L’ordine domenicano giunse al Vaticano II con un proprio rito, per cui, presupposta la scelta postconciliare di adottare il rito romano, si trattò in primo luogo di scegliere alcuni elementi particolari che si potessero conservare: alcuni dei più notevoli sono citati nell’articolo. Quanto al Santorale, ad oggi si contano circa 120 celebrazioni ben differenziate nel grado di modo che il calendario delle province e dei conventi risulti equilibrato. Il periodo che ha visto la maggiore acquisizione dei beati e in parte dei santi nel calendario va dal 1600 al 1800. Nel 1900 sono aumentate le canonizzazioni, ma senza l’impatto delle precedenti. Ad un altro livello, mentre i testi eucologici risultano soddisfacenti, le letture agiografiche tendono ad eccedere in lunghezza rispetto alla misura standard del rito romano.

 

la Liturgia domenicana e il Santorale

L’adeguamento liturgico che seguì al Vaticano II per l’Ordine domenicano fu un vero “transito rituale”, dal momento che esisteva un proprio rito, al quale si rinunciò per passare al rito romano con alcuni adattamenti.
Sebbene sia discutibile se quello domenicano fosse o no un rito, il dato certo è che l’Ordine giunse al Vaticano II con libri liturgici propri. All’inizio i frati celebravano secondo la liturgia locale con influssi cistercensi e premostratensi quanto all’Ufficio. Abbastanza presto prevalse il criterio unificante e il quinto maestro dell’Ordine Umberto di Roman, dopo consultazioni e il lavoro di una commissione di quattro frati (un francese, un italiano, un inglese, un tedesco) nel 1256 editò il “Prototipo” in 14 libri (attualmente conservato a Roma nella Curia generalizia a S. Sabina), che fu approvato da Clemente IV nel 1267. Si trattava, soprattutto per la Messa, della liturgia fondamentalmente romana, ma più “basilicale” che “curiale”.
Purtroppo «uno studio approfondito e veramente scientifico sulla liturgia domenicana non è ancora stato fatto»: così quarant’anni fa, anche se ad oggi qualcosa bisogna aggiungere.
Il transito verso l’attuale rito romano – con un anticipo al sec. XVII quando per ragioni pastorali si adottò il Lezionario romano – avvenne con le decisioni di tre capitoli generali: il capitolo di River Forest (USA) nel 1968 accettava il rito romano «mantenendo possibilmente alcuni elementi propri» (si trattava prevalentemente del Messale); il capitolo di Tallaght (Irlanda) nel 1971 incaricava il Maestro dell’Ordine «di curare che fosse adottato per tutto l’Ordine il Breviario romano riformato», con un ufficio proprio per i santi e beati nonché con alcuni “elementi peculiari” del (vecchio) rito; il capitolo di Madonna dell’Arco (Napoli), oltre a ribadire quanto sopra, incaricava il Maestro dell’Ordine di «di provvedere che tutto l’Ordine adottasse il Rituale Romano» e così il cerchio si chiuse.
Il rito romano fu adottato e gli elementi propri sono reperibili nel Messale, nel Lezionario, in un Proprium che concerne la Liturgia delle ore (da qui in avanti rispettivamente: M, L, P).

Il “Proprium de tempore”
Il rito della Messa è in tutto identico all’attuale rito romano. Tralascio di segnalare le possibilità di riutilizzare questo o quel responsorio, questa o quella antifona. Segnalo invece alcune tra le più notevoli variazioni per il “de tempore”.
Alle Ceneri è previsto un formulario alternativo per la benedizione delle stesse e un prefazio (M 4-5.7). In Quaresima a Compieta le antifone Evigila e O Rex al Nunc dimittis possono sostituire Salva nos (P 681-682), così come i responsori In pace e Media vita possono sostituire In manus (P 679-680), con possibilità di trasferirli ai Vespri.
Un formulario alternativo è previsto per la benedizione delle Palme con la possibilità di cantare l’antifona Ave Rex noster prima dell’ingresso in chiesa (M 10-13.16). Al Giovedì santo il rito del “Mandato” è previsto anche fuori della Messa (M 21). Al Venerdì santo si può adottare una cerimonialità molto più complessa dell’attuale per l’adorazione della croce (M 36-43). Alle Lodi del Venerdì e Sabato Santo complessi versi litanici possono sostituire le preci dell’attuale LdO (P 703-705).
Alla Veglia pasquale si possono cantare le litanie anche se non si benedice il fonte e se non ci sono battezzati (M 58) e questa non sembra un’indicazione felice. Più felice invece la possibile processione dopo i Vespri della Domenica di Risurrezione usando il responsorio Christus resurgens (P 706). Il giorno dell’Ascensione è prevista una processione solenne di ingresso in chiesa; idem per l’Assunta (M 67-69.202-204).
Tra le messe per varie necessità emerge quella per i predicatori (M 285).
Sono rimaste le sequenze di san Domenico In caelesti hierarchia (M 355-356) e Laetabundus per Natale, Epifania, Presentazione (M 417-418).
Le predette sequenze hanno una musica propria (M 503-509); ha musica propria il preconio pasquale (M 492-498), migliore dell’attuale ostinato e quasi retto tono romano; è musicata anche la genealogia di Mt, da cantarsi la notte di Natale dopo l’Ufficio delle letture e prima della Messa (M 510-514; P 692).
Il canto della Salve Regina e dell’antifona O lumen (san Domenico), tipica “coda” della Compieta domenicana, può essere trasferito dopo i Vespri (P 683-686).

