Siamo tutti abituati a pensarci in una “casa”, piccola o grande che sia. Ma sino a pochi mesi prima di iniziare la fondazione della nostra comunità (1999) non sapevamo dove avremmo potuto abitare. Questa precarietà ha sempre accompagnato il nostro cammino, ma dobbiamo anche testimoniare che la Provvidenza ci ha sempre accompagnate o meglio, precedute…!

Dunque, una cifra presente dall’inizio del nostro cammino comunitario è quella dell’itineranza: interiore, certo, ma anche concreta.
Il termine ebraico con cui si indica una casa è la seconda lettera dello stesso alfabeto ebraico, la bet, una “c” quadrata e capovolta: tre pareti e un’apertura, passaggio per entrare e uscire. Elaborando il progetto comunitario, uno degli elementi con il quale abbiamo voluto esprimere la fisionomia della nostra comunità era l’ospitalità. In questi anni, la comunità ha accolto persone o piccoli gruppi che volevano fermarsi per pregare con noi. Compito impegnativo e arricchente, che però – anno dopo anno – ci ha fatto toccare con mano l’insufficienza degli spazi della nostra casa, sia per la vita della comunità, che intanto si era arricchita di due giovani vocazioni (ora siamo in sette…), sia per l’accoglienza.

Cosa fare? Con l’aiuto del vescovo di Torino e del suo vicario per la Vita Consacrata, abbiamo cercato alternative alla nostra “casetta”, ma i costi erano sempre per noi insostenibili, impossibili…
Poi, una sera del settembre del 2014 abbiamo ricevuto una telefonata dal vescovo di Lamezia Terme: stavano costruendo un monastero, in cui sarebbe dovuta andare una comunità monastica, che però improvvisamente aveva rinunciato. La diocesi dunque aveva un monastero, ma mancavano le monache. Secondo quella “casualità” divina che conduce la storia, il vescovo aveva saputo della nostra ricerca.
Dopo una serie di telefonate, abbiamo deciso di andare a vedere! La comunità volante: questo ci mancava! La realtà che abbiamo incontrato… era straordinaria: il vescovo, alcuni preti e religiose, alcuni laici ci hanno accolto e hanno condiviso con noi il desiderio di averci con loro, la passione per l’annuncio del vangelo e per la ricerca e la costruzione del bene comune con tutte le forze sociali. L’impatto con questo territorio e la sua gente, con le problematiche sociali ed ecclesiali e con tutti i valori che lo caratterizzano, hanno fatto ardere il nostro cuore della passione di san Domenico per la missione. Ne siamo rimaste frastornate!
Purtroppo, durante gli incontri, ci siamo anche rese conto che, alcuni problemi di vario tipo (la grandezza dell’edificio, la nostra insufficiente autonomia economica in una terra ancora molto segnata dalla presenza mafiosa), ci avrebbero potuto mettere seriamente in difficoltà. Riunioni comunitarie e capitoli, riflessione e preghiera hanno ritmato il tempo del discernimento durante il quale abbiamo toccato con mano l’azione dello Spirito, che ha fatto compiere a tutte un cammino di ulteriore unità, maturazione, comprensione del senso della missione, al termine del quale siamo arrivate alla sofferta decisione di rinunciare a questo progetto che ci aveva profondamente coinvolte.
Ma questa non è stata un’esperienza inutile: aver incontrato una realtà ecclesiale così povera ma anche ricca di valori e assetata della Parola di Dio, aver vissuto la splendida esperienza di essere attese e accolte da una diocesi che esprimeva il desiderio di collaborare insieme per la missione, aveva mutato radicalmente i nostri criteri di ricerca: eravamo consapevoli che la nostra attenzione ora non si focalizzava sulla necessità (che rimaneva pur vera!) di cercare una casa, ma sul desiderio di porci in ascolto per capire dove lo Spirito ci conduceva per rispondere ad una missione.
La Provvidenza si manifestò nuovamente attraverso il cardinale Severino Poletto, che ci aveva accolto nella diocesi di Torino nel 1999. Egli ci mise in contatto con il vescovo della diocesi di Casale Monferrato. Dopo il primo incontro nel quale sono stati condivisi i rispettivi desideri e attese, il vescovo di Casale ha espresso la sua speranza di vederci inserite nel tessuto ecclesiale della sua diocesi. Insieme abbiamo preparato un “progetto pastorale”, che descrivesse il senso della nostra presenza: una presenza orante, di donne che vivendo la passione e la compassione di san Domenico tentano di lasciarsi plasmare dalla Parola per poterla condividere e offrire a quanti si avvicinano attraverso la preghiera liturgica condivisa, la lectio divina, incontri di spiritualità o semplice accoglienza per chi chiede uno spazio di silenzio o di riflessione.
E la casa? Il vescovo aveva proposto come sede per il nostro monastero una costruzione suddivisa in due strutture adiacente al santuario della Madonna di Crea. Di queste strutture una, la più piccola, necessitava solo di alcuni lavori per renderla il più possibile utilizzabile dalla comunità; l’altra, che dovrà divenire sede del monastero, è totalmente da ristrutturare e richiederà tempo e un non piccolo impegno economico.
A questo punto, abbiamo sentito la necessità di un ulteriore discernimento. Ci siamo chieste cosa stavamo cercando: la sicurezza di una casa perfettamente a posto e funzionale, o potevamo vivere la libertà di scegliere di rispondere alla chiamata ad una missione che avevamo intuito, povere con i poveri, a servizio di una chiesa? Dopo un tempo di paura, di riflessioni e confronti, con profondissima gioia… abbiamo ribadito il nostro “sì”, consapevoli del rischio, ma anche sicure che il Signore camminerà con noi.
La preparazione del trasloco è stata lunga e laboriosa: mesi che hanno impegnato a fondo la comunità che, nello stesso periodo, è stata segnata dall’esperienza della malattia prima e poi della morte di sr. Margherita la quale, pur ammalata, fino all’ultimo ha aderito con passione e gioia a questo cammino, accompagnandolo e arricchendolo con l’offerta consapevole della propria sofferenza e preghiera.
L’aiuto di tantissimi amici ha reso possibile e meno faticoso il nostro passaggio a Crea: ancora esperienza della forza dell’amicizia!
A fine maggio, ha avuto così inizio concretamente la nostra “nuova avventura” accanto al santuario dedicato a Maria venerata come “Madre di Dio” : e tutto iniziava ancora, in qualche modo, sotto il segno dell’itineranza. Della nostra futura casa, in questo momento, c’è solo la “parete mancante”, quella che dice apertura all’accoglienza; e le altre tre pareti della bet? Quando Dio vorrà!!
Il nostro monastero è intitolato a santa Maria Maddalena, colei che per prima è stata inviata dal Risorto, da lui messa in cammino, per annunciare la buona notizia ai fratelli e alle sorelle: forse, è per questo che siamo ancora in cammino?
Sr. Gabriella op e comunità