“Il Verbo si è fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”
25 Dicembre 2018
Letture: Is 52,7-10; Sal. 97; Ebr 1,1-6; Gv. 1,1-118.
Il profeta Isaia annuncia l’evangelo, la lieta notizia che il Signore sta riprendendo possesso della sua città, Sion, per instaurarvi un regno di pace, consolare il popolo, riscattarlo e salvarlo. Le rovine della città sembrano rianimarsi in un prorompente canto di gioia.
Il densissimo testo della lettera agli Ebrei sostiene anzitutto che la venuta di Cristo rappresenta il culmine della Rivelazione divina, inaugurata con Patriarchi e Profeti. In seconda istanza esplicita l’identità del Figlio, indicandone la natura, irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (immagini che riferiscono al Cristo le qualità della Sapienza veterotestamentaria; cfr. Sap 7,21). Il suo ruolo in ordine alla creazione al governo del mondo, alla redenzione e purificazione dei peccati. Infine sottolinea la sua condizione di Signore e giudice del mondo, superiore agli stessi angeli.
Il prologo di Giovanni è il testo principale per comprendere il mistero dell’incarnazione perché attribuisce sussistenza personale alla Parola (che già l’AT aveva anticipato) dichiarandola preesistente in Dio e partecipe dell’opus creationis, anche in questo caso conferendo alla Parola le qualità della Sapienza veterotestamentaria. Questa Parola si è fatta carne e è venuta ad abitare in mezzo a noi, ad alzare la sua tenda tra gli uomini. L’epifania del Verbo non è riconosciuta da tutti, ma è apportatrice della luce vera a coloro che l’accolgono, rendendoli figli di Dio, non in virtù della carne o del sangue, ma per generazione divina.
Il bambino nato a Betlemme è lo stesso Figlio di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, il Verbo eterno del Padre, l’irradiazione della sua gloria e l’impronta della sua sostanza.
Egli, che è nell’eternità, è entrato nel tempo per riscattare il tempo, Egli, che è immortale, ha fatto il suo ingresso nel mondo dei mortali soggetti alla corruzione del sepolcro, per renderli immortali e incorruttibili, Egli, che è impassibile, si è fatto soggetto ai patimenti, per donare a noi la sua impassibilità, Egli, la Parola di Dio, accetta di balbettare come un infante qualsiasi, perché noi uomini apprendessimo il linguaggio di Dio e questi si familiarizzasse al nostro.
Egli non è come uno dei tanti, messi, inviati, profeti, che sono stati mandati al popolo di Dio nel corso della sua storia millenaria. Non è neppure una delle tante manifestazioni del divino, come vorrebbero le religioni dell’Oriente, un Avatar alla stregua dei vari santoni quali Budda, Gandhi, etc..
Egli non è neppure un angelo, che ha fatto la sua apparizione tra noi, non è un puro spirito, un’intelligenza separata, egli è il Signore e il creatore degli angeli, che ha preso un vero corpo.
Egli è Dio, l’unico Figlio di Dio, l’Unigenito, il Consostanziale, il Creatore dell’universo.
Egli non aveva bisogno di noi per la sua beatitudine infinita, ma se mai noi necessitavamo della sua beatitudine per conseguire la felicità.
Ebbene il Verbo, la Sapienza, la Parola eterna del Padre, ha innalzato la sua tenda tra di noi, divenendo uno di noi, assumendo la natura umana, con tutte le sue proprietà, tranne il peccato, in vista della nostra salvezza.
Egli si presenta a noi come verità e grazia. Come verità egli è luce che rischiara le tenebre della nostra ignoranza, istruisce sui disegni divini, familiarizza ai suoi precetti, consola con la prospettiva della felicità del Paradiso; non solo, riscatta dall’idolatria, libera dalla vuota ribellione e rende illusori i miti della trasgressione che traviano la mente dell’uomo.
Come dono di grazia trasforma il nostro cuore e lo abilita a praticare quella verità che egli ci ha comunicato, permettendo di vincere lo scarto insanabile tra conoscenza e vita, tra verità e prassi, tra il vedere il bene e apprezzarlo e il ritrovarsi con il reiterare il peccato. Come grazia è il dono dello Spirito, che rende figli, avvicina a Dio, rendendo connaturale a noi la vocazione alla santità e alla pratica dei comandamenti divini.
Non riusciremmo ad essere quanto Dio chiede a noi in assenza del suo Spirito e della sua vita, assisteremmo ammirati alla proclamazione della sua verità che resterebbe esterna a noi.
Il dono che egli trasmette non si limita a renderci semplicemente più buoni, ma mira a fare di noi dei figli di Dio, resi tali non in forza di un legame di sangue e di razza, ma in nome del germe della fede.
L’abbandono nella persona del Figlio incarnato è all’origine di una rinascita interiore, in cui alla maniera della generazione del Figlio eterno, noi pure diveniamo figli dello stesso Padre, facendo dell’obbedienza di fede, della certezza dell’amore divino, della consapevolezza di essere ammessi all’eredità, i tratti caratteristici di questa nuova condizione d’essere.
Occorre però accorgersi di questa luce, assecondare i suoi suggerimenti, lasciare da parte la presunzione della nostra sapienza, per riconoscerci peccatori, bisognosi di questa luce.
Il vangelo infatti pone in guardia nei confronti dell’indifferenza e opposizione verso i messaggeri inviati per spianare la via al Signore, uomini che spesso vengono tolti di mezzo per assecondare i propri gusti e i propri comodi.
Giovanni Battista è stato scartato e eliminato fisicamente, perché additava presente il Messia di Dio in Gesù Cristo, ma analogamente si assiste alla rimozione dei testimoni che anche oggi additano al mondo il Cristo; ci si riferisce alla Chiesa, che nei suoi diversi membri, dal papa e vescovi, all’ultimo dei fedeli adempie a questo servizio a favore della verità, spesso incontrando ostilità e opposizione.
Si tratta comunque di un destino che affonda le sue radici al mistero dell’abbassamento divino, che ha inteso quasi occultare lo splendore della sua gloria nell’umiltà della carne mortale, ma che analogamente ha inteso affidare al suo corpo comunionale, la Chiesa, la missione a lui trasmessa dal Padre.
Chiediamo a Dio la grazia di scorgere sempre, nell’umiltà del presepio, la Parola di Dio che si è fatta carne, l’irradiazione della gloria di Dio, l’impronta della sua sostanza, il Figlio di Dio, che si è fatto figlio di Maria.