Questo sacramento ha tanti nomi: sacramento della penitenza o della riconciliazione, confessione, sacramento del perdono. Essi esprimono le sfaccettature diverse di un sacramento così poco conosciuto anche da chi lo pratica, da molti subito con molta fatica e al quale è difficile dare un nome. Spieghiamo due termini: penitenza e confessione.

I. SACRAMENTO DELLA PENITENZA

a. Il senso della penitenza. “Penitenza” pone in evidenza un primo aspetto della vita, legato alla necessità di scegliere: il fatto cioè che non sempre scegliamo bene, per cui si deve poi in qualche maniera riparare o riportarsi sulla strada giusta.
In latino penitenza significa: opera di pentimento, riconoscere di aver sbagliato e pentirsi. Il termine latino traduce a sua volta il greco metanoia, che significa cambiamento della mente, del cuore, della vita.
Gesù, riferendosi ai viticultori, diceva che, quando è il tempo, il buon viticultore pota le viti perché producano di più e la linfa non si disperda in troppe foglie. La penitenza è anche questo: potare qualcosa per mettersi nella situazione di agire meglio.
Penitenza è anche un rivolgersi e camminare seguendo il Signore, come un girasole e un papavero seguono il corso del sole. In questo caso la conversione è un girarsi verso, un camminare seguendo il Signore e guardando a lui.

Da quanto sopra appare che la penitenza deve essere un atteggiamento costante e permanente – una virtù – teso alla ricerca di Dio e delle sue vie. Pasqua e penitenza costituiscono un unico precetto. La penitenza è per il passaggio da compiere, è un progetto e un cammino.

b. Il Signore all’inizio
All’inizio della nostra penitenza c’è il Signore, che viene incontro quando è invocato. La sua parola fa capire la strada, il suo aiuto sostiene nel cammino, la sua grazia guarisce le nostre ferite.
All’inizio della nostra penitenza c’è anche la comunità, sia perché ordinariamente Signore si serve delle mediazioni umane per portare il suo aiuto, sia perché dobbiamo convertirci anche alla comunità.

c. Quando il sacramento?
Abbiamo il sacramento della penitenza quando la Chiesa si riunisce nella memoria di Gesù, venuto a salvare e a riconciliare gli uomini, per confessare le proprie difficoltà e chiedere il dono dello Spirito, che è dono di conversione e di fedeltà.
Quando prego e dico il Padre Nostro, questo è già un gesto di conversione, un desiderio di conversione. Talvolta però ho bisogno che la comunità mi aiuti con la sua opera e con sua preghiera, continuando verso di me l’opera di Gesù. Attraverso il presidente (presbitero/sacerdote) la comunità si prende cura di me e con la preghiera e il consiglio aiuta il mi camminare incontro al Signore.
Però gli artefici principali del cambiamento non siamo noi – la Chiesa -, ma lo Spirito Santo. Occorre affidarsi a lui e lui invocare. Per questo la Chiesa, attraverso il ministero di sacerdote, invoca lo Spirito, perché lo Spirito è la remissione dei peccati.

d. Quante le forme della penitenza?
Nella Chiesa il problema della penitenza si è posto e si pone sotto due aspetti.
La prima penitenza è per coloro che vogliono diventare cristiani e lo chiedono espressamente. La seconda penitenza è per quanti sono già cristiani: infatti per questi ultimi l’essere stati battezzati non li pone ancora in uno stato definitivo di santità, dal momento che battesimo non toglie i difetti che abbiamo, così come non li toglie il sacramento della penitenza.
Nella Chiesa antica si parlava espressamente di penitenza (iniziazione cristiana), e di penitenza seconda. O meglio si diceva che dopo la prima penitenza c’era la possibilità di una penitenza seconda, di una seconda conversione.
Nei primi secoli la penitenza seconda era proprio un’altra e un’unica possibilità, dopo rimaneva solo l’affidarsi alla misericordia di Dio. Ciò nonostante in punto di morte cadeva ogni preclusione ecclesiale e tutti venivano riconciliati e poi rifocillati col santo viatico.
La seconda penitenza è dunque per i già cristiani. Non per niente nell’attuale lista dei sacramenti la penitenza è il quarto, perché prima vengono i tre sacramenti che costituisco no il cristiano e ne fondano la vita: battesimo, confermazione ed eucaristia. La conversione è dunque un cammino che inizia con la vita, riceve un orientamento di fondo con il battesimo, viene nutrito dall’eucaristia, guarito dalla penitenza e si coronerà in Dio.

