I PARTE

Nella serie di film “Le storie della Bibbia”, distribuite dalla San Paolo, un film intero (in due DVD), accanto a quelli su Abramo, Mosè, Davide, Gesù, Paolo, è dedicato alla storia di Sansone e Dalila. Indubbiamente la storia del forzuto israelita e della perfida cortigiana filistea si presta bene a una riduzione cinematografica, ma non possono non sorgere alcune domande: perché dedicare tanto spazio a un episodio così marginale? È giustificato mettere Sansone, con la sua ambigua e poco edificante vicenda, sullo stesso livello dei patriarchi, dei liberatori, dei re e dei profeti d’Israele?

Da qui la domanda fondamentale: lasciando perdere il film e le scelte dei suoi produttori, perché la storia di Sansone è stata inserita nella Bibbia? Se c’è entrata deve contenere un messaggio di salvezza, ossia dire qualcosa su Dio e sull’uomo che sia rivelazione, parola viva per chi la legge e la ascolta, allora come oggi: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rm 15,4). Se poi, leggendo la lettera agli Ebrei, che verso la fine fa un elogio degli antenati israeliti illustri per la loro fede, ci si imbatte in versetti che così recitano:”E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti; per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri” (11,32-34), l’interesse aumenta, perché quello che nella vicenda del nostro eroe sembra assente è proprio la fede: Sansone appare come un impenitente donnaiolo e come un solitario ed eccessivo vendicatore dei torti subiti da lui solo, disinteressato alla condizione dei suoi connazionali; non risponde proprio all’immagine che ci si aspetterebbe da chi è stato scelto dal Signore per liberare il suo popolo dall’oppressione filistea.

Si può allora capire come possa valere la pena di leggere e meditare i capitoli 13-16 del libro dei Giudici, perché possono offrire una buona occasione per esercitarsi in un’autentica, non scontata, impegnativa comprensione della Scrittura; questa lettura è alla portata di tutti, non servono eruditi commentari, strumenti esegetici e neppure la conoscenza della lingua ebraica: basta una buona traduzione italiana della Bibbia, come quella ora rinnovata della CEI, con delle buone introduzioni e note, ad esempio la nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme. Soprattutto bisogna non scoraggiarsi, leggere e rileggere, porre continue domande al testo, consapevoli che la comprensione della Scrittura è inesauribile e che più che a risposte si arriva a sempre nuove domande.

Prima di iniziare la lettura del nostro testo, riassumo alcune considerazioni di metodo:

  • Bisogna leggere tutta quanta la Scrittura, non solo i libri o le parti che ci piacciono o che ci dicono qualcosa che va incontro al nostro sentire, che corrispondono alle nostre idee su Dio: sono proprio le parti che tralasciamo, che riteniamo difficili o datate, pleonastiche, ripetitive o inutili che possono aprirci a comprendere qualcosa della perenne e inesauribile novità di Dio. Leggere la storia di Sansone è un buon esercizio per mettere in pratica questo principio
  • La Bibbia è un dono di Dio per tutti, non solo per gli specialisti, gli esegeti, i teologi, i preti. Ognuno può leggere e cercare di comprendere: mentre si legge Dio ci parla e ci invita a capire. Ma ci vuole tempo, non lasciare perdere scoraggiati, ma leggere e rileggere, continuando a porre delle domande al testo.
  • Si deve leggere la Bibbia con la Bibbia, porre attenzione ai rimandi, ai richiami, ai collegamenti fra un brano e tutto il resto della Scrittura.
  • Inoltre, se Dio parla a tutti, vuol dire che non parla solo a me e che ha già parlato molte altre volte e in diversi modi: bisogna leggere in comunione con la Chiesa e con la sua Tradizione.
  • Infine bisogna leggere pensando all’oggi: la parola arriva a me che la leggo e mi rivela qualcosa su me stesso, parla alla mia vita e la giudica.

A questo punto è importante che ognuno, se ne ha voglia, vada a leggersi la storia di Sansone. Così è attrezzato per leggere il seguito di questo articolo.

