È molto difficile esprimere il significato di quanto il Signore ha compiuto in me attraverso l’ordinazione presbiterale. Mi ha reso conforme a lui che è Pastore e Capo della sua Chiesa; mi ha reso idoneo a presiedere nel suo nome – in persona Christi, dice la teologia – l’Eucaristia, e mi ha dato la facoltà di assolvere dai peccati coloro che con cuore contrito si accostano al sacramento della Penitenza. In questo sono stato costituito ministro della sua infinita misericordia. Con san Paolo posso allora annunciare con la mia vita sacerdotale che “Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”(1Tm 1,15b-16). Nell’Ordine di san Domenico questo ministero di misericordia diventa predicazione. Nella vita comune e nello studio noi Domenicani siamo chiamati a vivere e ad esercitare quella misericordia veritatis che è stato il motore dell’intensa vita apostolica di san Domenico. Le notti in pianto, le giornate passate nell’annuncio o nel viaggio: tutto era in lui animato dall’amore per il Signore che lo faceva vivere per annunziare la salvezza ai peccatori, la verità agli erranti, la gioia agli afflitti,la liberazione agli oppressi. L’annuncio della Buona Novella che comprendeva tutto questo e il rendersi disponibili, nella vita sacerdotale, per la celebrazione dei sacramenti, consentiva a Domenico, e oggi a me insieme a tanti confratelli, di essere dispensatori della Grazia, servi inutili di quel mistero ineffabile per cui ogni uomo in Cristo è chiamato a partecipare della sua stessa vita divina. Oggi come ai tempi di san Domenico e lungo tutto l’arco della storia domenicana, il frate presbitero è chiamato essenzialmente a donare la parola di verità e i sacramenti di salvezza a servizio di Cristo e della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa. Oggi come allora tutto quanto è conforme al fine della divinizzazione dell’uomo in Cristo viene a far parte della “cassetta degli attrezzi” del predicatore perché la sua vita apostolica sia più efficace, di quella efficacia, tuttavia, che è propria della croce. Per amore, allora, il frate potrà di volta in volta essere professore o clown, medico o fattorino ed altro ancora, ma la sua tensione vitale sarà sempre tesa alla comunicazione di quel Cristo di cui si è contemplato l’amore viscerale e inarrestabile e da cui si è stati coinvolti in una sequela che è vita nuova: esperienza di Dio ed esperienza di sé insieme ai fratelli.
“Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue… ” pronunciare queste parole nel contesto della celebrazione eucaristica non può non far pensare al fatto che il Signore, conformandoci a sé, ci invita ad amare come lui ci ha amati e, pertanto, a donare la vita per gli amici. E – sono sue parole – non c’è cosa più grande di questa. Il dono di sé implica necessariamente il sacrificio e su questo cammino siamo tutti dei dilettanti di fronte ad un unico Maestro. La vita apostolica della nostra provincia domenicana potrà contare solamente sul dono di sé che ogni frate attuerà per corrispondere alla propria vocazione. Nessuna umana strategia, nessuna pianificazione amministrativa potrà mai sostituire la misteriosa efficacia di una vita, forse non appariscente, ma vissuta nello spirito dell’eucaristia, che è ringraziamento e dedizione.
“Io ti assolvo dai tuoi peccati…” non si possono pronunciare queste parole senza timore e tremore, ma anche senza la gioia profonda che la fede nel sacramento della Penitenza suscita nel sacerdote il quale sa che attraverso quelle parole il Cristo si fa carico di una pecorella smarrita e la riconduce all’ovile, il Padre riabbraccia un figlio che era perduto. E così ha inizio una festa che coinvolge il cielo. Ascoltare le confessioni e impartire l’assoluzione sacramentale sono azioni che ci rendono più umani: possiamo gustare il contrappunto divino-umano che il Cristo compone sulle melodie della nostra miseria e della sua infinita misericordia, contemplare la storia di compassione e di salvezza che il Signore vive con ognuno di noi, comprendere meglio quanta vita sprechiamo nel peccato in cui noi stessi cadiamo e quanto grande è l’amore misericordioso del Signore che non ci abbandona nella nostra disgregazione, ma instancabilmente ci riaggrega a sé e alla Chiesa come membra vive.
Quest’esperienza propria del sacerdozio non può non farmi pensare a tutta la misericordia di cui abbiamo bisogno per vivere in comunità e a quanto cammino ancora c’è da fare sulla strada dell’accoglienza e del perdono reciproco. Una strada che potremo percorrere solamente se accetteremo di confrontarci gli uni gli altri nella fiducia e nella verità. In questo, l’esperienza maturata nel segreto del confessionale non può che aiutarci ad offrire quello che ognuno chiede nel momento di essere accolto nell’ordine: la misericordia di Dio e dei fratelli.
Questa breve riflessione è quanto ho maturato a poche settimane dall’ordinazione presbiterale. Nei momenti più difficili del cammino formativo, quando mi chiedevo che cosa sarebbe stato di me, vi era un pensiero che sapeva consolarmi in Cristo: in ogni caso sarai voce disponibile a proclamare il suo vangelo e mani pronte a spezzare il suo corpo, a distribuire il suo sangue e a concedere il perdono e la pace per mezzo del ministero sacerdotale nell’Ordine dei Predicatori. Di questo non posso che essere grato.

fra Marco Salvioli