La vita sotto il segno della liturgia
Una lunga tradizione aveva rivestito di forme quasi liturgiche gli atti normali o straordinari della vita, come il pasto, l’inizio di un viaggio e altro. In una certa misura tutto questo è stato aggiornato, ma di fatto è poco conosciuto, eccetto i riti per l’accoglienza e la professione e, in misura minore, una ritualità per l’elezione dei superiori. Abbastanza di recente poi sono state edite in un unico volume molte particolarità liturgiche della cura dei malati e delle esequie: il volume non vuole essere un libro rituale perché come tale non è stato approvato, anche se come tale si presenta; l’uso comunque è raro e pochi lo conoscono.

Il Santorale: san Domenico e altri riferimenti
Dopo aver vagato in diversi giorni d’inizio agosto, oggi la solennità di san Domenico – morto il 6 agosto – è all’8 agosto, salvo a Bologna-città, dove continua a celebrarsi alla vecchia data del 4 agosto. Il 24 maggio è prevista la Traslazione di san Domenico avvenuta in quel giorno nel 1233 da un povero sepolcro a un sepolcro più dignitoso e con la manifestazione soprannaturale di un misterioso profumo; la celebrazione è memoria, ma nella basilica domenicana di Bologna, luogo dell’avvenimento, è festa. Però l’8 agosto cade all’inizio delle grandi vacanze estive e, si dice, non c’è gente. Per cui si tende a spostare la festa effettiva di san Domenico al 24 maggio con un mucchio di problemi liturgici, in quanto tale data cade per lo più nella pienezza conclusiva del tempo pasquale.
Occorre poi segnalare alcune indicazioni del Santorale che caratterizzano il calendario.
Il 7 novembre è prevista la festa di Tutti i Santi domenicani e il giorno dopo la Commemorazione di tutti i frati le suore defunti. I defunti legati all’Ordine sono ricordati anche il 7 febbraio (padre e madre) e il 5 settembre (familiari e benefattori).
Il 3 gennaio si consiglia di celebrare la memoria del SS.mo Nome di Gesù, a seguito della Confraternita del SS.mo Nome, un tempo fiorente nell’Ordine. La Madonna è ricordata come festa il 7 ottobre BVM del Rosario, dove la colletta è Gratiam tuam, ma con la possibilità della precedente colletta Deus cuius Unigenitus (M 229), e all’8 maggio con la memoria del Patrocinio della BVM sull’Ordine: la memoria ricorda la “presunta” – non tutti gli storici sono d’accordo! – approvazione dell’Ordine il 22.12.1216, passando all’8 maggio dal 22 dicembre dov’era, per evitare di interferire con gli ultimi giorni dell’Avvento.
Tra i santi non domenicani, il calendario segnala santa Maria Maddalena (22 luglio) come una delle patrone dell’Ordine ed eleva al grado di festa sant’Agostino (28 agosto) e san Francesco d’Assisi (4 ottobre), il primo in quanto autore della Regola all’inizio e attualmente adottata, il secondo per i noti legami di fraternità tra i due ordini mendicanti.

