San Domenico, negli anni della sua permanenza fra i canonici di Osma, portava il loro abito, cioè una tonaca di lana bianca cinta da una cintura di cuoio su cui si indossava una cotta di lino; sopra un largo cappuccio a coprire anche le spalle e su tutto una cappa di lana scura. Sicuramente anche negli anni della sua predicazione in Francia portò lo stesso abito, continuando egli a essere aggregato a quel canonicato.

E quando nell’estate del 1215 con le prime vestizioni nasceva di fatto il nuovo Ordine dei Frati Predicatori, quei primi frati è ovvio che assumessero nella foggia e nel colore l’abito portato dal loro padre. Quando poi l’anno seguente, dopo aver adottata la regola di S. Agostino, a complemento di essa si scelsero degli statuti o consuetudines particolari, non sentirono il bisogno di descrivere in esse la foggia e il colore dell’abito, dati per scontati, ma si limitarono a stabilire che la tonaca doveva scendere fino al collo del piede, mentre la cappa doveva essere più corta.

Si deve forse a questa mancanza di precisazione se l’uniformità di colore, avutasi subito per il bianco della tonaca, non si ebbe invece subito per il nero della cappa, che in qualche convento per motivi di povertà conservava il colore del panno di stoffa avuto in dono o della lana della pecora da cui era stato ricavato. Ma presto le ordinanze dei capitoli vi posero riparo.

In ossequio a quanto prescriveva la regola di S. Agostino: «il vostro abito non sia appariscente e non cercate di piacere per le vesti ma per il contegno»; e soprattutto sull’esempio e per l’incitamento del loro padre che «vero amante della povertà usava vesti di poco valore» e «una tonaca poverissima», le Consuetudines adottarono invece prescrizioni più precise circa la povertà dell’abito: «La tonaca doveva essere di lana non rasata e, dove questo non fosse stato possibile, almeno di stoffa volgare (vilis)».

La povertà – cui evidentemente si ispirava questa disposizione, essendo allora quello di lana un indumento da poveri – doveva poi venire osservata soprattutto nelle cappe, nella confezione delle quali era più facile eccedere.

Le costituzioni non ne parlavano, ma l’abito veniva sicuramente completato da una cinghia di cuoio stretta ai fianchi.. Non molti anni dopo Dante Alighieri si serve di questo uso per chiamare i Domenicani corriggieri, in contrapposizione ai Francescani detti, per il cordone che portano, cordiglieri (Par. XI, 138).

Appesi alla cinghia i frati solevano portare alcuni oggetti di uso immediato o necessari quand’erano in viaggio: una borsetta, il coltello, il fazzoletto, ecc. Ne abbiamo conferma dai capitoli, costretti a intervenire per proibirne il numero eccessivo o l’eccessiva ricercatezza.

Da notare che i conversi portavano appesa alla cinghia anche una corona di Pater noster che serviva loro per conteggiarne il numero, dato che, essendo essi, ordinariamente analfabeti, sostituivano con una serie di Pater noster l’ufficio divino cui invece erano tenuti i confratelli chierici. Un capitolo della Provincia romana proibisce che i grani di tali rosari siano di ambra o di corallo; e un altro proibisce loro di farne dono ai secolari, specialmente donne, segno che l’uso di questo sistema per contar preghiere, antesignano forse della corona del rosario, di cui l’Ordine si farà più tardi grande propagatore, stava forse prendendo piede.

Oggi la corona mariana di quindici poste, a significare che la pia pratica del rosario è nata, si è sviluppata ed è stata propagata nel mondo dai Frati Predicatori, è divenuta parte integrante della divisa domenicana, annodata alla cinghia sul lato sinistro.

Questo labito dei Frati Predicatori. Si discute però su quando i primi domenicani abbiano deposto l’uso della cotta canonicale per adottare nella loro divisa lo scapolare monacale. Lo scapolare è una striscia di stoffa che scende anteriormente e posteriormente dalle spalle sopra la tonaca, con al centro un’apertura per passarvi la testa. Nella sua forma più antica vi era attaccato un cappuccio, che oggi nell’Ordine domenicano si è trasformato in un indumento a parte. L’origine dello scapolare sembra ricollegarsi alla cuculia, di cui sarebbe una trasformazione: una specie di mantello chiuso, provvisto appunto di cappuccio, usato dagli antichi contadini italiani, che, essendo molto scomodo per lavorare, fu in un primo tempo aperto ai fianchi a mo di casula gotica, poi via via ridotto e infine cadde in disuso. Ne avevano però continuato a far uso i monaci durante il lavoro, come veste sostitutiva della cocolla, da essi conservata nella sua forma primitiva per il coro.

