La perenne sorgente della speranza

LETTERA DEL MAESTRO DELL’ORDINE FR. TIMOTHY RADCLIFFE (1995)

Quando san Domenico percorreva la Francia meridionale, mentre la sua vita era in pericolo, era solito cantare con gioia. «Appariva sempre gioioso e sereno, tranne quando era mosso a compassione per qualche pena che affliggeva il suo prossimo»[1]. Questa gioia di Domenico è inseparabile dalla nostra vocazione di predicatori della buona novella. Siamo chiamati a «rendere ragione della speranza che è in noi» (1Pt 3,15).
Oggi, in un mondo crocifisso dalla sofferenza, dalla violenza e dalla povertà, la nostra vocazione è allo stesso tempo più difficile e più necessaria che mai. Vi è crisi di speranza in ogni parte del mondo. Come possiamo vivere la gioia domenicana, mentre siamo gente del nostro tempo, e condividiamo le crisi dei nostri popoli e la forza e la debolezza della nostra cultura? Come possiamo quindi nutrire una speranza profonda, radicata nella immutabile promessa di Dio, di vita e felicità per i suoi figli?
La convinzione che intendo approfondire in questa lettera all’Ordine è che una vita di studio è uno dei percorsi attraverso i quali possiamo crescere in quell’amore che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»(1Cor 13,7).
È arrivato il momento di rinnovare la relazione d’amore tra l’Ordine e lo studio. Questo sta avvenendo. In tutto il mondo vedo aprirsi nuovi centri di studio e di ricerca teologica, a Kiev, Ibadan, San Paolo, San Domingo, Varsavia, per nominarne solo alcuni. Essi dovrebbero offrire non soltanto una formazione intellettuale; lo studio è una strada per la santità, che apre i nostri cuori e le nostre menti verso gli altri, costruisce la comunità e ci forma come coloro che proclamano la venuta del Regno.
L’ANNUNCIAZIONE

Studiare è esso stesso un atto di speranza, poiché esprime la nostra fiducia che vi è un significato nelle nostre vite e nelle sofferenze del nostro popolo. E questo significato ci viene incontro come un dono, una speranza di vita. Vi è un momento, nella storia della nostra redenzione, che riassume potentemente che cosa significa ricevere il dono della buona novella, ed è l’Annuncio a Maria. Quell’incontro, quel dialogo, è un efficace simbolo di ciò che significa essere uno studioso. Lo userò per guidare la nostra riflessione su come lo studio fonda la nostra speranza.
Anzitutto, è un momento di attenzione. Maria ascolta la buona novella che le viene annunciata. Questo è l’inizio di tutto il nostro studiare, l’attenzione alla parola di speranza proclamata nelle Scritture. «A voce e per lettera fra’ Domenico esortava i confratelli a studiane incessantemente il Nuovo e l’Antico Testamento».Impariamo ad ascoltare Colui che esorta:  «Esulta, o sterile che non hai partorito, esplodi in un cantico e inneggia a gran voce, tu che non hai provato i dolori del parto» (Is 54,1). Ci offrono i nostri studi la dura disciplina di imparare ad ascoltare la buona novella?
In secondo luogo, è un momento di fecondità. Essa è lì, come la ritrae l’Angelico, col libro sulle ginocchia, attenta, in attesa, in ascolto. E il frutto della sua attenzione è che essa concepisce un bambino, la Parola fatta carne. Il suo ascolto sprigiona tutta la sua creatività, la sua femminile fecondità. E lo studio, l’attenzione alla Parola di Dio, dovrebbe far sgorgare le sorgenti della nostra fecondità, farci portatori di Cristo nel nostro mondo. In mezzo a un mondo che spesso appare condannato e sterile, facciamo nascere Cristo, in un miracolo di creatività. Ogni qualvolta la Parola di Dio viene ascoltata, essa non solo parla di speranza, ma è una speranza che prende carne e sangue nelle nostre vite e nelle nostre parole. P. Congar amava riportare le famose parole di Péguy «Non il vero, ma il reale… cioè il vero con la sua storicità, con la sua concretezza nel divenire, nel tempo».Questo è il banco di prova dei nostri studi: portano Cristo a nascere di nuovo? Sono momenti di reale creatività, di Incarnazione? Le case di studio dovrebbero esser simili a reparti di maternità!
In terzo luogo, in un momento in cui il popolo di Dio sembra abbandonato e senza speranza, Dio dà al suo popolo un futuro, una via verso il Regno. L’Annunciazione trasforma il modo attraverso cui il popolo di Dio può comprendere la sua storia. Invece di indurlo alla schiavitù e alla disperazione, gli apre una strada verso il Regno. I nostri studi preparano la via per la venuta di Cristo? Trasformano la nostra percezione della storia umana, in modo che possiamo arrivare a comprenderla, non dal punto di vista del vincitore, ma dei piccoli e degli oppressi, che Dio non ha dimenticato, e dei quali prenderà le difese?

