Questa nostra epoca di crisi e consumi, di aperture globali e di solitudini monolocali, di semiseri scandali mediatici, sul silente sfondo dell’inarrestabile forbice economica tra i pochissimi che tutto possono e le moltitudine costrette a sopravvivere, non sembra più in grado di generare eventi capaci di “fare” la storia. A fronte del monotono funzionamento della macchina tecno-capitalista, ci sentiamo sempre più frammentati tra tweets, posts e conseguenze che subiamo da incomprensibili agenti decisionali, tanto imperscrutabili quanto efficaci nell’incidere sulla carne viva delle nostre esistenze. In questo contesto, a volte, i più riflessivi tra noi hanno forse lasciato esplodere questa domanda: è ancora possibile assistere ad un evento che debba essere ricordato dall’umanità a venire? Un evento che porti con sé il colore della speranza, che segni una svolta rispetto alla grigia monocromia di questo nostro mondo determinato da indici finanziari e tecnici sortilegi?
Con la sensibilità raccomandata dal confratello domenicano padre Marie-Dominique Chenu per il senso dei segni dei tempi e con la gioia sorgiva di chi pensa di aver riconosciuto un piccolo passo verso l’esaudimento della preghiera di Gesù, espressa affinché i suoi siano una cosa sola (cfr. Gv 17,11), riteniamo che l’incontro tra Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, avvenuto all’aeroporto de L’Avana il 12 febbraio del 2016, abbia tutte le caratteristiche per fissare questi nostri giorni nella memoria collettiva, soprattutto se considerata alla luce della fede. Il Vescovo della Chiesa di Roma che presiede nella carità, ottemperando all’agostiniano ubi charitas, ibi humilitas, raggiunge il Primate ortodosso, dopo lenti e meticolosi preparativi, in un luogo gradito ad entrambi. Un saluto, un abbraccio fraterno, poche parole e un dialogo breve, ma franco. La carità anela all’unità. Né il Papa, né il Patriarca ne fanno mistero, per quanto si debba ancora percorrere molta strada, lungo un esigente percorso di conversione sotto le ali dello Spirito Santo. Lontano dalle folle oceaniche che avrebbero oscurato con ostentata spettacolarizzazione la disadorna bellezza di un abbraccio nel nome del Crocifisso risorto, in un luogo di arrivi e partenze collocato ai margini del mondo che ritiene di contare, due fratelli in Cristo, due Pastori hanno deciso – nonostante le difficoltà che ancora ne ostacolano la comunione – di riconoscersi e di iniziare a camminare insieme alla luce del patrimonio condiviso per rispondere urgenze imposte dalla carità apostolica alle Chiese.
Tale riconoscimento si è concretizzato nei numeri dell’impegnativa Dichiarazione congiunta, firmata da Francesco e da Kirill «all’incrocio tra Nord e Sud, tra Est e Ovest» (n. 2), nella speranza che questo documento possa servire ad avvicinare le rispettive comunità nel nome di una sensibilità e di un’azione condivisa, in ascolto dello stesso Vangelo di Cristo. Nonostante il permanere di «numerosi ostacoli» tra la Chiesa di Roma e quella di Mosca e procedendo dall’impegno per «il ristabilimento dell’unità voluta da Dio» (n. 6), Francesco e Kirill intendono «testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo alle sfide del mondo contemporaneo», nella consapevolezza che «la civiltà umana è entrata in un periodo di cambiamento epocale» (n. 7). Il primo pensiero va ai cristiani perseguitati del Medio Oriente (Siria, Iraq, altri) e del Nord Africa: si chiede l’azione della comunità internazionale per prevenire ulteriori espulsioni, per porre fine alle violenze e al terrorismo e per aiutare le persone rapite. Mentre sale la preghiera a Cristo, Francesco e Kirill s’inchinano «davanti al martirio di coloro che, a costo della propria vita, testimoniano la verità del Vangelo, preferendo la morte all’apostasia di Cristo» (n. 12). Viene riconosciuto il valore indispensabile del dialogo interreligioso, nella consapevolezza