Ma mentre da san Benedetto lo scapolare era stato considerato un semplice accessorio dell’abito monastico, adottato dall’Ordine domenicano ne divenne parte integrante e addirittura specifica della sua divisa. Come tale, fu arricchito di significati spirituali e di particolari privilegi e indulgenze; e i religiosi dovevano portarlo giorno e notte. Veniva considerata una punizione grave venirne privati anche solo per qualche giorno. Ne verranno rivestiti in vita anche i Terziari dell’Ordine, e in morte, per averne i benefici spirituali, anche tanti amici e benefattori di esso.

Alla base di tanto culto per questo indumento sta senz’altro la convinzione che fosse stata la Madonna stessa a sollecitarne l’adozione.

Fonte di questa convinzione pare sia stato il racconto fatto da fra Bartolomeo da Trento (1190-1251) della miracolosa guarigione del beato Reginaldo d’Orléans, operata a Roma nel 1218 dalla Vergine, che egli descrive in questi termini: «Accompagnata da due bellissime ragazze, la Madre della misericordia apparve all’ammalato dicendogli: “Chiedimi quello che vuoi ed io te lo darò”. Nel timore di chiederle cosa sgradita, egli stava riflettendo sulla cosa da chiedere, quando una di quelle giovani gli suggerì di rimettersi totalmente al volere della Signora. Avendolo fatto, la Regina del cielo, con la sua mano verginale gli unse gli occhi, le orecchie, le narici, le labbra, le mani, le reni e i piedi con un unguento salutare, pronunciando queste parole: Cingo le tue reni col cingolo della castità e ungo i tuoi piedi perché tu possa andare ad annunciare il vangelo della pace. E aggiunse: “Tra tre giorni ti porterò l’ampolla della perfetta guarigione”. Poi gli mostrò l’abito dell’Ordine, come quello che i frati usano ora, dicendogli: “Ecco l’abito del tuo Ordine”. Finita la visione egli la riferì subito al santo Patriarca (Domenico) e indossò l’abito nella foggia da lui prevista: prima di allora, infatti, i frati usavano la cotta».

Quest’ultima affermazione di fra Bartolomeo fu interpretata dagli storici del secolo XIII che lo seguirono nella narrazione della miracolosa guarigione del beato Reginaldo come se volesse precisare che i Domenicani, che fino ad allora portavano la cotta sopra la tonaca, la sostituissero con lo scapolare a seguito di questo intervento della Madonna.

Per cui si radicò nell’Ordine la convinzione che fosse stata veramente lei a suggerire l’adozione dello scapolare.

Ai critici moderni questo cambiamento di abito, e in quella data (1218), sembra però inverosimile. Se infatti fosse davvero accaduto, resterebbe inspiegabile come di un fatto del genere, non si parli in altri documenti contemporanei. Infatti tale cambiamento doveva essere spiegato ai frati degli altri conventi esistenti fuori Roma e avrebbe sicuramente destato meraviglia negli estranei all’Ordine; si pensi anche solo ai molti prelati romani coi quali aveva in quei giorni a che fare san Domenico. Né si capirebbe per quale motivo nel Vitae Fratum, che pur sostiene la tesi che fu la Madonna a volere la fondazione dell’Ordine, non si faccia alcun cenno a ciò; e tale omissione si riscontra anche nei testi del processo di canonizzazione del santo, anche quando un fra Giovanni di Spagna, ad esempio, parlando della propria vestizione avvenuta nel 1216, ne avrebbe ben avuta l’occasione. E si aggiunga che il beato Giordano di Sassonia (1185-1237), che è il primo che riporta la visione del b. Reginaldo e afferma di averla appresa dalla viva voce dello stesso san Domenico, scrive semplicemente che la Madonna «gli mostrò l’intero abito dell’Ordine», senza affermare che quello fosse di foggia nuova rispetto a quello usato fino allora.

