Tra pochi giorni, venerdì 15 febbraio 2019, insieme a fra Stefano, avremo la gioia di fare professione semplice nell’Ordine dei frati predicatori nella basilica di Santa Maria delle Grazie a Milano.

“La porta della felicità si apre verso l’esterno” scriveva un celebre filosofo danese. Già secoli prima san Tommaso d’Aquino definiva la gioia come latitudinem cordis, una forza prorompente in un moto all’esterno. Le Costituzioni dell’Ordine domenicano, individuano proprio nella pienezza di vita lo scopo della formazione. Pienezza è contentezza, è autentica gioia. 

Eppure, agli occhi del mondo appare quasi paradossale promettere obbedienza, abbandonarsi al volere altrui e provarne gioia. Si tende a porre l’accento sulle rinunce e non sul motivo di ciò che è tanto nobile e valido da conquistare il cuore. Non c’è amore più grande del dono della propria libertà. Non c’è contraccambio maggiore per un uomo ”che il sottomettersi per Dio alla volontà di un altro”, affermava l’Aquinate.

Questa importante tappa per la formazione domenicana è profondamente interiore. È una scelta di appartenenza del cuore, maturata e confermata in noviziato nel silenzio della preghiera, nell’accompagnamento spirituale e nella stretta condivisione della vita conventuale.

È determinata, però, da una imprescindibile dimensione visibile. Innanzi al popolo di Dio orante, ci impegneremo a seguire i consigli evangelici promettendo obbedienza nelle mani del priore provinciale per tre anni.

Pur se temporanea, la professione esprime già la gioia del per sempre al Signore. È risposta ad una chiamata d’amore tanto forte che atterra. Letteralmente a terra, sul pavimento della basilica con le braccia distese a croce, manifesteremo anche corporalmente – nella posizione, infatti, in cui un uomo è del tutto indifeso – il nostro arrenderci all’amore di Dio. Come nel giorno della vestizione, al principio dell’anno di noviziato, il priore ci interrogherà su cosa chiediamo all’Ordine. La misericordia di Dio e la vostra, sarà la nostra risposta sgorgante dalla coscienza della limitatezza personale innanzi alla maestosità dell’opera divina.

Quello che Egli vuol provare in voi, non è la vostra forza, ma la vostra debolezza” faceva dire Georges Bernanos alla priora del convento di Compiègne, accogliendo due novizie nei Dialoghi delle carmelitane. Vale anche per noi, frati domenicani, gioiosi nel quotidiano stupore di essere stati scelti nonostante la fragilità. Non è celata nel momento in cui ci decidiamo per Dio nella chiesa di rinnovare la consegna battesimale, affinchè l’immersione nel Cuore di Cristo sia più consapevole, piena ed efficace.

L’obbedienza promessa nelle mani del superiore ci fa entrare più stabilmente nella vita religiosa. Non è l’aspirazione a una eroicità straordinaria, né un’omissione di coraggio per la vita ordinaria, né tantomeno un distinguersi o un desiderio di notorietà. È la scelta feriale di nascondersi nel mistero della vita di Cristo. Gesù, oggetto del percorso di studi che inizieremo a breve, verità inesauribile di cui cercheremo di testimoniarne il fascino con lo spirito e l’ideale di San Domenico. Del nostro Santo Padre desideriamo lo zelo per le anime, affinchè, il Signore, che ha dato inizio a quest’opera, la porti al suo compimento.

1 Rituale della professione, Accoglienza e professione dei frati, p. 44.