Il Santorale: i numeri
Poiché la realtà è in continua evoluzione, ci si fermerà ai citati Missale e Proprium, nonché a un più recente volume di Additamenta (in seguito: A), con la sola eccezione/correzione di un beato (Francesco Coll) che nel frattempo è stato canonizzato. Per altri dati più tecnici esiste un Catalogo agiografico.
I numeri del Santorale sono: 96 beati e 24 santi, dunque 120 celebrazioni che, quando al grado, sono così suddivise: 1 solennità, 4 feste, 20 memorie, 95 memorie facoltative.
L’unica solennità è di san Domenico.
Solo 4 santi sono celebrati con il grado di festa (Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Caterina da Siena, Martino de’ Porres); altri 18 sono memoria obbligatoria (Zedislava di Lemberk, Raimondo di Peñafort, Margherita di Ungheria, Caterina de’ Ricci, Agnese di Montepulciano, Pio V, Vincenzo Ferreri, Antonino da Firenze, Francesco Coll, Pietro da Verona, Giovanni da Colonia, Giacinto di Pologna, Rosa da Lima, Giovanni Macias, Ludovico Bertrando, Francesco di Capillas e compagni martiri, Domenico Ibañez e compagni martiri, Ignazio Delgado e compagni martiri) e uno, domenicano solo in quanto terziario, è memoria facoltativa (Luigi Maria Grignion di Montfort).
I beati sono tutti memoria facoltativa, eccetto 2 che sono memoria obbligatoria: Alfonso Navarrete e compagni martiri, Giordano di Sassonia.
Tralasciando l’elenco dei santi e beati secondo l’ordine storico cronologico, reperibile altrove, può risultare più interessante l’elenco dell’ingresso istituzionale dei santi e beati nel Santorale e calendario domenicano. Tale “istituzionalizzazione” avviene in quattro forme: canonizzazione, beatificazione, conferma del culto, concessione della Messa e dell’Ufficio.
Il 1200 si limita a 2 canonizzazioni: Domenico e Pietro da Verona.
Il 1300 ha 1 canonizzazione (Tommaso d’Aquino).
Il 1400 ha 2 canonizzazioni (Caterina da Siena, Vincenzo Ferreri) e 1 confirmatio cultus.
Il 1500 conta 1 sola canonizzazione (Giacinto di Polonia).
Il 1600 comincia a crescere nei numeri: 3 canonizzazioni (Raimondo di Peñafort, Rosa da Lima, Ludovico Bertrando), 7 confirmatio cultus, 2 concessio Missae et Officii.
Il 1700 ha 4 canonizzazioni (Caterina de’ Ricci, Agnese di Montepulciano, Pio V, Antonino da Firenze) e ben 19 confirmatio cultus.
Il 1800 ha 1 sola canonizzazione (Giovanni di Colonia) e 2 beatificazioni, ma tocca la punta massima di 38 confirmatio cultus, unite a 5 concessio Missae et Officii.
Il 1900 tocca la punta massima di 8 canonizzazioni (Zedislava di Lemberk, Margherita di Ungheria, L. M. Grignion de Montfort, Giovanni Macias, Domenico Ibañez e compagni, Alberto Magno, Ignazio Delgado e compagni, Martino de’ Porres), unite a 11 beatificazioni, 7 confirmatio cultus, 1 concessio Missae et Officii.
Il 2000 ha per ora 2 canonizzazioni (Francesco de Capillas e compagni, Francesco Coll) e 3 beatificazioni.

Il Santorale: riflessioni oltre i numeri
Osservando la distribuzione dei “gradi”, si nota da subito l’anomalia di san Martino de’ Porres, elevato a festa, mentre restano memoria santi un tempo molto noti come Vincenzo Ferrer o Ludovico Bertrando, che fu uno dei primi evangelizzatori dell’America Latina. Forse la preminenza di Martino de’ Porres si spiega da certi suoi tratti fuori consuetudine: fu figlio illegittimo ed ebbe a patirne anche nella vita religiosa, non fu prete, si dedicò all’assistenza dei poveri ecc.: tutte caratteristiche molto valutate al tempo della canonizzazione (nel 1962 ad opera di san Giovanni XXIII) anche in vista di una nuova immagine di Chiesa, della promozione del laicato e, nella vita religiosa, della rivalutazione dei “non presbiteri” ecc.
Quanto ai beati, Giordano di Sassonia è memoria obbligatoria in quanto primo successore di san Domenico e anche suo primo biografo. Meno chiaro come mai siamo memoria obbligatoria Alfonso Navarrete e compagni martiri.
Rileggendo i numeri sullo “ingresso” dei santi e beati nel Santorale, non sfuggirà il dato macroscopico che il 1600-1800 sono i trecento anni nei quali il santorale si è di più arricchito, con la punta di 38 confirmatio cultus del 1800. Si noterà anche la tendenza all’accrescimento delle canonizzazioni nel 1900 e, per i pochi anni disponibili, nel 2000.
Escluso ogni giudizio sulla santità, ma partendo dal significato di un santo sulla vita e il modello dell’Ordine e di conseguenza sulla recezione più o meno intensa del suo culto e della sua stessa figura, si può concludere che con il 1400 si chiude il periodo dei grandi santi dell’Ordine. Qualche figura emerge dopo come Rosa da Lima, Pio V o il già Martino de’ Porres. Ma non siamo al livello dei santi precedenti. Così come la canonizzazione di Alberto Magno nel 1900 non produsse l’impatto della canonizzazione di Tommaso d’Aquino, di cui fu maestro.
Si potrebbe ipotizzare che le canonizzazioni del 1900 e 2000 hanno in gran parte le caratteristiche delle antiche beatificazioni: riconoscono il culto di figure significative a livello locale, ma che lo sono di meno a livello universale. Lo scambio dei ruoli – promuovere a livello universale ciò che ha un peso locale – porta a moltiplicare le canonizzazioni senza che queste ottengano l’impatto dei “pochi” santi antichi circondati da “molti” beati.

