I miei libri preferiti sono “Un americano alla corte di re Artù” di Mark Twain, “La luna e i falò” di Cesare Pavese, “Il piccolo principe” di St.-Exupéry e “Il mondo piccolo” di Guareschi. Tutti e quattro hanno la caratteristica di creare un “loro mondo”. E questo mi piace particolarmente.
Tuttavia non si deve credere che si tratti di un’operazione banale, come inventare un mondo fantastico qualsiasi. Questo è ciò che fa generalmente la letteratura laica. Ma tratto peculiare degli autori più intelligenti, che, come i veri filosofi, sono sempre cattolici nel cuore, è di saper giocare con l’altro e il diverso. L’autore intelligente sa che la diversità è qualcosa di diverso.
È facile riempirsi la bocca di “diversità” quando in realtà si sta parlando dell’alterità, un dato di fatto che ci è sotto gli occhi ad ogni istante: un albero non è un gatto, un europeo non è un africano. Ma confondere il problema della diversità con il fatto dell’alterità è una rozza semplificazione della questione. “Diverso” è diverso da “altro”. Così, l’autore intelligente non crea semplicemente un altro mondo, diverso dal nostro. L’autore intelligente, cattolico nel cuore, si caratterizza sempre per il fatto che cerca, con la sua creazione letteraria, di salvare la realtà. Ed è per questo che gioca con la diversità e l’alterità. Se crea un mondo diverso, non è “un altro mondo”, ma questo nostro mondo come, in una differente combinazione di eventi, potrebbe essere, o questo mondo visto da una certa prospettiva. E se crea un altro mondo, non è un mondo diverso da come il mondo è, ma un mondo altro dal nostro in cui, fondamentalmente, personaggi diversi realizzano le dinamiche di sempre.
In questa linea, si può cogliere la finezza del titolo guareschiano, che non parla del “piccolo mondo di don Camillo” quasi volesse dire che il mondo di don Camillo è piccolo, ma del suo “mondo piccolo”, per dire, proprio al contrario, che il piccolo di don Camillo… è mondo.
Anche Internet è piccolo, impalpabile. Infatti, perché la “piazza virtuale” sia realmente più grande di una piazza bisognerebbe prima che almeno fosse reale. Dovremmo quindi andare oltre la metafora per chiederci concretamente che cos’è Internet, e non solo che cosa non è o a cosa somiglia. La riflessione filosofica dovrebbe toccare gli interrogativi “Dove tende?”, “Di che cosa è fatto?”, “Come funziona materialmente?”, “Quali sono i suoi ingredienti?”, “Quale genere di cosa è?“. A più di trent’anni dall’ingresso di questi aggeggi nella vita dell’uomo, egli non sa ancora rispondere alle domande che abbiamo elencato. Anzi, la crescente familiarità con questi strumenti e metodi allontana sempre di più la ricerca del senso, deviandola verso quesiti più pratici.
Non ho le risposte, ovviamente. Vorrei solo che non ci limitassimo a parlare della Rete come di un un mondo virtuale in quanto virtuale, ma che – come nelle atmosfere del “Signore degli anelli” o di padre Brown – fossimo capaci di farne un mondo, piccolo sì, ma che sa parlare del tutto.
Anche il filosofo che cerca di conoscere e spiegare il mondo di oggi deve fare come hanno fatto i grandi scrittori intelligenti: giocare con l’altro e col diverso. Così anche Internet sarà un modo per salvare questa realtà.
fra Stefano Prina