Sprazzi di ilarità, tra austeri richiami e geniali richiami
A realizzare la geniale intuizione di Domenico, contribuì un’équipe di persone eccezionali, il cui contributo conferì all’Ordine nascente una solida struttura, sia apostolica che giuridica: Giordano di Sassonia, Raimondo di Penyafort, Giovanni il Teutonico, Reginaldo d’Orléans, Bartolomeo di S. Concordio, Vincenzo di Beauvais ed altri ancora, che con la parola e gli scritti promossero audacemente l’deale che li aveva abbacinati: studio, predicazione ed articolazione canonicale
Ho intenzionalmente omesso la menzione del più eminente e geniale artefice di questa opera provvidenziale, Umberto di Romans, quarto successore di san Domenico. al quale le eccezionali doti consentirono di fronteggiare e risolvere onerosi compiti sia nell’Ordine, in fase nascente, che nella Chiesa travagliata da situazioni gravissime.
Questo breve excursus, ha soltanto lo scopo di richiamare l’insospettabile e paradossale vena umoristica che, imprevedibilmente, affiora ad intermittenza proprio nelle pagine più severe dei suoi scritti e nel suo folto epistolario: negli stessi passaggi più impegnativi o nel bel mezzo di una severa dissertazione sulla vita religiosa, Umberto dischiude spiragli di autentico umorismo che attestano un raro senso critico ed il profondo realismo del suoi giudizi.
L’insieme di queste sue risorse si spiegano con una singolare ‘notizia di corridoio’: nel Capitolo Generale di Buda (1254), la scelta della sua persona come Maestro dell’Ordine, avvenne “cum magna concordia electorum” e quando, nel Capitolo di Londra (1263), la salute lo costringerà a rassegnare le dimissioni, un padre capitolare attesta che “humiliter nobis petiit”.

Ecco dunque una magistrale ‘lezione di enologia’
Riguardo a quei religiosi che si procacciano vivande a scapito degli altri frati.

In una certa abbazia, per antica consuetudine si conservava dell’ottimo vino per la comunità, fino alla stagione nella quale i vini si alterano. Una volta, all’approssimarsi di quella stagione, il cantiniere ed alcuni altri religiosi, si recarono dall’abate, ritenuto uomo virtuoso, e gli dissero: “Signor abate, abbiamo contratto un grosso debito e non vediamo come assolverlo, se non vendendo proprio quel vino”. Udito ciò ed immedesimandosi al dispiacere di tutta la comunità, l’abate disse: “Per amor di Dio! Guardate se non abbiamo lana, o formaggi, o fieno o qualunque altra cosa che possa vendersi, perché sarebbe gravissimo per la comunità venire privata di un vino che la sostiene nelle fatiche e le conferisce giovialità nelle ricreazioni!” Ma quelli risposero: “Abbiamo a lungo studiato ed esaminato la situazione, ma non siamo giunti ad altra soluzione”. Allora l’abate disse: “Trovatevi domani in Capitolo e decideremo in merito”. Dinanzi a costoro ed all’intera comunità, l’abate prese atto della situazione debitoria del convento e della necessità di vendere quel vino. Dopo averli esortati in tutti i modi ad avere pazienza, disse tra l’altro: “Proprio per rafforzare la vostra pazienza vi prometto sul mio onore che per tutto questo tempo io non berrò altro vino che quello che bevete voi; ed in virtù di santa obbedienza ordino al cantiniere ed a tutti gli altri “officiali” che nessuno, in casa o fuori, beva altro vino che quello scadente della nostra abbazia”. Sciolto il Capitolo, il cantiniere e gli altri “officiali”, consumarono il vino scadente e poi si radunarono per cercare se proprio non vi fosse altra soluzione per saldare il debito. Trovatala, tornarono dall’abate e gli dissero: “Signor abate, abbiamo finalmente una soluzione per saldare il debito, senza dover vendere il nostro vino pregiato!” Al che l’abate esclamò: “Deo gratias! Consiglio ottimo! fate pure così! E se qualcuno insinuasse che in questo modo si trascurano le provviste dell’abbazia, dite che proprio i più anziani – non certo mossi sull’esempio del Signore – spesso si compensano fuori del convento con leccornie – e poi fingono di preoccuparsi di cosa mangi o beva la comunità!”.
Per cui il refettorio viene abbandonato come una casa deserta, esattamente realizzando la maledizione del Signore sui Farisei: “Ipocriti, esteriormente mostrate apparenze di giusti, ma all’interno siete colmi d’ipocrisia e di iniquità!” (Matteo 23,28)

In nota (pag 363), il Nostro appone una cantilena ricorrente nel mondo monastico:
Bonum vinum cum sapore
bibit abbas cum priore:
sed conventus de pejore
semper solet bibere

p. Valerio Ferrua