Vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere

11 novembre 2018

LETTURE: 1 Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44.

Dare tutto senza risparmiare nulla è il messaggio che la Parola di Dio inscrive come tema principale e come invito esortativo da raccogliere e mettere in pratica. Tutto ruota attorno alla figura della vedova e la vedovanza era considerata nella cultura ebraica la più sfortunata tra le condizioni sociali. Infatti la vedova era donna e, come in buona parte delle culture antica, essa si doveva occupare della gestione domestica piuttosto che produrre un reddito, che era a carico del marito. La donna rimasta sola non ha possibilità economiche, e la sua vita è molto tirata. L’immagine della vedova assomiglia all’immagine di tante persone del mondo contemporaneo, le quali non hanno più possibilità economiche per il lavoro perduto, oppure delle persone anziane che debbono vivere della sola pensione, con l’incubo di non riuscire a spalmare la gestione economica e a ritrovarsi senza nulla per vari giorni prima di ricevere il nuovo mensile.

Molte persone che posseggono poco, spesso sono le più generose. E la generosità è esaltata nelle vedove di questa domenica, in cui la fiducia accordata a Dio è un bene decisamente più prezioso di ciò che posseggono. La vedova di Sarepta di Sidone è una delle vedove più celebri della Bibbia, chiamata ad ospitare il viandante profeta Elia, grande difensore del culto di JHWH e del monoteismo, capace di sfidare e vincere contro culti di altre religioni. Questa vedova è libanese e Sarepta è una cittadina fuori della giurisdizione del re Acab. Elia sosta presso questa donna che lo ospita e non esita a preparargli un focaccia di farina ed olio, pur sapendo di non averne più. Invece “la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra“. E’ consapevole della grandezza dell’ospitalità e dell’accoglienza. La sua semplicità è disarmante, e la sua bontà è segno di un amore umano che diventa soprannaturale. Anche nella tradizione cristiana, l’accoglienza dell’ospite, del viandante, del pellegrino diventeranno emblema di carità e fraternità, simbolo dell’importanza della condivisione.

Proprio la vedova è protagonista del brano del vangelo di Marco, esaltata per la sua semplicità, ma anche additata per la sua ingenuità. Gesù, per poter parlare della vedova, offre un confronto con la figura degli scribi, i quali “divorano le case delle vedove”. La classica critica nei confronti degli scribi, i quali ostentano una religiosità esteriore e superficiale, viene ad amplificarsi proprio a diretto confronto con le vedove, le cui case sono “divorate”, anziché essere aiutate in una vita segnata dalla condizione sociale sfavorevole, e spesso irreversibile. Costoro sono quelli che amano “i primi posti”, e persino la loro religiosità non è autentica, ma ricercata “per farsi vedere”. La relazione con Dio mette a nudo l’incapacità di tante persone di vivere una pienezza di vita interiore, sottolineando la falsità e l’inutilità di certi schemi, che hanno bisogno di ricevere una scossa. Il rapporto con Dio non può essere tessuto con l’inerzia, ma necessita una stabilità costruita sulla costanza, sul dono del “tutto” ciò che la persona può mettere, “cuore, mente e forza” (cfr. Mc 12, 37).

È la totalità a caratterizzare la nostra attenzione, in questa domenica dove la qualità supera abbondantemente la quantità come criterio comprensivo di tutta la persona. La vedova del vangelo di Marco usa il medesimo criterio della vedova di Sarepta di Sidone, e davanti al tesoro del tempio “vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. E chi è il tesoro del tempio? Il denaro versato nelle casse o piuttosto l’adorazione amorosa di Dio che ne viene significata? Il luogo dell’incontro con Dio, sebbene nell’ebraismo, come anche nel cristianesimo, prevede tante modalità partecipative e di condivisione, si caratterizza, anzitutto, per il più autentico incontro spirituale con il Signore. Per questo l’episodio della vedova diventa emblematico in funzione del “tutto” donato. L’oblazione vera non compie calcoli, ma attesta la donazione come unica prospettiva della relazione. Davanti a Cristo che dona tutto, che “è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”, come ci ricorda la Lettera agli Ebrei, non si possono fare calcoli. La vita dei credenti deve identificare questa totalità e svilupparla ogni giorno, anche nei piccoli gesti e in uno stile di vita attento e sensibile,

Tommaso d’Aquino, in un breve trattatello di spiegazione del significato dei voti religiosi, dal titolo “La vita spirituale”, a proposito del voto di obbedienza ci offre una semplice ma disarmante spiegazione sul significato della “totalità” donata nella relazione con Dio. Per questo usa la differenza esistente tra il sacrificio e l’olocausto, e ricorda che nel sacrificio solo una parte della vittima è donata, mentre nell’olocausto tutta la vittima “brucia” davanti a Dio. Così ciascuno di noi è dono gradito al Signore, se nell’obbedienza della relazione (ob-audire = ascoltare in profondità la parola di Dio) sa offrire la propria totalità, come la volontà del consacrato dinanzi al voto di obbedienza, proprio come Gesù, che “non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui”. La donazione è unica, totale e definitiva, e sottolinea l’amore senza limiti, di cui proprio la totalità costituisce la privilegiata prospettiva.