Innanzitutto, il contesto immediato: la storia di Sansone si trova verso la fine del libro dei Giudici, anzi ne è in qualche modo la conclusione, perché i capitoli che seguono sono delle appendici. Questo libro è un’opera deuteronomista (scuola di uomini pii, imbevuti delle idee del Deuteronomio, che meditano e raccontano la storia di Israele cercandovi una lezione religiosa) che intende narrare, senza lasciare lacune, il periodo (ritenuto di 480 anni) che va dalla morte di Giosuè all’inizio del ministero di Samuele e quindi alla storia di Saul e di Davide. I giudici (non solo amministratori della giustizia, ma anche capi politici e militari) sono l’istituzione intermedia tra il regime tribale e la monarchia.

Lo schema teologico del libro è molto semplice ed esposto in 2,11-2: gli Israeliti hanno fatto ciò che è male agli occhi di JHWH, che li ha consegnati nelle mani dei nemici; nell’oppressione  il popolo ha invocato JHWH che, mosso a compassione, ha suscitato un liberatore-salvatore; ottenuta la salvezza, dopo poco Israele riprende la sua infedeltà e la storia ricomincia

Il libro ci presenta in particolare le storie di sei giudici “maggiori”, Otniel, Eud, Debora-Barak, Gedeone, Iefte e infine il nostro Sansone, che sono giudici liberatori, hanno cioè ricevuto da Dio una missione, accompagnata da un carisma particolare, in vista della liberazione-salvezza del popolo dalle mani dei suoi nemici. Questi nemici sono di volta in volta i Moabiti, gli Ammoniti, i Madianiti e infine i Filistei, contro cui si batte Sansone. Saranno proprio i Filistei gli avversari dei primi re-messia, Saul e Davide.

Già dal contesto abbiamo un’indicazione importante: quando Dio deciderà di dare a Israele un re-messia sarà perché “egli salverà il mio popolo dalle mani dei Filistei”(1Sam 9,16). Sansone fa dunque parte dei precursori dei messia di Israele, perché “comincerà a salvare Israele dalle mani dei Filistei”(Gdc 13,5). Questi versetti non possono non richiamare l’inizio del vangelo di Matteo: annunciando la nascita del definivo re-messia, l’angelo dice a Giuseppe che: “tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”(1,21). Sansone è quindi un lontano annunciatore di quello che finalmente un messia dovrà compiere. Questa idea è rafforzata dal fatto – e qui lasciamo il contesto ed entriamo nella nostra storia vera e propria- che anche la nascita di Sansone è preceduta da un’annunciazione, anzi da una doppia annunciazione (cap. 13).

Questo fatto è tanto più curioso se si pensa che non si è mai fatto cenno all’infanzia degli altri giudici di Israele e che anche i primi re-messia, Saul e Davide, entrano per così dire in scena non più fanciulli. È come se ci si fermasse per un momento nella narrazione di fatti guerreschi e si dicesse al lettore di fare attenzione, qualcosa di nuovo ed importante sta succedendo. In effetti è proprio così: la madre di Sansone – il suo nome non ci viene detto, ma conosciamo quello del marito, Manoach, della tribù di Dan – è sterile; il richiamo alla storia di Abramo e Sara raccontata nella Genesi è immediato, ma si pensi anche alla madre di Samuele e, infine e con più aderenza dei termini impiegati, ad Elisabetta, la madre del Battista.

Siamo così rinviati al prologo del vangelo di Luca, che è pieno delle eco di questa scena. Elisabetta, una sterile che per intervento divino partorirà un figlio che sarà consacrato al Signore, richiama in modo molto preciso questa madre, il cui figlio – Sansone – sarà un nazireo di Dio (cfr Nm 6) fin dal seno materno. Ma non è Elisabetta che riceve la visita di un angelo: è ad un’altra donna che non ha mai partorito, Maria, che un messaggero celeste annuncia la nascita di un salvatore. Due donne, Elisabetta e Maria, assumono l’eredità della moglie di Manoach. I loro figli, Giovanni e Gesù, trovano in Sansone un loro lontano precursore, anche egli abitato in modo particolare dallo “spirito del Signore [che] cominciò ad agire su di lui “(Gdc 13,25).

Tante cose ci sarebbero da dire su questo primo capitolo della storia della nostro eroe, specialmente riguardo al rapporto, diverso e complementare, che la donna e suo marito Manoach hanno con la presenza di Dio che in modo inatteso si manifesta nella loro esistenza, ma è importante per la nostra riflessione aver evidenziato il rapporto tipologico che lega Sansone al messia: per come viene presentato, Sansone è un “tipo” di Gesù (cioè: dovendo raccontare la nascita del messia, l’evangelista Luca ricorre anche al materiale che la Scrittura gli offriva nella narrazione della nascita dell’eroe danita).

