Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito
14 ottobre 2018
LETTURE: Sap 7,7-11; Sal 89; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30
Splendidi affreschi compaiono nella liturgia di questa domenica, che richiama tutti i valori della fede attorno al significato della salvezza e della sequela di Gesù. Il pennello dei redattori biblici compone straordinarie suggestioni sul futuro che partono dal presente, da un presente costituito da una parola di Dio “viva, efficace, più penetrante di una spada a doppio taglio”. Questa parola forma gli amici di Dio, espressione cara al libro della Sapienza, che in un classico e conosciuto testo, sviluppa il tema dell’importanza della salvezza, identificata proprio nel termine “sapienza”. Essa non è l’erudizione, l’acquisizione dei dati e della conoscenza fredda ed asettica, ma la sapienza è il compimento pieno del destino umano e la gioia dell’incontro con Dio. Essa include virtù apparentemente minime, eppure preziosissime, come la prudenza e la saggezza, la capacità di meditare la storia, e di trasformare il dato esperienziale nello stile di vita che cerca la continua complicità di Dio, sino a porsi la domanda: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”
Ogni domenica uno dei due elementi fondativi della celebrazione eucaristica è dato dalla Parola di Dio, la cui meditazione e riflessione diventa un corpo solo con il pane e il vino consacrati, corpo e sangue di Gesù. Questa Parola, Verbo che è Dio, non solo è tagliente e penetrante, ma giunge “fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla”. E’ splendida questa immagine che include tutta la fisicità e la spiritualità della persona, radiografata in profondità da questo movimento del pronunciamento divino. Le midolla sono la parte più nascosta nella fisiologia della persona, e questa evocazione sottolinea la grandezza dell’azione della parola, al punto da toccare e cambiare la fisicità del genere umano. E’ il segno della voce di Dio che “discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Il discernimento è una delle parti più importanti nella tradizione spirituale cristiana, quella che porta a compiere le scelte essenziali, pienamente coerenti al progetto salvifico. Per questo l’immagine regalataci dalla lettera agli Ebrei, oltre che a combinarsi perfettamente con il libro della Sapienza, rappresenta la perfetta propedeutica per comprendere il brano del giovane ricco, raccontato nel vangelo di Marco.
I tratti psicologici del giovane ricco sono di un’attualità disarmante. Essi segnano non tanto l’incoerenza di un progetto di vita da seguire, ma l’incapacità di generare uno stile di vita nuovo, diverso, inaspettato. Il giovane ricco sembra perfetto nelle richieste: infatti chiede “cosa fare per ottenere la vita eterna”, vale a dire centra perfettamente il bersaglio di quella risposta escatologica che Gesù intende offrire. Si rivolge a Gesù con grande rispetto, chiamandolo “maestro”, titolo riservato in Israele solo a coloro che erano davvero in grado di comprendere la Torah e la legge mosaica. Inoltre, il giovane ricco unisce alla parola “maestro” l’aggettivo “buono”, come per sottolineare di aver compreso il progetto amoroso di Gesù, della sua unica capacità di donare al genere umano quella felicità chiamata “Beatitudine”. La parola di Gesù non si lascia attendere. Essa sottolinea la grandezza della legge d’Israele, confermando la precettistica mosaica, ma aggiungendo una differenza specifica: la sensibilità verso il mondo dei sofferenti, i poveri, a cui vanno i denari ottenuti dalla vendita dei beni posseduti, per avere un altro tesoro: quello del Regno dei Cieli.
La descrizione psicologica del giovane ricco nel vangelo di Marco si rende vivace nel dipingere di scuro il volto deluso del ragazzo: “egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato”. La sequela di Cristo inizia propria qua, laddove la grandezza del tesoro nel cielo oscura non il proprio volto, ma i beni posseduti, a cui non si intenderà mai rinunciare. In questa pagina di Vangelo risiede tutta la grandezza dell’amore di Dio, dove la povertà non rappresenta un ideale e nemmeno un risvolto ideologico, bensì essa è strumento verso un fine più grande: la salvezza eterna. L’insegnamento risiede proprio nel capire che ciò che conta non è essere poveri o ricchi, quanto essere capaci di andare oltre ciò che si possiede, al punto di rinunciarvi per qualcosa di ben più grande ed importante. Solo così si può formare il discepolo capace di “sequela”, colui che segue Gesù in maniera semplice, totale e disinteressata.
A commento di tale episodio, Gesù evoca un proverbio dell’antico vicino Oriente, di sicura suggestione e di impatto paradossale: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. A tal proposito, vi è anche una possibile interpretazione esegetica, dove alcuni studiosi hanno voluto ricondurre il greco “kámêlon”, “cammello” a un “kámilon” (la “ê” e la “i” avevano in passato e hanno oggi nel greco moderno lo stesso suono – “i” – nella pronuncia), che era invece una sorta di gomena o nodo marinaio. In tal senso le dimensioni di tale nodo sarebbero meno “paradossali” e più “consone” ad essere confrontate con la cruna dell’ago. Ma il paradosso rimane, ed è più divertente e colorito immaginare l’improbabile sforzo del cammello nel suo tentativo di miniaturizzazione, per mettere in mostra il disvalore esistente tra l’attaccamento ai beni e la ricerca del tesoro, quello vero, che il libro della Sapienza considera talmente superiore da “stimare un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia”. Lasciare tutto significa ricevere da Dio cento volte tanto, senza dimenticare che questo amplificazione dei valori più autentici, quelli che appartengono a chi cerca di seguire Gesù, non sono esenti dalla sofferenza, da quelle “persecuzioni” che sfigurano e rendono ancora più preziosa la fede cristiana, anche nel mondo odierno, davanti ai tanti sussulti di violenza e alla difficile vita di chi segue il Signore in molte regioni del globo.