II. CONFESSIONE

a. La sola “confessione ” è troppo poco
“Confessione” è il termine più conosciuto per indicare l’uso cattolico del sacramento della penitenza, troppo spesso ristretto alla confessione dei peccati fatta al vescovo o al sacerdote.
La confessione, come spesso viene intesa e talvolta spiegata, consiste nel confessare le nostre colpe al sacerdote che funge da giudice; dopo di che, se siamo pentiti, veniamo assolti.
Ma una confessione così intesa sarebbe alienante, poiché darebbe l’impressione di un aggiustare la coscienza con troppa facilità quanto alle colpe, lasciandoci come prima e non coinvolgendoci responsabilmente nel confronto verso noi stessi e gli altri. Tale confessione dei peccati non è il sacramento cristiano della penitenza, perché questo sacramento non consiste essenzialmente nel dichiarare i propri peccati.

b. La “confessione ”, se intesa bene, va bene
Giustamente però, per altro verso, il sacramento della penitenza potrebbe essere chiamato confessione. Confessione comporta, di per sé, un dire davanti agli altri (simile ma non identico al termine “professione”, come quando facciamo la professione di fede).
Confessare significa più propriamente un celebrare, un riconoscere qualcosa di altri, o anche qualcosa di sé davanti agli altri.

c. Chi e che cosa confessiamo?
Nel sacramento della penitenza noi confessiamo il Signore.
La confessione cristiana è una celebrazione. Celebrare significa ricordare, con altri, una persona o un evento, facendo festa con gratitudine e prendendo un impegno per il futuro. In senso cristiano la celebrazione è, da parte della Chiesa e con animo grato, fare memoria di Gesù e del Padre, invocando il loro aiuto per il tempo presente. Proprio perché ricordiamo, sappiamo che possiamo rivolgerci a loro.
Nella confessione di che cosa facciamo memoria, per che cosa ringraziamo, a chi ci affidiamo, che cosa o chi invochiamo? Nella confessione facciamo memoria della bontà e della misericordia di Gesù, sacramento della misericordia del Padre; per la qual cosa lo ringraziamo (confessione di lode),lo invochiamo (confessione dì fede) perché usi ancora misericordia verso di noi e verso la nostra vita (confessione della vita). La confessione per lodare Dio, rinnovare la nostra fiducia in lui e invocare il dono dello Spirito per vivere meglio da figli di Dio. La confessione è così un atto di fede, un atto di gratitudine, un atto di speranza.
La difficoltà che nasce è se abbiamo questa fede, questa speranza, questo desiderio di essere migliori e se crediamo che il Signore possa santificarci. Ma comprendiamo che anche la confessione della nostra vita (dei nostri peccati) è un atto di fede: confessare i peccati è una preghiera. Li confessiamo anche davanti la Chiesa, perché in nome di Cristo essa faccia scendere su di noi lo Spirito del perdono e della vita.
Sulla confessione dei peccati il Card. Martini ha esposto e divulgato un senso più profondo di confessione, che deve essere di lode, della vita, di fede . Questo in fondo è lo schema di ogni preghiera, questi sono gli atteggiamenti interiori d ogni sacramento, anche della messa.

d. Quando confessarsi?
Sono caldamente invitato a confessarmi quando la situazione è grave (il peccato grave, o mortale), cioè quando non è sufficiente il fai-da-te.
Tuttavia la dimensione fondamentale è la prima, cioè il pentimento. Perché se io non desidero guarire ed essere aiutato, se non riconosco di aver bisogno del Signore, anche la confessione in chiesa non serve a nulla. Non serve aver osservato il precetto di confessarmi una volta l’anno o di confessare i peccati gravi prima di fare la comunione. Anche la confessione sacramentale richiede la conversione e la contrizione del cuore, l’impegno interiore.
Non dimentichiamo poi che nella Chiesa è sempre stata richiesta la confessione pubblica e comunitaria soltanto per le colpe gravi. Per le altre no, anche se la si raccomanda. In questo caso la confessione (detta “di devozione”) è come un continuare la terapia del cuore fino alla sua perfetta guarigione. Ma non sarebbe sufficiente in questo caso un incontro di accompagnamento spirituale?

fra Raffaele Quilotti