che «nessun crimine può essere commesso in nome di Dio» (n. 13). Affermando con chiarezza «l’alto valore della libertà religiosa» (n. 14), sottraendolo così ad un’acritica appropriazione da parte della ragione liberale e secolare, i due Pastori manifestano la loro inquietudine a fronte de «l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volta assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica» (n. 15). Dopo aver precisato in questo modo il contesto, s’invitano i fedeli a vigilare contro un’integrazione europea che si compia a scapito della comune tradizione cristiana, a prendere le distanze dal consumismo e a non rimanere indifferenti rispetto alla crescente diseguaglianza economica per difendere le esigenze della giustizia. Viene poi riconosciuta la centralità naturale della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna aperti alla vita, di cui si difende il diritto a fronte dei milioni di bambini non nati o dello sviluppo della cosiddetta eutanasia. Ai giovani cristiani viene poi raccomandato di non avere paura «ad andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale odierne norme secolari sono lontane dal conformarsi sempre» (n. 22). Ritornando sulle questioni che toccano più da vicino le relazioni tra la Chiesa di Roma e quella di Mosca, la Dichiarazione afferma il comune rispetto e l’esclusione di «qualsiasi forma di proselitismo. Non siamo concorrenti ma fratelli» (n. 24), auspica la riconciliazione tra greco-cattolici e ortodossi senza appellarsi al passato metodo dell’“uniatismo” e infine si deplora lo scontro in Ucraina e si auspica il superamento dello scisma tra i cristiani di quella regione sulla base delle norme canoniche esistenti. Prima della conclusione con l’invocazione alla misericordia della Beata Vergine Maria, la dichiarazione ribadisce sinteticamente quello che è forse il suo fine prossimo: «Questo mondo, in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’umanità» (n. 28).
L’austera semplicità del primo incontro nella storia tra un Vescovo di Roma e un Patriarca di Mosca, dopo dieci secoli di sospettoso silenzio progressivamente incrinato solo nel corso del Novecento, si è realizzato nella terra cubana, che più di ogni altra è in grado di simboleggiare la periferia dell’Impero. Come a suggerire, senza strumentalizzazione, che l’incontro tra i due fratelli intenda suggellarsi nel nome dell’alternativa cristiana, di un disarmato fronteggiamento rispetto agli aspetti distruttivi d’umanità propri dell’ideologia neoliberista dominante… ed è qui che, con la vigilanza evangelica che esclude ogni allarmismo, ritorna il sapore di quell’apocalissi fantastica sapientemente affrescata da Vladimir Solov’ëv ne Il racconto dell’Anticristo (1900):
E il redivivo starets Giovanni prese così a parlare: «Ecco dunque, figlioli miei, che noi non ci siamo lasciati. Ed ecco ciò che vi dirò adesso: l’ora è giunta che si adempia l’ultima preghiera di Cristo per i suoi discepoli: che essi siano uno, come Lui stesso col Padre è uno. Così per questa unità in Cristo, figlioli miei, veneriamo il nostro carissimo fratello Pietro. Gli sia concesso finalmente di pascere le pecore di Cristo. Proprio così, fratello!». Ed egli abbracciò Pietro. […] Così si compì l’unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura, su un’altura solitaria. Ma l’oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve il grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle. L’apparizione restò per qualche tempo immobile, poi si mosse lentamente verso sud. Il papa Pietro alzando il pastorale, esclamò: «Ecco la nostra insegna! Andiamo sulle sue orme!». Ed egli si incamminò nella direzione indicata dall’apparizione insieme ai due vegliardi e a tutta la folla dei cristiani, verso il monte di Dio, verso il Sinai… (da I tre dialoghi, Marietti, Genova 1975).
fra Marco Salvioli
Promotore provinciale di Giustizia, Pace, Salvaguardia del creato