Sulla falsariga di questo rapporto, si può leggere tutto il seguito delle vicende di Sansone, cercando di vedere ciò che lo avvicina, ma soprattutto, come si vedrà, ciò che lo allontana, dalla tipologia del messia-salvatore.

La donna partorì un figlio che chiamò Sansone. Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse. Lo spirito del Signore cominciò ad agire su di lui…”(13,24-25). Da qui inizia il racconto delle avventure del giovane Sansone che evitiamo qui di seguire nel dettaglio limitandoci a sottolineare alcune caratteristiche. Da subito Sansone, che in virtù del suo nazireato è dotato di una forza prodigiosa, appare dominato da una vera ossessione per le donne, possibilmente filistee: incurante degli avvertimenti, passa da un’avventura sentimentale a un’altra; le situazioni scabrose in cui si infila gli danno modo di scontarsi con i nemici e di fare esibizione di forza; è vendicativo e impulsivo, non tiene conto della situazione del suo popolo e dei danni che i suoi comportamenti gli causano; quando invoca Dio (un’unica volta prima della fine, in 15,18) lo fa solo perché ha sete, altrimenti mai dalla sua bocca si può sentire un richiamo, un riferimento al Dio d’Israele.

Eppure Dio è con lui, lo spirito che gli è stato dato continua ad investirlo (14,19). Sembra più un eroe da leggenda popolare che uno strumento nelle mani di Dio, ma è proprio di lui che il Signore si serve. Sansone è un uomo diviso fra la sua vocazione e le sue passioni, non riesce a dare una direzione coerente alla sua vita, fino a trovare una conclusione tragica, eppure rimane oggetto di predilezione divina: leggendo la sua storia si ha l’impressione che Dio lo guardi con simpatia, incurante del moralismo devoto con cui un pio lettore può giudicare queste avventure. In definitiva, come in tutta la Scrittura, la vicenda di Sansone ci parla di Dio, della sua immotivata, gratuita, simpatia per l’umanità. Sansone lo sa e se ne approfitta, ma alla fine si riconsegna totalmente a Dio.

Siamo nel tempio di Dagon, il dio filisteo. Sansone, privo di forza e cieco, è trascinato in mezzo per esibirsi come un fenomeno da circo. Non c’è che dire, se l’è andata a cercare, troppo l’ha accecato la sua passione per Dalila. Ora i Filistei che ne avevano terrore possono farsi beffe di lui, celebrando festanti la loro vittoria, che è quella del loro dio: “Il nostro dio ci ha messo nelle mani il nostro nemico, che devastava la nostra terra e moltiplicava i nostri caduti”(16,24). Ma proprio ora, mentre si sta celebrando la sua sconfitta, il povero Sansone ha la possibilità di diventare davvero, alla fine, quello che Dio si aspettava da lui e diventa, per un attimo e nel momento estremo, strumento perché si celebri la vera vittoria, quella dell’unico dio, il Dio d’Israele, e non della sua inconsistente scimmiottatura, il dio Dagon. “Signore Dio, ricordati di me! Dammi forza ancora per questa volta soltanto, o Dio, e in colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!”(16,28). Con queste parole sulle labbra Sansone fa crollare il tempio, causando la rovina di tutti i Filistei: “furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita”(16,30). Nell’ora della morte Sansone è tornato al suo Dio: costretto ad essere ciò che in realtà era sempre stato, cieco e privo di vera forza, diviene così strumento di liberazione e di salvezza, collabora alla realizzazione del piano di Dio per il suo popolo. Già lo sappiamo, Dio si serve di chi è debole per confondere i forti, può essere suo strumento solo chi si affida a lui con cuore affranto e umiliato.

Così, giunti alla fine della storia, abbiamo trovato una risposta soddisfacente alle domande che ci ponevamo all’inizio. Ma altre domande sorgono e altre ricchezze che non abbiamo trovato contiene il testo. Non resta che continuare a leggere e rileggere la Parola, farsi domande sempre diverse e trovare risposte sempre nuove.

fra Enrico Arata