18 marzo 2018
Letture : Ger 31,31-34, Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Come gli altri evangelisti, Giovanni narra l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme: la folla lo acclama come un liberatore senza, tuttavia, comprendere il segno della cavalcatura sulla quale Gesù siede e che annuncia o spiega un Messia dolce e non violento. Ma a questo racconto, il quarto evangelista aggiunge una scena che costituisce la terza lettura di questa quinta domenica di Quaresima (Gv 12, 20-33).
A causa della sua purezza e della sua concezione assai elevata di Dio, la religione d’Israele attirava dei pagani che si univano alla fede ebraica e al culto senza tuttavia accogliere o sottomettersi alla diverse e molteplici osservanze giudaiche. E così intrigati dall’accoglienza fatta a Gesù alcuni Greci si accostano a Filippo per domandargli di vedere il suo rabbi. L’espressione «Vogliamo vedere Gesù» significa evidentemente potergli parlare per conoscerlo meglio. Ma Gesù interpreta la richiesta come una domanda universale: l’umanità cerca un salvatore e così annuncia: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. » (Gv 12, 23-24).
Il tema dell’ora attraversa tutto il vangelo di Giovanni dalla risposta di Gesù a sua madre durante le nozze di Cana (2, 4). In verità, Gesù non è sballottato dalle onde degli avvenimenti: fin dall’inizio sa che dovrà compiere la volontà del Padre. Finalmente il momento solenne è giunto, la grande decisione va presa: il Figlio dell’uomo, il giudice al quale Dio ha donato il Regno eterno (cf. Dan 7,14) sta per essere intronizzato nella gloria. Ma questa intronizzazione non avverrà che attraverso la morte. Gesù conosce e comprende il suo destino così ben descritto nella parabola del piccolo seme che viene gettato nella più oscura e fertile profondità della terra: apparentemente si consuma, muore, ma solo per rinascere, per far germogliare una nuova vita che, dalle viscere della notte spunta, cresce, fiorisce e spande il suo profumo o sfama con il suo nutrimento. Il nostro corpo ci permette di entrare in relazione con gli altri ma questi legami, queste relazioni sono limitate, effimere, fragili: Gesù comprende che deve offrire il suo corpo perché, in seguito, una volta risorto, innalzato dal Padre, possa entrare in relazione sono solo con i Greci ma anche con tutto il mondo, con tutti gli uomini e le donne di ogni nazione e tutto ciò fino alla consumazione dei secoli. Gesù sarà sepolto come un singolo individuo e resusciterà come un popolo.
«Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 26). Ogni cosa verrà ricapitolata nella croce e tutto sarà realizzato attraverso la croce di Gesù, ma il cammino mortale nel quale egli si incammina è quello che dovrà anche prendere chiunque vorrà diventare suo discepolo. E mettersi alla sequela del Cristo non significa iniziare una carriera particolarmente splendida, o partecipare ad una organizzazione ammirata e applaudita da tutti, ma significa “seguirlo”, ovvero camminare senza ripensamenti verso “l’ora” del dono di sé. Al termine, però, di questo cammino fedele il discepolo verrà reso partecipe della gloria eterna del Padre. Servire Cristo conduce alla divinizzazione, all’avveramento divino dell’uomo, all’umanità piena perché colmata dall’amore. Tuttavia la prospettiva dell’orribile morte verso la quale Gesù si dirige non può essere evocata senza spavento o dolore: il Figlio dell’uomo resta un uomo, una creatura e come tale soggetta alla tentazione e allo sconforto.
«”Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”». (Gv 12, 27-29). Ma Gesù risponde: « “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (12, 30-33). Si avvicina dunque l’ora nella quale il mondo si appresta a giudicare e a condannare Gesù, ma operando in questo modo, il mondo non sa che giudica e condanna e danna se stesso. Il principe di questo mondo, Satana, la misteriosa potenza che fomenta, infiamma e attizza tutto il male del mondo sta per essere cacciato via, vinto, o piuttosto «gettato lontano» quando finalmente Gesù sarà «innalzato». Sì, Gesù sta per essere innalzato perché i suoi nemici lo crocifiggeranno come un detestabile bestemmiatore giustamente castigato! Ma la crocifissione, per quanto orribile, dolorosa, crudele che sia, risulterà in effetti una elevazione nella Gloria divina!
Gesù ha rifiutato il trono sul quale la folla voleva farlo assidere, ha rifiutato il palcoscenico del potere, gli applausi che si lanciano agli idoli. Il suo trono sarà la croce. Appeso tra cielo e terra, Gesù apparirà per coloro che avranno fede in Lui come il mediatore tra Dio e gli uomini e dopo aver provocato la fuga e la dispersione dei discepoli e degli apostoli, il Crocifisso attirerà ogni creatura fino alla fine della storia verso il Suo cuore. Così, l’ora della croce sarà allo stesso tempo glorificazione del Padre, gloria del Figlio, disfatta del male, onore del discepolo che segue il suo Signore e strumento di unità per tutti i popoli. Come afferma l’autore della Lettera agli Ebrei (seconda lettura) Gesù: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5, 9).