San Domenico quando fu vicino a morire, manifestando la sua precisa volontà esclamò: “A Dio non piaccia ch’io sia sepolto in altro luogo, che non sia sotto i piedi dei miei frati!”. Fu questa non solo espressione di verace umiltà, ma più ancora di tenero affetto verso i suoi figli, dai quali neppure morto voleva essere separato. Così fu fatto. Ma l’umile tomba, povera e disadorna, in San Niccolò di Bologna, attirava i cuori come celeste calamita, e su di essa si moltiplicavano grazie e miracoli. Allora si pensò di trasportare i preziosi resti in luogo più degno. Questa prima traslazione fu fatta il 24 maggio del 1233, martedì di Pentecoste. Erano presenti molti vescovi, illustri personaggi, il beato Giordano, successore di san Domenico (che ci ha lasciato nel suo Libellus la descrizione dell’evento) e più di trecento frati.

Appena fu smossa la pietra sepolcrale un odore soavissimo cominciò a diffondersi, mentre gli occhi dei figli si bagnavano delle più dolci lacrime. Il sacro corpo fu trasportato in un’apposita cappella e chiuso in un semplice monumento di marmo.

Questo monumento fu poi superbamente realizzato da Nicola Pisano, arricchito da Niccolò dell’Arca e da Michelangelo Buonarroti, ed è diventato così uno dei più straordinari sepolcri della cristianità.

A noi figli di san Domenico piace pensare di poter esser noi il profumo del nostro padre fondatore, che dal suo sepolcro invade e pervade, lasciando indelebile ricordo. È un pensiero che impegna e lusinga, ma è un compito che ci atterrirebbe se non sapessimo che il nostro beato padre Domenico ha promesso di esserci più utile da morto che da vivo.

O spem miran quam dedisti mortis hora te flentibus te profuturum fratribus: imple Pater quod dixisti nos tuis iuvans precibus

(Meravigliosa speranza che nell’ora della morte hai dato ai tuoi figli in pianto, assicurando il tuo aiuto dopo la morte: adempi, o Padre, quanto hai promesso soccorrendoci con la tua intercessione)