23 maggio 2021
L’efficacia dell’annuncio
LETTURE: At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15
Nel celebrare la solennità di Pentecoste occorre ricordare che non si sta semplicemente facendo il memoriale di un evento della storia della salvezza che ha per protagonista lo Spirito Santo, ma che – attraverso questo memoriale – si celebra la terza persona della ss. Trinità. Non una potenza o una forza divina, ma la Persona-Amore che procede dal Padre e dal Figlio come da un unico principio e che è mandato dal Padre, per mezzo del Figlio, per santificare gli uomini. Un elemento essenziale della missione santificatrice della Spirito Santo consiste certamente nell’animare il Corpo di Cristo che è la Chiesa, affinché possa agire efficacemente secondo la sua natura come “sacramento, ossia il segno e lo strumento, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1). La narrazione neotestamentaria dell’evento di Pentecoste, secondo la pagina degli Atti degli Apostoli, procede da quest’ultimo elemento: gli Apostoli, rinchiusi timorosamente nel cenacolo, nel ricevere il dono dello Spirito Santo, iniziano ad annunciare apertamente il Vangelo, venendo compresi da persone di diversa provenienza, come se parlassero nella lingua materna di ciascuna di esse. Il compito d’introdurci alla contemplazione del Paraclito è svolto, invece, dai versetti del Vangelo secondo Giovanni. La liturgia della Parola offre poi, attraverso la seconda lettura tratta dalla lettera ai Galati di san Paolo Apostolo, la possibilità di meditare sui frutti dello Spirito Santo, contrapposti ai effetti dell’egoismo radicale non lenito dal dono della carità.
Il Padre, attraverso il dono di sé del Figlio sulla croce, dona all’umanità il Paraclito. Il consolatore, l’avvocato donato ad ogni uomo, è qui chiamato Spirito della verità. L’espressione “Spirito della verità” può essere letta come spirito di Cristo, per sottolineare il legame positivo tra il Figlio e lo Spirito Santo. Nel Vangelo secondo Giovanni, infatti, Gesù dice “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) e, nella pericope scelta dalla Liturgia della Parola per questa domenica, viene scritto che lo Spirito “vi guiderà a tutta la verità […]. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,13a-14). Lo Spirito Santo non si aggiunge come chi intende aggiungere qualcosa a quanto rivelato dal Figlio. Nel Figlio il Padre dice tutto se stesso e tutta il creato (san Tommaso d’Aquino); lo Spirito Santo, conformando l’uomo a Cristo, conduce la Chiesa progressivamente ad esplicitare ogni aspetto della verità che è Cristo. Per questo Gesù dice che lo Spirito Santo prenderà quel che annuncerà da quel che è suo. Nessun’ulteriore rivelazione segue all’evento cristologico. Egli è l’apice e il compimento dell’auto-donazione di Dio all’umanità.
Il dono di Pentecoste fa tutt’uno con l’azione dello Spirito della verità nella Chiesa. I discepoli chiusi nel cenacolo per paura dei capi del popolo ricevono il dono promesso dal Padre e vengono resi capaci di rendere testimonianza al Figlio. La peculiarità del dono che ricevono riguarda il linguaggio e, in particolare, la capacità – pur parlando nella propria lingua – di farsi comprendere simultaneamente da persone delle più diverse provenienze linguistiche, i quali li udivano parlare delle opere di Dio nella lingua materna di ciascuno. Qual è il senso di questo evento miracoloso? Per rispondere a questa domanda, occorre far riferimento ad un testo che la liturgia della Parola sceglie di proclamare nella Messa vespertina come prima lettura. Si tratta del celebre racconto della “torre di Babele” (Gn 11,1-9), in cui si racconta di come l’umanità – che condivideva ancora “un’unica lingua e uniche parole” – decide di avventurarsi in una superba conquista del cielo, attraverso la costruzione di un’immensa torre, che garantisca un nome al popolo ed eviti la sua dispersione. Ma proprio questo gesto provocò la punizione divina che comportò la dispersione delle lingue e la conseguente incomprensibilità. Il dono dello Spirito Santo, reso possibile dall’evento di morte e risurrezione del Figlio, comporta il ristabilimento dell’unità originaria in un modo nuovo che meglio esprime il disegno d’amore di Dio per l’umanità, istituito dalla ri-creazione radicale seguita alla Risurrezione del Signore. Non più l’originario monolinguismo, ma la capacità di comprendersi nella propria lingua a partire dalla lingua dell’altro, espressione di quell’unità-nella-differenza propria del senso di agape. È in questo senso che la Chiesa può operare efficacemente la propria opera di testimonianza nei confronti del Crocifisso risorto, facendosi comprendere da ciascuno nella propria lingua, pur parlando a partire dalla propria. Una testimonianza, quella dell’evangelizzazione, che esprime la sacramentalità della Chiesa in ordine all’unificazione del genere umano in Cristo. Nel tempo della globalizzazione, tentata sulla base delle lusinghe del profitto privato e del potere, la Chiesa non può abdicare a quest’aspetto della rivelazione, ma confidare ancora più intensamente nell’azione dello Spirito Santo, amore che crea unità nel rispetto delle differenze. Perché dove vi è la presenza dello Spirito, come scrive Paolo, vi sono i frutti che rendono possibile superare ogni divisione, dovuta all’imporsi della logica della carne, come “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge” (Gal 5, 22-23). Iniziamo noi stessi, che viviamo dello Spirito, a camminare secondo lo Spirito.
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