Il dono dello Spirito: la conoscenza della verità e la comunione dell’amore
31 maggio 2020
LETTURE: At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23
Attraverso le tre letture proposte per la festa odierna la Parola di Dio fa emergere tutta la ricchezza e la profondità del mistero dello Spirito Santo. Il vangelo di Gv 20,19-23 rimanda e riporta alla sera di Pasqua: ciò permette di cogliere meglio il significato della Pentecoste. Il quarto evangelista collega, infatti, il dono dello Spirito alla resurrezione di Cristo e la liturgia fa altrettanto con il simbolo del cero pasquale ancora acceso che sarà, però, spento la sera al termine della giornata indicando così la fine del tempo pasquale: «Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito santo”» (Gv 20, 22). È dunque il Risorto che dona il suo Spirito e questo dono dello Spirito è associato al perdono dei peccati. Il brano tratto dagli Atti degli Apostoli (prima lettura: At 2,1-11), che rappresenta l’elemento costitutivo della festa, così colmo di allusioni alle Scritture, suggerisce l’immagine lucana della Chiesa, il nuovo Israele guidato non più dalla Legge ma dallo Spirito (gli elementi del tuono e del fuoco ricordano la consegna da parte di Dio della Legge sul Sinai a Mosè, evento capitale intorno al quale ruota la liturgia della Pentecoste ebraica).Testimonianza preziosa e plastica offre la seconda lettura (1Cor 12, 2b-7, 12-13) delle prime comunità cristiane nel mondo greco intorno al 50: è lo Spirito che animando queste piccole chiese con i suoi doni molteplici e diversi, allo stesso tempo le custodisce e le conserva nell’unità, perché: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12, 7).
L’ascolto attento e meditativo delle letture bibliche odierne, offrono, come sempre, una serie molteplice di piste di commento e di riflessione, in questo caso sulla divina Persona dello Spirito Santo e sulla Sua missione. Tra le tante ci si può, tuttavia, limitare ad evidenziarne due: la conoscenza della verità e la comunione d’amore che unisce le creature a Dio e le creature tra di loro, tramite lo Spirito. «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31). Ora, dimorare nella parola di Dio significa lasciare che Dio mi parli al cuore. Quello Spirito che tante volte aveva parlato per mezzo dei Profeti, è lo stesso Spirito di Gesù che mi permette di poterlo conoscere in verità e compiutamente: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Questa verità tutta intera è il dono che Dio fatto all’umanità nel suo Figlio Gesù, il quale, in un giorno accaldato, disse ad una donna della Samaria: «Se tu conoscessi il dono di Dio…» (Gv 4,10); e ora, quel “se tu sapessi” Egli lo dice a ciascuno di noi: questo dono e la sua vita e il dono del suo amore!
Nella grande preghiera elevata al Padre prima di entrare nella Sua passione, preghiera che si colora allo stesso tempo del tono della confidenza amicale rivolta agli apostoli, Gesù domanda esplicitamente che «l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). Lo Spirito Santo è questo amore del Padre al Figlio e del Figlio al Padre e ricevere lo Spirito comporta di divenire partecipi della vita stessa, intima, di Dio: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3); e ancora: «Se conosceste me, conoscereste anche il Padre »(Gv 8,19). E san Paolo chiarirà che senza «lo Spirito di Dio […] nessuno può dire “Gesù è Signore!”» (1Cor 12,3). Altrimenti detto: lo Spirito santo ci conduce alla vera conoscenza del Figlio e in quella comunione di carità che costituisce la vita stessa di Dio. Attraverso lo Spirito e nello Spirito noi diventiamo così figli del Padre nel Cristo, il Figlio unigenito. Conoscere il disegno d’amore di Dio, all’opera dal momento della creazione e pienamente manifestata in Gesù, ci introduce in questa corrente d’amore. E conoscere l’amore significa sapersi amati fin da ora: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23) e, ancora: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,8).
Ma, per amare con la caratteristiche di questo amore è necessario entrare nella dinamica della povertà di Dio che da ricco che era si fece povero in Gesù per raggiungerci e toccarci nella nostra povertà e permetterci, così, di ricevere il Suo amore. Lo Spirito Santo è questo dono del Padre e del Figlio e, allo stesso tempo, la loro intima, amorosa, comunione, una comunione così perfetta da custodire l’unicità di Dio pur nella diversità delle Persone. Nel cuore di colui che Lo accoglie, lo Spirito colloca e rafforza il dono dell’amore. Amare in verità significa donarsi totalmente e diventare a tal punto povero da permettere all’altro di riempirci con il suo amore. Questo è vero dell’amore per il Signore ma anche di quello che unisce due sposi, due amici, insomma di ogni vero amore. Solo questa acconsentita povertà ci permette di accogliere gli altri con tutta la ricchezza della loro diversità di temperamento e di carattere, di opinioni, di gusti, ecc.: non può esserci comunione che nell’accettazione gioiosa di questa diversità, altrimenti si rischia la fusione o la prevaricazione. E solo tale attitudine di povertà davanti all’altro e di accoglienza della diversità che egli reca con sé permette allo Spirito Santo di realizzare una comunione che sia un’immagine della vita trinitaria e di fare di noi veramente il corpo di Cristo. «Padre Santo, custodiscili nel tuo nome […] perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11).
In sintesi, l’accoglienza fraterna nell’amore è il dono dello Spirito che in questo giorno di Pentecoste siamo chiamati a implorare nuovamente per le nostre comunità, per le nostre famiglie, per la chiesa, per il mondo intero.
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