Noviziato. Un periodo particolarissimo che contiene una delle parole più belle del vocabolario cristiano: nuovo.
Prima di approdare a Madonna dell’Arco, poco fuori Napoli, pensavo che con questo primo passo nell’atrio della vita religiosa si intendesse un tempo in cui alcuni neofiti si affacciassero a questa novità con stupore e curiosità. E questo è senz’altro vero. Ma mi è bastato poco per accorgermi che la posta in gioco era ben diversa, molto più alta. La vita consacrata comporta uno sguardo nuovo sulle cose della vita ordinaria. La vita comune non è soltanto una semplice convivenza di persone legate dallo stesso ideale ma è sentirsi parte l’uno dell’altro e del corpo mistico di Cristo: “dove sono due o tre riunti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Il silenzio non è una banale assenza di suoni in cui si ricerca la pace dei sensi, ma è l’anticamera del vero dialogo con Dio e con il fratello. Lo studio non è la narcisistica ricerca della verità fine a se stessa, ma è preghiera.
Tuttavia, questa non è ancora la questione di fondo. Le cose belle che sto vivendo e che ho appena raccontato sono dei frutti che maturano solo se la radice è nuova. La portata sconvolgente di quest’anno è l’essere nuova creatura. “Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 17). Ma che cosa significa essere nuova creatura? Di certo non si tratta di un cambiamento come il comprare un cellulare nuovo. Non sono diventato “Michele 2.0” dopo essere entrato in convento. Anche perché, come mi diceva molto saggiamente un frate prima che diventassi novizio, quando una persona entra nella vita religiosa non lascia su un attaccapanni fuori dalla porta la sua umanità. Anzi, bisogna far attenzione a che, una volta dentro, non si acquisiscano abitudini peggiori delle precedenti.
Per spiegare meglio che cosa sia questo rinnovamento mi devo servire di un’altra parola: purezza. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5, 8).
Chi sono i puri di cuore? Nell’immaginario collettivo si ha una concezione della persona pura come di un sempliciotto, ingenuo, tardo e che deve essere ancora iniziato alla “vita”. Quindi un grande peccatore non potrà mai ritrovare la purezza originaria perduta? Tutto si gioca nel concetto di “purezza”.
Mi sembra che si possa capire bene che cosa sia la purezza se pensiamo ad una pepita d’oro appena scoperta in una miniera. Sarà mista a del materiale estraneo. Per questo se si vuole ricavarne un anello o un gioiello è necessario fonderla e, una volta sciolta, separare i materiali diversi per ottenere solamente l’oro, l’oro puro appunto.
Che cosa centra questo esempio con il nostro cuore? Ci sono elementi estranei che albergano nel nostro cuore? Questi non sono propriamente degli elementi, quanto piuttosto degli spazi. Con “spazi” intendo un qualcosa di soltanto “nostro”, qualche campo in cui Dio non possa “ficcare il naso” né su cui vogliamo che possa vantare alcun diritto.
Sembra facile dire a Dio: “Ti dono il mio cuore”, se non si considera che tipo di cuore gli doniamo. In questo slancio affettivo si potrebbero nascondere, implicite, alcune clausole: “Signore, ti dono il mio cuore, ma al novanta per cento. Certo, il grosso sono disposto a dartelo. Però ci sono alcuni piccoli spazi – Signore, non ti preoccupare, sono minuscoli – che voglio continuare a gestire da me. Ho lasciato la mia famiglia, il progetto di una futura famiglia, gli amici e i soldi… devo anche rinunciare a giudicare le persone? Non tanto a condannarle ma ad esprimere in cuor mio quei sottili giudizi che delineano in modo così nitido una persona che le fanno quasi perdere la libertà di essere qualcuno di diverso da ciò che ho pensato di loro. Devo dimenticare i piccoli e quasi impercettibili screzi quotidiani con le persone che mi stanno a fianco e con cui non ho neanche deciso di vivere? Non devo pensare che sono una grande persona che sta salvando il mondo? Signore, ti ho già dato abbastanza. Adesso chiedi troppo! Posso essere capace anche di grandi sacrifici come lasciare gli affetti o le aspirazioni personali, ma le piccole “gestioni” della vita… guai a chi le tocca!”.
Insomma, sembra quasi che Gesù si sia sbagliato quando disse che chi sarà fedele nel poco lo sarà anche nel molto (Lc 16, 10). Com’è possibile che io non sia fedele a Dio? Sono un novizio domenicano. Più fedele di così!
Penso che si dovrebbe guardare il quadro che ho appena dipinto da una prospettiva diversa. La figura di san Pietro ci aiuta a risolvere questo problema.
Alla decisione di dare a Dio la nostra vita, in un impeto totalmente sincero ed espresso in uno di quegli attimi di chiarezza cristallina che capitano nella vita (Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Mt 16, 16) –, si contrappongono quegli spazi che vogliamo tenere per noi e non vogliamo lasciare al Signore, le concezioni su Dio, noi stessi e gli altri (Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo, Mc 8, 32). Ciò che risolve il contrasto è la povertà di spirito: Signore, da chi andremo? (Gv 6, 68).
A questa nostra disponibilità non mancherà l’azione del Signore. È Lui il fuoco del fonditore, Lui la lisciva dei lavandai (Mal 3, 2). È Lui, e non io, che fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5). La santità non ce la fabbrichiamo da noi stessi con i nostri sforzi; ne salterebbe fuori soltanto una nostra caricatura grottesca. La mia unica opera di santificazione consiste nel lasciarmi santificare da Dio, nell’essere il più malleabile possibile, come l’argilla nelle mani del vasaio. La santificazione non consiste tanto in un “fare” qualcosa, quanto nel “lasciare” che qualcosa venga compiuto in noi. Egli può operare solo nella misura in cui la nostra volontà si ritira per fargli posto nel nostro cuore. Lui ha già abbracciato tutto di noi. Siamo noi che dobbiamo cedere spazio poco a poco. Se noi non maturiamo in questo amore, non è perché il Signore ci ami con riserve, ma perché siamo noi a porre dei limiti alle meraviglie che può realizzare in noi. “Con l’uomo puro tu sei puro!” (Salmo 17). Per santificarci, il Signore deve possederci interamente. Non si può contrattare con Lui, dal momento che neanche Lui ha voluto contrattare con noi. Si è lasciato inchiodare alla croce per conquistare il nostro cuore duro come la pietra, ci ha amati fino alla fine e noi vogliamo porgli un contratto con le condizioni da rispettare?
Ovviamente questa non è una decisione presa una volta per sempre. La battaglia va ricominciata ogni giorno. Per questo il noviziato è “permanente”. Devo chiedere ogni giorno al Signore che mi rinnovi, con la splendida invocazione che esprimiamo all’inizio di ogni preghiera della Liturgia delle Ore: “O Dio vieni a salvarmi”. Signore, salvami, perché senza di Te non posso fare nulla.