Il potere e la gloria
23 settembre 2018
LETTURE: Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-43; Mc 9,30-37
Le letture proposte dal lezionario per questa domenica vanno a toccare uno dei temi più decisivi per la salvezza dell’uomo e della donna di ogni tempo. Nella prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, abbiamo un brano che prefigura – agli occhi dell’interprete cristiano – il punto di vista dei potenti nei confronti di Gesù, il solo giusto, caratterizzato dal desiderio di infliggergli una morte infamante, in risposta alle critiche che egli stesso ha rivolto soprattutto contro l’ipocrisia delle élites religiose del suo tempo. La pericope del vangelo secondo Marco s’allaccia agevolmente al testo sapienziale a motivo dell’annuncio della sua passione, morte e risurrezione, cui segue un discorso sul senso di “essere più grande” secondo la logica del Regno. La descrizione offerta dal brano della lettera di san Giacomo, sull’invidia che minaccia l’unità della comunità, conclude offrendo la possibilità di individuare la logica sottesa alle relazioni ispirate dalla volontà di potenza.
Chi sono gli empi che tramano contro la vita del giusto nel libro della Sapienza? Si tratterebbe di un gruppo di ebrei che, per ottenere vantaggi economici e politici in Alessandria d’Egitto, hanno tradito le prescrizioni della Torah. Avendo accresciuto il loro potere, a dispetto della fedeltà alla Legge, non possono tollerare la denuncia del giusto e giungono fino a deciderne la morte ed una morte infamante. Corrotti dalla loro opzione fondamentale per il potere, gli empi non sanno riferirsi a Dio se non nella forma del accenno sarcastico: “se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto…”. Come sotto le croce, sembra qui di udire sullo sfondo un succedersi di risate di scherno. Come è possibile che l’uomo si corrompa a questo livello? Mutatis mutandis, incontriamo a questo punto la medesima domanda, densa di apprensione per l’uomo, che si pone l’apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”. La risposta verte sul tema classico delle passioni (negative) che avvelenano il cuore dell’uomo, trascinandolo in un vortice di menzogna e di violenza che lo priverebbe persino della possibilità di rivolgersi a Dio per chiedere un aiuto effettivo e sincero. Secondo Giacomo il cuore dell’uomo che vive l’esistenza come se fosse una guerra è mosso da una folla disordinata di desideri, lasciati senza controllo. Se lasciamo che ogni cosa susciti il nostro desiderio, chiaramente non riusciremo mai a possedere tutto ciò che sollecita il nostro appetito. Il circolo vizioso di desiderio (inappagabile) e frustrazione (inevitabile) radica ed accresce il morso della tensione appetitiva, senza mai acquietare il cuore dell’uomo. Se poi si aggiunge la frustrazione, questa scatena una sorta di moto alla vendetta verso tutto e verso tutti, quasi si fosse alla ricerca di un’impossibile risarcimento per ciò che – tra l’altro – non è per niente dovuto. Questa condizione, sembra suggerirci l’apostolo, ha come unico sbocco possibile l’omicidio (foss’anche “a parole” o nell’atteggiamento). L’azione violenza – come lo fu per Caino – è suscitata dall’invidia per chi, nella proiezione fantastica correlata al desiderio frustrato, possiede ciò che manca a noi per essere felici. Ma uccidendo l’altro ed anche depredandolo del suo, non si riesce ad ottenere quello che si cerca, determinando un ulteriore scacco che va ad alimentare il circolo inesausto della corruzione. La ricerca del soddisfacimento del bisogno, sulla base del mero esercizio della volontà di potenza e, pertanto, al di fuori del circolo umile e sorprendente della carità divino-umana, conduce inevitabilmente alla guerra. L’estrema indigenza in cui si trova l’uomo corroso dalla molteplicità dei desideri fa tutt’uno con l’orgogliosa incapacità di chiedere o di chiedere “bene”, ossia liberi dall’obiettivo di soddisfare meramente il proprio appetito. In un mondo in cui gli uomini sono imbrigliati in questa dinamica, per aver volto le spalle a Dio, come può il giusto, il Figlio di Dio che si dona senza riserve all’umanità, non essere destinato alla morte infamante della croce? Ebbene la buona notizia del vangelo consiste, in ultima analisi, nel proclamare che il giusto, il Crocifisso, è risorto e con quest’evento capitale la “sapienza che viene dall’alto” è entrata nella storia per produrre “buoni frutti”, essendo “pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia […], imparziale e sincera”. Solo sulla base dell’opera di pace del Cristo è possibile per l’umanità ritrovarsi nella pace, ossia nella misericordiosa comunione di vita tra Dio e gli uomini e degli uomini tra di essi in forza dell’agape. L’agape è infatti “gloria” di Dio, che si oppone – come il pieno al vuoto – alla logica del potere. Nei suoi giorni terreni, Gesù è stato attento ad educare i suoi discepoli alla logica gloriosa della pace, fondata sulla dedizione senza riserve, sradicando così ogni tentazione tesa all’acquisto del potere a svantaggio del fratello. Un piccolo bambino, considerato assolutamente inutile e pienamente impotente nella cultura del tempo, viene posto da Gesù al centro della comunità, come simbolo della vita nuova dei discepoli che sono stati liberati dalla trappola spirituale della volontà di potenza. “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.