Il Santorale: Eucologia e Lezionario
L’Eucologia interpreta la memoria e il ruolo dei santi e dei beati e in genere lo fa bene.
Non c’è invece un criterio stabile per le scelte di una maggiore o minore caratterizzazione eucologica di un santo o di un beato. Tutti i santi hanno le tre orazioni proprie, ma non tutti dispongono di un prefazio. Passando ai beati, alcuni sono dotati di tre orazioni, altri no. Ad esempio hanno tre orazioni Enrico Susone, Reginaldo di Orléans, Giordano di Sassonia, Giovanni da Fiesole, Imelda Lambertini (M 135-136, 152-156, 164, 173-174) ecc.: per alcuni si spiega grazie al loro influsso agli inizi dell’Ordine, per altri dipende dal peso della loro popolarità, per il Susone forse dal fatto di essere l’unico dei mistici renani (maschi) entrato nel Messale. Tuttavia queste scelte manifestano una certa dose di soggettività.
L’eucologia è sobria, ma talvolta tende ad eccedere. È il caso del prefazio di san Domenico:

«Qui beatum Dominicum, veritatis tuae praeconem,
de fontibus Salvatoris altissimis haurientem,
sitienti mundo provide tribuisti.
Is enim, Genetricis Filii tui semper ope suffultus,
salutis animarum zelo inflammatus,
officium Verbi pro se suisque in Spiritu coadunatis suscipiens,
fidei pugiles ad salvandas gentes instituit
et multos doctrina et exemplo ad Christum adduxit.
Tecum vel de te iugiter loquens, sapientia profecit
et, actionem de plenitudine contemplationis educens,
aedificandae Ecclesiae tuae se totum impendit» (M 199).

Due osservazioni: il testo è sovraccarico di nozioni, che vanno bene per una conferenza ma meno per un prefazio. Perché non comporre due o tre prefazi invece di uno così complesso? Inoltre la figura di san Domenico è troppo interpretata da fonti successive teoriche e non esistenti nelle fonti primitive e liturgiche: così della protezione mariana si parla pochissimo nei testi fontali, l’espressione “ufficio de Verbo” è di Caterina da Siena e l’azione che è tratta dalla pienezza della contemplazione è di Tommaso d’Aquino. Riferimenti adatti a una conferenza, ma forse meno adatti in liturgia.
Quanto al Lezionario, i santi dispongono di letture proprie e per i beati vale analogo discorso a quanto sopra, tant’è vero che quattro dei beati citati dispongono di letture proprie (L 135-136, 314-321) e altri no.
Per san Domenico, a parte l’aggiunta di una prima lettura Is 52,7-10 per via del versetto “videbunt omnes fines terrae salutare Dei nostri”, le altre letture sono rimaste le precedenti: 2Tm 4,18 e Mt 5,13-19 (con alternative: L 353-358). Invece il vangelo di san Tommaso d’Aquino è Gv 17,11b-19 per via del “sanctifica eos in veritate”, ma il contesto giovanneo non è quello del lavoro teologico, per cui la novità non migliora la scelta antica di Mt 5,13-19 sui discepoli “luce del mondo” (che resta opzionale: L 308-309).
Nella Liturgia delle ore la seconda lettura tende talvolta a eccedere. Considerando come misura tipo una lettura “romana” di 2500 caratteri spazi compresi, spesso si tende ad andare un poco più in là, ad esempio 4120 per Margherita di Ungheria (P 50-52), 4002 per Caterina da Siena (P 157-159), 4590 per Anna di Monteagudo (A 77-78) ecc.

Conclusione
Queste semplici note riguardano l’oggettività tipica. È evidente che il calendario e l’uso del Santorale variano tantissimo a secondo delle province e dei conventi.
Quanto agli elementi propri del rito domenicano, si conosce un ritorno allo stesso rito integrale a opera di una consistente minoranza soprattutto di giovani frati. Non è un fenomeno italiano, ma statunitense, in parte francese, in parte dell’Europa dell’est. Made in USA esistono anche dei video che illustrano la messa secondo l’antico rito domenicano.1 Per ora si tratta di una forte minoranza, ma quando verranno meno i frati stile “dopo il Concilio”, questa sarà la tendenza forte e che si imporrà più di ora. E allora come ci si evolverà? Lo sa Dio.

fra Riccardo Barile