6 giugno 2021

Mangiare il suo corpo, bere il suo sangue

LETTURE: Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26

La Solennità del Corpus Domini è un momento privilegiato per recuperare il senso della donazione del Signore per la nostra salvezza e il valore inestimabile del sacramento dell’Eucaristia che è memoriale di quella singolare dedizione, segno efficace della grazia che ne deriva e anticipazione della gloria ch’essa dischiude. Per celebrare l’odierna solennità, la Liturgia della Parola propone – come prima lettura – il racconto fondamentale tratto dal Libro dell’Esodo che narra l’alleanza tra il Signore e gli Israeliti, mediata da Mosè e siglata con il sangue dei sacrifici di comunione. Il passo della lettera agli Ebrei riprende l’immagine del sangue dei capri e degli agnelli per proporne il compimento nel sangue di Cristo, per mostrare come in Lui viene a realizzarsi quanto promesso e anticipato in figura nell’Antico Testamento. La pericope del Vangelo secondo Marco narra la Cena del Signore, consumata prima del momento apicale della sua storia di obbedienza al Padre e di dedizione ai fratelli.

Il Dio che parla a Mosè dal roveto ardente (Es 3,14), il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non è un despota che richiede adorazione in cambio della tutela della vita dei sudditi, non usa la sua onnipotenza per dominare attraverso la paura il popolo. JHWH è invece “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6) che offre agli Israeliti – di cui ha ascoltato il grido, liberandoli dai gravami dell’Egitto – la possibilità di stringere con Lui un’alleanza. Attraverso questo patto, che ha tutta la serietà del sangue (simbolo della vita) con cui viene siglato, gli Israeliti divengono il “Popolo di Dio”, riconoscono Colui che – attraverso Mosè – li ha liberati dalla condizione di schiavitù come il loro Signore, l’unico cui appartenere e a cui obbedire. L’alleanza con JHWH è così condizione di libertà, per il Popolo, a fronte delle pretese dei regni e delle potenze vicine ed è garanzia di sostegno e di aiuto nel cammino verso la Terra promessa. Ben presto, e proprio attraverso la disobbedienza del popolo, si manifesta la vera struttura dell’alleanza con Dio: non è un patto effettivamente reciproco. E come potrebbe, infatti, la creatura considerarsi alla pari del Creatore per siglare con Lui un patto all’insegna di una pari attribuzione di diritti e doveri che suona impossibile in radice? Se così si può dire, la divinità di JHWH si manifesta – sullo sfondo della sua onnipotente misericordia – come la precisa volontà di formarsi un popolo attraverso un’alleanza costitutivamente asimmetrica. È infatti il Signore che rende possibile la risposta fedele del popolo e, nel ricorrente caso dell’infedeltà, è pronto a custodire l’alleanza grazie al perdono. Si tratta quindi di una reciprocità donata, che è forma adeguata per l’ingresso dell’assoluto nella storia al fine di tessere un’alleanza con alcune delle creature capaci di relazione interpersonale, chiamate ad una particolare relazione di appartenenza a Lui.

Nei versetti tratti dal Vangelo secondo Marco vi è il racconto della Cena del Signore, in cui alla ricerca da parte dei discepoli del luogo in cui è stata preparata al Signore la sala per festeggiare la Pasqua secondo l’uso degli Ebrei, segue il racconto di quanto fece il Signore. Nei termini della tradizione ecclesiale, quella normale cena pasquale – che Gesù aveva visto celebrare più volte nel corso della sua vita – diventa il momento in cui viene istituita l’eucaristia, nel quale, cioè, il Signore associa il pane (questo è il mio corpo) e il vino (questo è il sangue dell’alleanza) alla sua morte sulla croce che sarebbe presto avvenuta, in modo che ogni qualvolta la Chiesa fa ciò che Lui ha fatto nel contesto di quella Cena, i fedeli possono partecipare all’unico sacrificio compiutosi una volta per tutte sulla croce e che viene “ri-presentato” sacramentalmente in ogni celebrazione eucaristica. Nutrendosi del corpo e del sangue del Signore, ogni fedele viene assimilato al Signore stesso per opera dello Spirto Santo. È questo l’unico caso in cui un essere umano che si è nutrito di un cibo non assimila questo a sé, ma viene assimilato al cibo di cui si nutre. Attraverso la partecipazione all’eucaristia, ognuno partecipa della vita offerta da Gesù sulla croce stessa. Per questo il vino viene detto «sangue dell’alleanza, che è versato per molti»: come l’alleanza, mediata da Mosè, viene siglata mediante il simbolo della vita costituito dal sangue dei giovenchi, così l’alleanza definitiva, mediata dallo stesso Figlio di Dio che ha assunto la natura umana, viene siglata attraverso il suo sangue, che è la stessa vita divino-umana, condizione di possibilità della divinizzazione dell’umanità chiamata a salvezza. Nel linguaggio dell’autore della lettera agli Ebrei la ripresa della figura antico-testamentaria viene ripresa con grande precisione e profondità, quando si riconosce nel Cristo il mediatore di un’alleanza nuova: egli, infatti, «entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). 

Nutrendoci del suo corpo e del suo sangue diventiamo “consanguinei” di Cristo e sosteniamo, lungo il cammino della vita, la nostra conformazione al Cristo, per cui già nel battesimo siamo generati dal Padre come figli nel Figlio, e la nostra incorporazione come membra viva del Corpo di Cristo che è la Chiesa. È forse per quest’ultimo e definito significato che san Tommaso d’Aquino, inaugurando le letture per il notturno dell’ufficio per la festa del Corpus Domini, ha scritto: «poiché l’unigenito Figlio di Dio, volendo renderci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fattosi lui uomo, potesse rendere gli uomini dèi».

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