spirituale. Ci è stato invero concesso di trascorrere alcuni giorni nei vari conventi della Provincia, in modo da toccare con mano la vita conventuale e le sue dinamiche, ma abbiamo anche potuto iniziare ad assaporare e gustare la bontà incomparabile di quel vino nuovo e intriso di amore, il cuore della spiritualità domenicana, auspicando che il Signore ci aiuti sempre più, aprendoci il cuore e la mente, per essere ogni giorno più piccoli, umili e semplici, abbandonandoci per Lui per abbandonarci in Lui.