“Eccomi, manda me!”

10 febbraio 2018

LETTURE: Is 6,1-2a.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

“Eccomi, manda me!”. Così risponde il profeta Isaia al Signore che gli si è presentato in una solenne teofania richiedendo qualcuno da inviare per suo conto. Le labbra del profeta sono state purificate, egli ormai è pronto per assumere la missione e con spontanea determinazione si presenta per adempiere al compito… Questa scena di vocazione profetica costituisce la prima lettura della messa di questa V domenica del tempo ordinario e orienta l’ascolto del vangelo che, per l’appunto, ci presenta la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù.

Come sempre, è utile leggere un vangelo facendosi aiutare da ciò che lo differenzia dagli altri. Quando Marco e Matteo narrano la vocazione dei primi quattro discepoli lo fanno in modo molto stringato: l’improvvisa chiamata di Gesù “venite, vi farò pescatori di uomini” provoca l’immediata adesione dei pescatori che “subito, lasciate le reti, lo seguirono”. Si resta stupiti da tanta concisione e ci immagina uno sviluppo più lento e articolato di quel fatidico incontro che poi nella redazione evangelica è stato condensato in poche, incisive, parole. Inoltre, per i primi due evangelisti, la chiamata dei discepoli costituisce il primo atto pubblico di Gesù, che ha appena iniziato il suo ministero di predicazione per le contrade della Galilea e quindi è anche difficile immaginarsi come Pietro e i suoi amici avessero già avuto sentore dell’attività di Gesù. Proprio per questo la prontezza della risposta alla chiamata al discepolato, motivata soltanto dalla forza della parola del Maestro, colpisce e impressiona.

Non così fa Luca: già ci ha raccontato un esordio nazaretano del Signore in cui veniva menzionata la sua attività taumaturgica e poi ci ha presentato la sua attività di insegnamento –“la sua parola aveva autorità”- nonché la liberazione di un indemoniato e la guarigione, insieme a molte altre, della suocera di Simone. Il lettore è così più preparato a comprendere l’episodio della vocazione dei primi discepoli; inoltre il Signore ha approfittato della barca dello stesso Simone per ammaestrare la folla e così anche i pescatori avevano certamente avuto modo di essere impressionati dalla novità e dalla forza della sua parola. Proprio a questa parola si affida Simone, quando contro evidenza gli viene chiesto di buttare di nuovo le reti , dopo la lunga notte infruttuosa; e proprio questa parola produce ciò che annunciava: la rete è presto piena di una quantità esorbitante di pesci. Da qui lo stupore, poi il timore reverenziale e infine la prontezza e la radicalità della decisione (sottolineata soltanto da Luca): “lasciarono tutto e lo seguirono”.

La scorsa domenica la lettura della conclusione dell’episodio inaugurale del ministero di Gesù nel suo paese natale, Nazaret, ci aveva fatto meditare sulla centralità dell’annunzio cristiano: l’oggi dell’adempimento delle profezie nella persona del Signore, che è egli stesso lieto annunzio ai poveri e dice irrevocabilmente la prossimità di Dio nella storia degli uomini, la verità di una salvezza che illumina una realtà ancora opaca e oscura. Su questo l’incapacità di comprendere dei Nazaretani, il loro rifiuto e finalmente il proposito di eliminare fisicamente Gesù, metteva fin dall’inizio il vangelo sotto l’ombra della croce. Il brano odierno, che lo segue di pochi versetti, invece proietta su Gesù e su tutti coloro che si decidono per lui la luce della risurrezione: dove c’è lui, c’è Dio e l’impossibile diventa possibile! Così la pesca diviene miracolosa, sulla forza della sua parola, e così uomini piegati dalla fatica e dalla ripetitività di un lavoro infruttuoso scoprono in lui la possibilità di una vita nuova e totalmente diversa.

Quella pesca miracolosa che produce discepoli di Gesù, non ha più smesso di agire nella storia della comunità riunita dalla sua Parola: in ogni epoca la chiesa ha potuto sperimentare la fecondità dell’affidarsi a questa Parola, lasciando tutto per seguirlo.

La testimonianza di Paolo nella prima lettera ai Corinzi, uno dei più antichi scritti cristiani, redatto un paio di decenni dopo la Pasqua del Signore, ci dice proprio questo. Grazie all’opera di “pescatori di uomini”, il vangelo continua a portare frutto. Ricevuto e ritrasmesso, l’annuncio cristiano continua a essere causa di salvezza per tutti colo che in esso rimangono saldi. La prima professione di fede che Paolo sinteticamente ci trasmette (“Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa e quindi ai Dodici”) è la fonte di una inesausta ed inesauribile fecondità. Ad accoglierla nella fede, dice irrevocabilmente la salvezza ottenuta per tutti, in ogni luogo ed in ogni tempo. Questa verità sull’uomo e sulla sua storia la chiesa è chiamata a custodire, servire ed annunciare in ogni tempo ed in ogni luogo. Ed ognuno di noi dovrebbe dire al Signore le antiche parole di Isaia che abbiamo letto: “Eccomi, manda me!” in maniera che la verità testimoniata possa essere accolta e divenire causa di salvezza per sempre nuovi figli di Dio. In maniera che la pesca miracolosa continui a riempire la barca dei discepoli di Gesù, incoraggiati e spinti dalla sua presenza e dalla sua parola.