I saggi splenderanno come lo splendore del firmamento
18 novembre 2018
LETTURE: Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14. 18; Mc 13,24-32.
La chiusura dell’anno liturgico e l’apertura di quello successivo accomunano un tema affascinante e straordinario, quello del giudizio di Dio, che mette ciascun credente a confronto con se stesso e a confronto con l’amore misericordioso e giusto. Il vero giudizio operato da Dio è un confronto amoroso che non dimenticherà il male del mondo e la sua necessaria esigenza di giustizia. Giustizia e misericordia fondano il medesimo percorso, in cui non è semplice leggere e intravedere i confini che distinguono tale tratto. Il linguaggio della Bibbia ricorre alla letteratura apocalittica, la cui teologia riporta nell’ideale clima di giustizia le prepotenze e i mali consumati nel mondo. Proprio davanti alle ingiustizie peggiori, come la deportazione o la persecuzione, nascono degli splendidi testi, che si distinguono per una giustizia riordinata anche nei movimenti del cosmo e per il tentativo di consolare coloro che hanno sofferto e che tutt’ora soffrono per causa di questi mali.
Il libro del profeta Daniele introduce il grande tema della teologia della salvezza, immediata conseguenza del giudizio di Dio: “Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna”. Il giudizio apre alla prospettiva dell’eternità, e l’eternità si distingue anzitutto per la bontà, per l’amore salvifico, per l’attenzione di un Dio che è Padre di tutti, provvido e pronto a donare a ciascuno la giusta dimensione di felicità: “In quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro”. Un’altra splendida immagine ci viene donata per sottolineare la dimensione stabile di felicità, dove alla ricerca di un Dio che è luce dinanzi alle tenebre, la sua stessa luce diviene amplificata nella sua complessità, attraverso una visione paesaggistica notturna in cui “i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”. In questa bellissimo e suggestivo quadro, dove la stella è segno indelebile di una luce comunicata da Dio, si annotano gli aspetti della condotta umana buona, come inevitabile propedeutica alla giusta salvezza. Coloro che risplendono e sono simili a stelle sono i “saggi”, coloro che hanno meditato la parola di Dio trasformandola in Verbo di Vita.
Rispetto ai cataclismi cosmologici descritti nella piccola “apocalisse” presente nel vangelo di Marco troviamo un riferimento sicuro nell’evocazione della pianta di fico, in cui i rami teneri e le foglie che spuntano inducono all’inclusione della dimensione del tempo relazionata al giudizio. Quando il fico dona all’agricoltore questi segni, l’agricoltore comprende l’inizio della calda stagione. Così ogni credente maturo, giunto alla fine del suo cammino, si affida in piena amorevolezza a Dio, lasciando che sia lui a raccogliere i frutti e a superare con il suo amore la sola logica umana dell’efficienza. È Cristo stesso che giustifica il genere umano dinanzi al male, dato che, come riferito dalla lettera agli Ebrei, “con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”. Davanti all’amore di Dio, che si manifesta pienamente nella sua parola, tutta la creazione manifesta la sua dipendenza, persino nello stesso divenire. La Bibbia ha una visione della storia che chiude a questo mondo ed apre all’altro mondo: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Il ponte tra i mondi è proprio quella parola di Dio che ferisce e risana, giusta e misericordiosa.
Siamo chiamati a riflettere sulla riconciliazione con Dio come evento dialogico e come esperienza sacramentale, in cui la persona stessa, sorpresa da tanto amore, si lascia educare dalla misericordia, imparando che il giudizio di Dio è amore, accoglienza e ascolto delle proprie paure, capacità di superare i limiti di ogni conflittualità attraverso la logica del perdono. Ogni credente è chiamato a confrontarsi con la propria esistenza e a comprendere che proprio la misericordia non dipende tanto o solo da uno sforzo umano di comprensione, ma è l’ideale cammino interiore frutto della preghiera, della fede, della carità, di aprirsi realmente all’amore soprannaturale. Avere misericordia non significa dimenticare, perché Dio non si dimentica mai di noi, ma guardare, piuttosto, oltre l’errore fatto o di andare oltre il male subito. Il lento processo di metabolizzazione del dolore diventerà un’esperienza di crescita insostituibile, che metterà dinanzi al nostro sguardo l’unicità dell’offerta di Cristo.
La misericordia donata dal Padre attraverso il Figlio, procede con lo Spirito Santo nel cuore delle persone. Il criterio del giudizio dipenderà anche dalla stessa misericordia che le persone sapranno usare nella propria vita, e che diventa fondamento della costruzione di una società cristiana pienamente libera e consapevole di guardare alla propria storia e di saper crescere nel discernimento della coscienza. Siamo capaci di donare misericordia alle persone che incontriamo nella nostra vita, allo stesso modo dell’amore perdonante che viene a noi donato da Gesù Cristo? Che questo Giubileo della Misericordia ci insegni a comprendere quanto la nostra vita sia stata cambiata da Dio, come Gesù abbia toccato la nostra carne trasformandola, offrendo la propria carne, donando il suo amore più definitivo ed inoppugnabile.