INCONTRO PROVINCIALE DELLA GIOVENTU’ DOMENICANA
(La Spezia, 30 settembre – 2 ottobre 2016)
I fatti

30 settembre – 2 ottobre 2016: la Gioventù Domenicana del Nord Italia si raduna al monastero benedettino di Santa Maria del Mare (la Spezia). Si contano gruppi dalla Spezia, da Venezia, da Bolzano, da Torino e da Milano. Ma la Gioventù Domenicana è appunto domenicana, al che pare piuttosto logico che vi sia qualche frate predicatore ad accompagnarli: emergono dal fondo della scena uno degli storici della Provincia, padre Massimo Mancini, accompagnato dalla sua ormai proverbiale gestualità ‘shakerata’; segue fra Giuseppe Valoti, economo del convento di Bolzano, anche lui ormai proverbiale per il suo cipiglio da guerriero (un frate da prima linea, insomma) ed infine uno studentello dell’Ordine. Del resto, se esistono i proverbi è perché qualcuno li impari: quello sono io, mandato per comprendere cosa significa pastorale giovanile sul campo.

Una vita pensata…

Ecco il primo giorno: una sala di un moderno monastero, un’enorme finestra lungo tutta la parete di fondo, al di là di esso un terso scorcio di mare: la Spezia. Taglia il nostro silenzio, e forse ancora di più la nostra attesa, una voce anziana, un po’ rauca: “Un uomo deve avere un’idea di vita, per vivere la propria vita”. È il professor Carlo Lupi con gl’anni intensi della sua lunga esperienza di filosofo e laico domenicano impressi sul viso e nel timbro concitato della voce: “Oggi ci direbbero che bisogna avere un’opinione sulla vita, per viverla. Ma questo tradisce lo sguardo con cui l’uomo del nostro tempo vede la realtà: un opinione non è un’idea. Un’idea è fissa, un’opinione no”.
È tremendamente vero: fondare tutta la propria vita su un’opinione, significa rendere la vita opinabile. Questo produce necessariamente o il fanatismo, che conscio della debolezza della propria posizione, la difende coi denti, più che con la mente; oppure porta al relativismo scettico, che rinuncia ad edificare una vita e si lascia trascinare dalle occasioni di passaggio il che significa vivere occasionalmente.
Ora, “l’idea per una vita di un cristiano è un’idea fatta carne: Cristo!”. Ecco con quali occhi bisogna riscoprire la propria vita, con gl’occhi della fede, ed ecco il carisma della gioventù domenicana. In quanto gioventù è composta da giovani e il giovane è colui che ha la vita davanti a sé. La ricchezza di questo futuro si può cogliere solo in un progetto sulla propria vita, ma un progetto implica un’idea e un’idea è vera quando è pensata. Se la nostra vita è una vita di fede, una fede non pensata è una fede che non merita di essere creduta. In questo ultimo aspetto capiamo perché è domenicana: è una gioventù predicatrice, capace cioè di dare tutte le ragione per cui credere. Del resto “noi non diciamo che una cosa sia vera perché la dice il Magistero, ma che il Magistero dice una cosa perché è vera”.
La forza di questa fede è quindi proprio nella sua ragionevolezza, nelle sue meditazione e motivazione. Il prof. Lupi, del resto, ha sottolineato un’idea di vita deve tenere conto della convivenza: l’uomo non è solo, è un animale sociale. Il motivo per cui tutti gli uomini possono vivere insieme, nonostante idee diverse e talvolta inconciliabili, non è relativistico: consiste nel fatto che ogni uomo è ragionevole e ogni uomo desidera di vedere Dio. Ogni uomo, del resto, desidera una felicità infinita ed eterna. Così il prossimo non è più l’avversario della mia idea, ma il portatore implicito o esplicito del mio stesso desiderio. Comprendere questo desiderio significa comprendere quel comune denominatore che lega tutti gli uomini.

Per un amore vissuto

Tutto questo ha pennellato una prospettiva profonda, incisiva e che, tuttavia, sarebbe rimasta in un certo senso incompleta, se il giorno dopo non avessimo incontrato il professore Giacomo Bertolini: scesi dalla verde cima del monastero, abbiamo seguito il secondo relatore fra le viuzze liguri di Lerici, sino a rintanarci a causa della pioggia in un legnoso sottotetto. Qui Bertolini ci ha introdotti al problema dell’affettività: del resto, avere un’idea di vita per vivere, implica porsi il problema di ciò che rende vivibile la vita. L’uomo, da che mondo è mondo, considera invivibile una vita senza amore. “La qualità della nostra vita è data dalla qualità del nostro amore” – ci ha detto Giacomo. Ma il cristiano non è forse qualcuno che ama anzitutto Dio? La qualità del nostro amore di cristiani, è divina, deve esserlo. Ma come si fa ad amare tutti divinamente? Bertolini l’ha detto con un pugno di magnifiche parole: “Amate tutto in Dio”. Il problema non è amare o non amare tutto, ma cessare di amare ‘a tratti’ o a ‘compartimenti stagni’. Amori schizofrenici, implicano una vita schizofrenica.
Capire questo significa comprendere che l’amore sia la vita stessa della vita, la sua linfa essenziale. La logica dell’amore è la logica del dono. “La nostra natura è quella di donarsi, sicché una vita che non si dona, è una vita invivibile”. Ma un dono della vita, logicamente deve durare per la vita. L’amore, quando è vero, non torna mai sui suoi passi, perché cammina coi piedi dell’altro. E qui trovano senso tutte quegli aspetti dell’amore coniugale e religioso a cui una gioventù (specialmente se domenicana) naturalmente tende: l’indissolubilità, la fedeltà, il sacramento, il rispetto del corpo dell’altro non sono gioghi dall’alto, sono promesse. Di che cosa? Di Eternità. Non è questo il significato della Croce? In fin dei conti, Dio non ci ha amato fino alla fine, per amarci senza fine?

fra Pietro Zauli