IMPARARE AD ASCOLTARE

«Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto » (Lc 1,28‑ 29).
Maria ascolta le parole dell’angelo, la buona novella della nostra salvezza. Questo è l’inizio di tutto lo studio. Studiare non significa imparare ad essere intelligenti, ma ad ascoltare. Simone Weil scrisse al P. Perrin che «lo sviluppo della facoltà dell’attenzione costituisce il vero oggetto e quasi l’unico scopo degli studi». Questa ricettività, questo aprir bene le orecchie che caratterizza ogni studio, in fin dei conti è profondamente legato alla preghiera. Ambedue chiedono che da parte nostra stiamo in silenzio e in attesa che la Parola di Dio venga a noi. Ambedue esigono che da parte nostra si faccia un vuoto e che attendiamo da Dio quello che Egli potrà darci. Si pensi al ritratto di fra’ Angelico, san Domenico che siede ai piedi della croce e legge. Sta studiando o pregando? Ma ha senso questa domanda? Il vero studio ci rende mendicanti. Siamo condotti all’appassionante scoperta di non sapere nemmeno che cosa significhi questo testo, che siamo diventati ignoranti e bisognosi, e così restiamo in attesa, in intelligente ricettività verso ciò che ci verrà dato.
Per Lagrange, la Scuola Biblica era un centro di studi scritturistici proprio perché era una casa di preghiera. Il ritmo della vita comunitaria era un passare dalla cella al coro. Egli scrisse: «Amo ascoltare il Vangelo cantato dal diacono all’ambone, in mezzo a nuvole d’incenso: le parole penetrano più profondamente nella mia anima, quando le incontro di nuovo in un articolo ».
I nostri monasteri dovrebbero svolgere un ruolo importante nella vita di studio dell’Ordine, come oasi di pace e luoghi di attenta riflessione. Nei nostri monasteri, lo studio appartiene all’ascetismo della vita monastica domenicana. Non può essere riservato ai frati: ogni monaca ha diritto a una buona formazione intellettuale, quale parte della sua vita religiosa. Come recitano le Costituzioni delle Monache, «Lo studio, parte genuina delle osservanze dell’Ordine, e raccomandato in certo modo dal Beato Domenico alle prime suore, fiori solo alimenta la contemplazione, ma anche togliendo gli impedimenti che provengono dalla ignoranza ed educando il giudizio pratico favorisce la pratica dei consigli evangelici»
Maria ha ascoltato la promessa fattale dall’angelo, ed ha concepito la Parola di Vita. Sembra così semplice. Che cosa dobbiamo fare di più che aprire noi stessi alla Parola di Dio pronunciata nella Scrittura? Perché sono necessari tanti anni di studio, per preparare predicatori della buona novella? Perché dobbiamo studiare filosofia, leggere pesanti e difficili testi di teologia, quando abbiamo la Parola stessa di Dio? Non è forse semplice «rendere conto della speranza che è in noi»? Dio è amore e l’amore ha sconfitto la morte. Che altro si deve dire? Non tradiamo forse questa semplicità nelle nostre complesse discussioni? Ma non è stato così semplice per Maria. La storia comincia con la sua perplessità. «Ella a queste parole rimase turbata, e si domandava che senso  avesse tale saluto». L’ascolto comincia quando ci lasciamo sconcertare, turbare. E la storia continua con la sua domanda al messaggero. «Come è possibile? Non conosco uomo».
a) La fiducia nello studio
Si racconta che, una volta, sant’Alberto Magno stava studiando nella sua cella. Gli apparve il diavolo travestito da confratello e tentò di persuaderlo che stava perdendo tempo ed energia con lo studio delle scienze profane, e che ciò non giovava alla sua salute. Appena Alberto fece il segno della Croce l’apparizione scomparve. Ahimé, i confratelli non sono sempre così facili a convincere