26 novembre 2015

I Domenicani e la Teologia del ‘900.

Questo il titolo della conferenza che il prof. Gianluca Potestà, docente di storia del Cristianesimo all’Università Cattolica di Milano, ha tenuto in Santa Maria delle Grazie. Buona parte dell’intervento è stata dedicata alla figura del padre Lagrange, il Domenicano che ha legato il suo nome al rinnovamento dei moderni studi biblici.
Con l’enciclica Aeterni Patris del 1879 Leone XIII aveva posto fine al pluralismo teologico-filosofico che ancora caratterizzava gli ambienti e le istituzioni ecclesiastiche, ma cercò anche, imponendo la restaurazione del tomismo, di fornire le basi filosofiche affinché la cultura cattolica potesse confrontarsi con successo con la scienza moderna e offrire così solidi orientamenti alla società civile. Il modernismo aveva lanciato una sfida alla Chiesa circa l’approccio storico e filosofico, imponendole di ripensare i propri dogmi. Il rilancio che investì di nuova autorevolezza il pensiero tomista non poté non coinvolgere da vicino i confratelli dell’ Aquinate che cercarono di rispondere ponendosi sul crinale molto stretto delle due critiche, quella della gerarchia della Chiesa da una parte e quella del modernismo contro la Chiesa dall’altra. Fu in questo contesto di tensioni evidentemente marcate che emersero e si fecero strada nomi come quello del padre Lagrange, impegnato come altri a confrontarsi con strutture di istituzioni che si concepivano come sovrastoriche. Geniale quanto coraggioso innovatore degli studi biblici in piena crisi modernista, Albert Marie Henry Lagrange nacque nel 1855 e già nel 1890, all’età di 35 anni, dichiarava aperta l’École biblique et archéologique française di Gerusalemme, città in cui precedentemente egli stesso si era recato ratione studiorum. Si assunse il compito di insegnare le lingue orientali, l’introduzione generale alla Sacra Scrittura, la storia dell’antico oriente e l’esegesi dei libri storici. E proprio attorno alla veridicità dei libri del Pentateuco, uno dei temi più dibattuti in quegli anni, si articolò l’acceso confronto tra Lagrange e il sacerdote francese Loisy il quale sosteneva che i primi cinque libri della Bibbia fossero nient’altro che racconti mitici la cui redazione definitiva dovesse essere collocata in età molto posteriore a Mosè. Con arguta intuizione, il padre Lagrange spostò il problema, muovendosi dunque su una linea innovatrice, sostenendo che il Pentateuco fosse un racconto di fatti storici, sottolineando come anche i testi rivelati siano sottoposti alle norme dei generi letterari e vadano dunque decodificati senza astrarli dal contesto in seno al quale sono stati prodotti: Dio muove gli autori sacri che compongono sotto ispirazione dello Spirito ma con uno stile umano e sottoposto all’umano. In linea con Lagrange, si dimostra anche l’enciclica Provvidentissimus Deus pubblicata nel 1893 dallo stesso papa Pecci che oltre a rilanciare gli studi biblici, polemizza con le posizioni assunte da Loisy ribadendo con chiarezza il perno dell’ispirazione divina. A questo punto il contrasto tra il chierico francese e la Santa Sede è palese, al punto tale che questi è costretto a chiudere la sua rivista di Sacra Scrittura ma riesce, attraverso la generosità di Lagrange che gli pubblicherà due articoli, a farsi ancora sentire pubblicamente. Questo ingenuo gesto di carità, costerà all’esegeta domenicano l’incrinarsi dei rapporti con la Sede Apostolica. Nonostante i tanti detrattori però, il Lagrange fu chiamato a Roma ed inserito come membro dell’Istituto Biblico pontificio, ma i progetti furono interrotti prima dalla morte del pontefice Leone XIII e poi dallo scoppio della crisi modernista, che gettò sospetti anche sul Lagrange e il suo metodo storico. Se Leone XIII si era rifiutato di pronunciar condanne lasciando l’esegesi al libero dibattito, non così Pio X, che condannò espressamente il Loisy e i seguaci della nuova esegesi biblica. Benché il Lagrange prendesse le distanze dalle posizioni del Loisy, per circa dieci anni egli fu accomunato a costoro per il semplice fatto che, per meglio chiarire il senso ed il contesto, faceva ricorso alle recenti scoperte e ai confronti con le religioni e i popoli confinanti con Israele. Preoccupati del suo indirizzo, i superiori dell’Ordine gli fecero sapere che avrebbero gradito una maggiore attenzione verso il Nuovo Testamento. Nacque così il commentario al vangelo di Marco (1911). Gli attacchi però non finirono e nel 1912-13 fu sollevato dall’insegnamento anche se poi fu lo stesso pontefice Pio X a reintegrarlo nel suo ufficio. Terminata la prima guerra mondiale, rientrò a Gerusalemme. Pur continuando a lavorare ai commenti ai vangeli, riprese a studiare l’ellenismo, le religioni misteriche, la gnosi, il giudaismo anteriore al Cristo. Nonostante i suoi 75 anni, non si fermò, ma volle essere utile ai continuatori della sua opera alla Scuola biblica di Gerusalemme. Nel 1933 vedeva la luce la sua storia antica del canone del Nuovo Testamento, ma il suo grande apporto restava il metodo storico che, nonostante le critiche, teneva conto delle sempre più interessanti scoperte papirologiche e delle scienze ausiliarie. Il che non significa che si perdesse nei meandri degli apparati eruditi e filologici, ma che attraverso di questi andava al cuore dei punti sensibili e significativi, utili all’arricchimento della conoscenza della Bibbia. I successivi sviluppi delle scienze bibliche hanno allargato la strada intrapresa coraggiosamente dal Domenicano francese e la sua opera prosegue ininterrotta attraverso l’École Biblique di Gerusalemme, conosciutissima non fosse altro perché molti hanno in mano l’edizione della Bibbia che i Domenicani appassionatamente continuano a curare.