Riportiamo di seguito una riflessione di padre Marco Salvioli op, tratta dal suo blog l’Orso predicatore (clicca qui per l’articolo originale: La sapienza, figlia della carità  / “Nostro Tempo” 12 febbraio 2023). In copertina: incontro tra la regina di Saba e il re Salomone. La foto è di fra Lawrence Lew op.

«C’è bisogno di sapienti in un mondo sempre più folle, che costruisce la sua rovina, che si abitua alla guerra e osserva tutto come se non lo riguardasse, incapace di guardare il futuro, che sceglie la morte e non la vita, che pensa di difendere i diritti dell’individuo dimenticando il prossimo, e quindi distruggendo l’individuo stesso. Ci aiuta san Tommaso d’Aquino che si è lasciato “toccare” da Dio e che con la disciplina propria della ragione ha cercato le insondabili ricchezze del mistero. È un vero Doctor humanitatis attento alla verità e all’amore per l’uomo, per questo attento anche a confutare gli errori ma sempre indicando l’amore di Dio». Ho avuto modo di ascoltare, con gioia e gratitudine, queste parole dalla viva voce del cardinal Matteo Zuppi, venerdì 27 gennaio scorso, nell’omelia tenuta nella Messa per la festa del Santo Dottore celebrata nella Basilica di san Domenico a Bologna. I sapienti di cui c’è estremo bisogno sono quelli che, come l’Aquinate, sono stati resi tali dalla Sapienza che si apprende studiando sul «libro della carità», che coincide con «la stoltezza della croce» che confonde «i sapienti secondo il mondo».

Nel presentarlo in questo modo, l’Arcivescovo chiamato a presiedere la Conferenza Episcopale Italiana rende giustizia a san Tommaso e alla sua opera, riconoscendo che la sua predicazione come teologo accademico procede dall’essersi lasciato toccare dal mistero di Dio rivelatosi in Cristo. La sacra doctrina ch’egli ha esplorato è partecipazione alla scienza divina, appresa nell’ascolto della Parola, ossia nella relazione con Gesù, il Figlio, che si esprime nel discepolato come forma di vita. Solo un “piccolo” in senso evangelico, un mendicante di verità, può descrivere la ricerca teologica come quella singolare relazione in cui si diviene consapevoli che la ragione viene come “condotta per mano” («manuducta») dalla fede, ossia dal riconoscersi radicalmente persuasi dalla grazia del Crocifisso che attrae come Verità e Misericordia, disponendo ad amare come il Cristo ha amato. Per essere pienamente tale, la fede non può mancare di carità. Se sul pensiero dell’Aquinate gravano ancora troppi fraintendimenti e pregiudizi, dovuti non in piccola parte all’opera di maldestri pseudo-tomisti che ne hanno fatto una sorta di clava filosofico-teologica per inculcare proposizioni così vere da doversi credere a forza (?!) o per censurare la creatività del pensiero, risulta quasi impossibile eclissare quella sapienza che traspare ancora dai suoi scritti. Al punto che il cardinal Zuppi, difficilmente annoverabile tra i “tomisti”, dopo aver richiamato l’interpretazione che san Tommaso sviluppa della carità come amicizia con Dio riconosce serenamente che «anche la Chiesa ha tanto bisogno di questa sapienza, quella di un Vangelo vivo, non ridotto a passione superficiale, a elisir di benessere individuale, ma capace di illuminare il mistero e la vita tutta».

Lungi dal corrispondere all’immagine razionalizzante di un inesistente san Tommaso “calcolatore sistematico di proposizioni”, derivata piuttosto dalle reazioni del tomismo al nominalismo e poi all’illuminismo, il rigore argomentativo dell’Aquinate proviene invece dalla cura del predicatore che – nel porsi a servizio della Chiesa e dell’umanità, commentando la Sacra Scrittura nel contesto universitario – intende insegnare a riconoscere quel Cristo che ha effettivamente incontrato, contemplato e ricevuto nella liturgia e nella vita fraterna. Una limpida testimonianza di questo stile la troviamo  nel commento al passo del Quarto vangelo, al quale forse alludeva il cardinal Zuppi: «vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Scrive Tommaso: «Infatti è un vero segno di amicizia il fatto che l’amico riveli all’amico i segreti del cuore. Essendo infatti gli amici un cuor solo e un’anima sola, quanto l’amico svela all’amico non sembra che lo collochi fuori del proprio cuore. […] Ora, rendendoci partecipi della sua sapienza, Dio rivela a noi i suoi segreti». E aggiunge: «udire non è altro che ricevere il sapere da un altro, per il Figlio udire dal Padre equivale a ricevere da lui la scienza. Ora, la scienza del Figlio è la sua essenza. Perciò, per il Figlio udire dal Padre significa ricevere da lui l’essenza».

Pensiamo all’icona del Cristo-Maestro: nel predicare/insegnare il Figlio si dona a noi come ad amici ed è per questo che – contrariamente ad una curiosa dissociazione, piuttosto recente – risultava pienamente ragionevole al frate domenicano quel che aveva appreso da sant’Agostino: non si può amare, quel che non si conosce. Il conoscere e il far conoscere nella vita cristiana è un atto d’amore d’amicizia. Gesù, infatti, è Maestro perché amico che ci chiama e ci rende amici: «Cristo diede la sua vita per noi nemici non in quanto nemici, ossia così che restassimo nemici, ma per renderci amici». Prima di moltiplicare i pani e i pesci per dar da mangiare ai cinquemila, Gesù «vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Ecco di cosa c’è oggi «tanto bisogno»: apprendere da Cristo a guardare con compassione alla dispersione e allo smarrimento delle donne e degli uomini del nostro tempo, per prendersene cura tenendo insieme l’insegnamento e il nutrimento al fine di togliere gli ostacoli che impediscono di “accorgersi” di quanto il Trinitas-Deus ha compiuto perché avessimo vita e vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10). Per l’Occidente che ha ritenuto di non aver più bisogno di “maestri”, rimanendo tuttavia più o meno indifferente di fronte ai “testimoni”, sembra avverarsi la parola del profeta: «Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza» (Os 4,6). Soprattutto per questo abbiamo anche «tanto bisogno» dell’aiuto del Doctor humanitatis.