Pubblichiamo di seguito un articolo di p. Marco Salvioli apparso originariamente sul settimanale diocesano di Modena Il nostro tempo. L’immagine di copertina è un dipinto di Evelyn De Morgan del 1887.

Dal tre al sette luglio scorso, si è svolta a Trieste la cinquantesima edizione delle Settimane sociali dei cattolici in Italia intitolata significativamente Al cuore della democrazia. Partecipare tra Storia e Futuro. In un periodo storico caratterizzato dall’irrilevanza politica non tanto dei cattolici, quanto del pensiero ispirato alla Dottrina sociale della Chiesa, questo tempo di ascolto e di dialogo può essere  un’occasione feconda per tessere nuovamente quella “stoffa” di relazioni che costituisce la premessa indispensabile per operare in vista del bene comune. Più che di fantomatici tessitori, i cattolici italiani hanno oggi bisogno di ritrovare una visione condivisa per poter camminare insieme nel rispetto delle differenti sensibilità e della pluralità degli accenti. È in questo senso, a mio avviso, che occorre porsi in ascolto del Successore di Pietro, il cui magistero è orientato al servizio dell’unità del corpo ecclesiale. Il discorso e l’omelia di papa Francesco, tenuti in conclusione della Settimana sociale, dischiudono infatti una visione che porta in sé alcune indicazioni fondamentali da cui procedere per elaborare percorsi condivisi capaci di offrire un contributo non solo “nominalmente” cattolico al consolidamento della società italiana.

Per questo la prima indicazione viene dal Vangelo, il quale sottolinea come Gesù fosse per gli abitanti di Nazaret «motivo di scandalo» (Mc 6,3). Per il Vescovo di Roma questo passo ci ricorda innanzitutto che «abbiamo bisogno dello scandalo della fede. Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere delle nostre strade». Occorre quindi procedere dal mistero dell’Incarnazione, per liberarci dei dualismi che separano e isolano aspetti della vita cristiana che non possono che stare e svilupparsi insieme. Una seconda indicazione, tratta dal discorso per la sessione conclusiva della Settimana sociale, riguarda la ripresa e la valorizzazione del contributo del pensiero cattolico alla maturazione dell’ordinamento democratico: le citazioni del beato Giuseppe Toniolo, di Aldo Moro e di Giorgio La Pira costituiscono un richiamo e un invito a porsi in ascolto di chi ci ha efficacemente preceduto per rispondere creativamente alle sfide del presente ed aprire orizzonti di speranza. È infatti richiamando il pensiero di questi maestri che papa Francesco invita a concepire la democrazia come quell’ordinamento nel quale la cooperazione di tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche nel perseguire il bene comune abbia un effetto positivo sulle fasce più deboli, ad avere ben presente che uno Stato democratico è al servizio dell’uomo e di quelle formazioni sociali nelle quali la dignità e la libertà della persona umana è pienamente rispettata e ad avere il coraggio di pensare la politica come l’arte di “organizzare la speranza” creando occasioni di unità e di dialogo.

La terza indicazione guarda alla ripresa congiunta dei principi di partecipazione, solidarietà e sussidiarietà che caratterizzano la Dottrina sociale della Chiesa. Senza la costituzione di legami tra le persone e senza la valorizzazione di ciascuna persona e di ciascuna comunità in relazione all’intero sociale, non si può pensare di coinvolgere i cittadini all’interno di quel processo partecipativo che è la vita democratica. Le cui patologie, secondo il Vescovo di Roma, sono da individuarsi nella diffusione dell’indifferenza, di un assistenzialismo irrispettoso della dignità delle persone e da una tendenza a sostituire la partecipazione col “parteggiare” confondendo così il dialogo col “fare il tifo”. Quest’ultimo modo di interpretare la democrazia – favorita a mio avviso dal convergere delle strategie dell’industria della comunicazione e dalla migrazione dei centri decisionali dalla politica agli apparati economico-finanziari – rischia di incrementare lo scarto tra la rappresentazione delle proposte e la realtà delle decisioni, moltiplicando così la disaffezione dei cittadini ai processi elettorali che risultano sempre più autoreferenziali. La quarta indicazione è quella di ritrovare «il coraggio di pensarsi come popolo». Lungi dal lasciarsi attrarre dalle retoriche populiste, papa Francesco invita ad avere uno sguardo integrale sulla società, che può essere affermata come tale solo se si comprende che è più della mera somma di individui. Una democrazia che vuole essere tale, ossia “governo del popolo”, non può non avere come soggetto un popolo che guardi al bene comune. È in questo senso che non si può ridurre la comprensione della democrazia ad una serie di procedure formali, fossero anche le elezioni, se vengono a mancare quei valori costitutivi come «la persona, la fraternità ed anche l’ecologia integrale».

La quinta ed ultima indicazione che traggo dal discorso del Papa si ricollega a quella desunta dall’omelia a proposito dello scandalo della fede. Se i cattolici italiani intendono contribuire alla salute della democrazia non possono accontentarsi di vivere la propria fede come «marginale o privata». La fede non può essere una questione privata: per quanto non lo si possa accogliere che personalmente, il dono di fede ridonda a vantaggio di tutti. Qui non si tratta «tanto di essere ascoltati, ma soprattutto di avere il coraggio di fare propose di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. […] Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause». Solo da qui, e non dalle polarizzazioni disgregatrici della comunità, può oggi rinascere una proposta politica ispirata al Vangelo.