Desiderare ciò che si ha già è ridicolo? Neanche un po’. Non avete mai letto Uomovivo (Manalive) di Chesterton? Peccato. Vi è raccontata una interessantissima vicenda di cui non vi voglio svelare il finale. Quello che voglio dire è che in quel libro si spiega con estrema chiarezza la serietà della domanda posta dal titolo qui sopra. Con la sua solita arguzia, il letterato cattolico inglese del secolo scorso contrappone un uomo insolito, accusato di mille cose, al nichilismo, dotato della sua bella patina di normalità. La tesi del trasognato romanzo è che vive solo chi ama la vita. Lo stesso scrittore che ha detto “Un giorno combatteremo per dimostrare che le foglie sono verdi“, manifesta in questo racconto tutta la sua meraviglia per il fatto che Dio le foglie le abbia fatte proprio verdi, non tanto, questa volta, perché, forse, le avrebbe potute fare di un altro colore, ma perché, fondamentalmente, è meraviglioso che siano così. È meraviglioso il particolare nella sua particolarità, ed è stupefacente l’essere nella sua non scontatezza, che ci sorprende sempre.

Un altro scrittore, cattolico, naturalizzato turco, di qualche secolo prima ebbe a dire: “Noi amiamo perché egli (Dio) ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi” (1Gv 4,16). E un altro disse: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Se Dio ci ama, che cosa ci manca? Se abbiamo l’amore di Dio, che altro dovremmo cercare di conquistare? Per questo, non è affatto ridicolo desiderare ciò che si ha già. Noi desideriamo ciò che abbiamo, muoiamo dalla voglia di essere abbracciati da colui senza il cui abbraccio noi non esisteremmo neppure. Parliamo con lui, gli confidiamo le tristezze che abitano la nostra felicità, perché lui capovolga, con delicatezza, tutto questo: “altrove, qua e là, / in un altro luogo e ovunque / felicità nell’infelicità / come parentesi dentro parentesi, / e così sia” (Wisława Szymborska). Non chiediamo quindi altro da quello che abbiamo, ma al contrario: “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto abbiamo chiesto” (1Gv 5,14-15).

Ma è un altro cattolico eccellente ad aver dato la prova sovrana e risolutiva che desiderare ciò che si ha non è ridicolo; tutt’altro. Ora, a meno di negare che il Padre sia Dio (cosa che spero non avvenga, almeno tra i frati), il sillogismo è chiaro: tu dici: “Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11,20) e poi, nonostante questo, ci comandi: “Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno” (Lc 11,2). Perché ci insegni a chiedere ciò che ci riveli essere con noi? Il teologo da strapazzo qui postulerebbe una presenza a intermittenza; il credente sa invece che “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Casomai, è il caso che non vediamo ciò che c’è: “Allora desidererete vedere uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” (Lc 17,22). Il suo giorno infatti non tramonta mai, perché “in lui non c’è tenebra alcuna” (1Gv 1,5). Non è buio: se non vediamo i colori intorno a noi è perché abbiamo perso la gioia di desiderarli e chiederli ancora: “Chi spegne il giorno conosce bene il sole, / Chi spegne il giorno colora i nostri sogni” (Bepi De Marzi).

Non stanchiamoci quindi di desiderare, di vivere di desiderio, di bruciare di sogni, di osare chiedere ciò di cui confidiamo di non essere privi, perché è bello che non tutto sia a pagamento, non tutto sia strumentale e utilitaristico, affannato, agonistico e sottoposto al giudizio di efficienza. Dio non è così, Dio non ha paura di perdere, per questo dà con generosità: “non cerca le cose sue” (cfr. 1Cor 13,5). Dio gode nel fare il bene, e gradisce con soddisfazione le nostre inutili richieste: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il regno” (Lc 12,32).

fra Stefano Prina