Si aggiunga inoltre che nelle Consuetudines giuridicamente approvate nel primo capitolo generale di Bologna (1220), ma ritenute già in uso fin dal 1216, già si parla dello scapolare, prescrivendo che esso non giunga oltre il ginocchio. E vi si dirà anche che i conversi, che non portavano la cappa, essendo allora questa riservata ai nobili e al clero, potevano avere oltre a uno scapolare grigio della medesima forma e dimensione di quello dei chierici, uno scapolare colorato, lungo e largo, che formava un vero mantello a guisa di casula gotica. E l’abito che si conserva a Prouille, attribuito a san Domenico e che risale verosimilmente ai primi anni del suo soggiorno in Francia, è dotato anch’esso di uno scapolare, con cucito il cappuccio, come fu in uso appunto nei primi secoli dell’Ordine, a differenza dell’abito domenicano attuale, che lo porta staccato.

Quanto ai dettagli, come si è detto, lo scapolare non doveva discendere oltre le ginocchia e ad esso era cucito il cappuccio: per cui spesso i due termini vengono usati indifferentemente per indicare il tutto. Un cappuccio nero era pure cucito alla cappa. Non si dice nulla della sua forma; ma poiché il cappuccio a punta era allora comune ai vescovi, ai chierici, ai religiosi, si può pensare che di tal foggia fosse anche quello dei Domenicani.

I frati dovevano indossare la cappa quando uscivano dal convento e, nel suo interno, quando si accostavano alla comunione o servivano una messa. Dalla festa di Tutti i Santi fino a Pasqua (cioè quindi nel periodo invernale) dovevano indossarla anche a tutte le ore canoniche e, dove ce n’era luso, anche a tutti gli altri atti comuni, eccettuato ai pasti.

Per salvaguardare la povertà e l’uniformità, tutti dovevano avere tonache, e soprattutto cappe, molto grossolane (viles) e scapolari senza pieghe e orlature.

E a questa foggia e colore dell’abito dovevano restare fedeli anche i frati assunti a qualche dignità ecclesiastica, almeno fino a quanto era concesso dalle leggi ecclesiastiche.

A dire il vero, l’Ordine avrebbe preferito che nessuno dei suoi religiosi fosse mai fatto vescovo o cardinale. Sappiamo, infatti, che san Domenico «due o tre volte era stato eletto vescovo, ma non volle mai accettare, pronto a fuggire di notte col suo bastone piuttosto che accettare l’episcopato o qualche altra dignità». E questo suo atteggiamento si riflette in tutta la prima generazione domenicana, che giustamente vede nell’episcopato un ufficio che strappa il frate dalla sua vita di umiltà per immischiarlo in attività amministrative poco confacenti alla povertà da lui professata. Di questa mentalità è indice la risposta data dal beato Giordano alla notizia che un bravo e santo frate doveva essere fatto vescovo: «Preferirei vederlo nella bara piuttosto che elevato all’episcopato».

Ma lutilità e i desideri della chiesa prevalsero assai spesso su quelli dellOrdine; per cui, prima che si chiudesse il secolo XIII, senza contare le decine e decine di vescovi, si ebbero fra i Domenicani ben otto cardinali, uno dei quali, Pietro di Taranta sia, divenne poi papa nel 1276 col nome di Innocenzo V, e un altro, Niccolò Boccasini, fu papa non molti anni dopo (1303- 1304) col nome di Benedetto XI: ambedue poi decorati col titolo di beati. Ed è bello vedere questi alti prelati, raffigurati da Tommaso da Modena nel capitolo di San Nicolò di Treviso, tutti ancora rivestiti del loro abito bianco e nero, portando a distintivo del loro grado unicamente la mitra o il grande cappello rosso cardinalizio. E questa bella consuetudine che i religiosi continuassero anche da vescovi a portare – sia pure impreziosito: ampliores et lanae magis pretiosael’abito del loro Ordine è durata fino a che, dopo il concilio Vaticano II, si ordinò che «i vescovi assunti da Ordini religiosi avessero la veste in tutto uguale a quella degli altri vescovi».

Ed è ancor più bello pensare che l’abito bianco – il cosiddetto abito piano – che oggi portano i papi, lo si deve al fatto che un altro grande papa domenicano, san Pio V, aveva continuato a portare anche sul soglio pontificio il bianco abito che aveva portato quando ancora si chiamava fra Michele Ghislieri.