13 settembre 2020
“Nessuno vive per sé stesso”
LETTURE: Sir 27,30-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35
“Un uomo che resta in collera verso un altro uomo come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?”. Queste parole del sapiente Siracide, tratte dalla prima lettura di questa domenica, introducono bene il brano del vangelo di Matteo – la parabola del servo spietato – che l’evangelista ha posto a conclusione del quarto grande discorso di Gesù, il discorso ecclesiale. Domenica scorsa, il brano evangelico immediatamente precedente quello di oggi insisteva sull’importanza della correzione fraterna: la comunità cristiana deve essere una comunità riconciliata in cui ognuno si fa carico dell’altro nella carità. La parabola odierna ribadisce ed esemplifica questo insegnamento del Signore: non ci può essere perdono divino se non c’è da parte dell’uomo l’impegno a perdonare. Ogni giorno, ripetendo la preghiera che Gesù ci ha insegnato chiediamo a Dio Padre la remissione dei debiti impegnandoci a nostra volta a rimettere i debiti che gli altri hanno con noi. Così realizziamo, a poco a poco e sempre in tensione, quella “perfezione” a cui ci invita il discorso della montagna e che rende possibile la presenza divina in noi.
Possiamo comprendere questo insegnamento di Gesù applicandolo alla vita della Chiesa – è in questo senso che l’evangelista ce lo propone – e sarebbe già molto se ci impegnassimo a metterlo in pratica: arrivare finalmente a pensarci come un “noi” e smettere di pensare sempre e solo a “io”(come fa il servo spietato della parabola, che unicamente pensa sempre e solo a sé). La parola del vangelo ci apre a una prospettiva che certo non è quella del rapporto intimo e privatissimo, e in fin dei conti individualistico, con il divino: siamo membra di un corpo vivo, il corpo di Cristo che è la Chiesa, vivificato costantemente da un solo Spirito che incessantemente ci unifica. Ognuno è responsabile del proprio fratello nella fede: “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Cor 12,26-27), ci ricorda l’apostolo Paolo.
Proprio l’apostolo Paolo, nel breve brano tratto dalla lettera ai Romani proposto come seconda lettura di questa domenica, ci dà la possibilità di ampliare ancora di più la prospettiva: non soltanto dobbiamo sentirci responsabilmente uniti ai nostri fratelli nella fede, membri come noi della stessa comunità ecclesiale, ma la nostra solidarietà deve espandersi verso tutti gli uomini, in un anelito di universale fraternità. Siamo ormai del Signore e nessuno può più vivere soltanto per sé stesso. E come il Signore Gesù ha spalancato le sue braccia sulla croce accogliendovi tutti gli uomini abbattendo ogni muro di separazione, così i credenti in lui sono impegnati nel tempo a concretizzare e rinnovare lo stesso abbraccio.
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