Accade spesso che volgendo indietro lo sguardo nel tentativo di ricostruire episodi importanti della propria esistenza, essi appaiano particolarmente prossimi nel tempo, sebbene siano accaduti mesi prima, o forse anni. Eppure innumerevoli sono stati i cambiamenti che ci hanno interessato, talvolta inimmaginabili.
Così, nell’ambito di questa misteriosa ed affascinante dinamica, si colloca anche l’esperienza del prenoviziato, iniziata ormai quasi nove mesi fa. Così, oggi, guardando indietro, mi pare ieri quel 16 ottobre, giorno in cui ebbe inizio il prenoviziato a Santa Maria delle Grazie; così oggi, guardando ancora più indietro, pare ieri quel 7 ottobre 2016 quando misi per la prima volta piede nel convento di San Domenico, a Bologna, ed iniziai così il percorso di “aspirantato”, incontrando parte dei mie compagni che, oggi, tra nuovi arrivi ed uscite, si avviano con me alla volta del noviziato.
Oggi, dopo nove mesi, ciò che ancora stupisce è la sensazione del “sembra ieri”. Un bizzarro compagno di viaggio che sono certo accompagni ogni esperienza che si ritiene piacevole ed edificante. È la sensazione che si prova dopo aver trascorso una giornata entusiasmante, magari con gli amici, oppure con la famiglia, in un clima di grande armonia, oppure, quando si parte per un viaggio atteso da tempo che non delude affatto le aspettative; in un batter d’occhio, la nostra percezione del tempo è come se venisse distorta, in positivo, evidentemente, e ciò fa sì che, sempre sul piano percettivo, le ore trascorrano più rapide che mai.
Forse è sminuente paragonare il prenoviziato ad una giornata piacevole trascorsa con i propri cari, ma credo che l’idea sottesa sia la medesima; in fondo sono entrambe un concentrato armonioso di esperienze, incontri, sensazioni, mozioni che siamo chiamati ad apprezzare e vivere nel profondo di noi stessi. Così, anche il periodo di prenoviziato si è manifestato appieno come un incontro, un’esperienza viva e sempre nuova, quella della fede; vissuta e maturata nella costruzione di un’intima relazione con Dio e nei rapporti reciprocamente edificanti istauratosi con i fratelli, durante questo tragitto, ancorché breve, di avvicinamento alla vita religiosa. Credo profondamente che una parola cardinale attraverso cui appare possibile racchiudere questo prenoviziato, ormai concluso, è “maturazione”.
In primo luogo la maturazione dell’amore, la coltivazione cioè di questa attrazione che ci muove ad immergersi sempre più a fondo nel mistero del Verbo incarnato, in una dimensione di costante coltivazione della relazione intima con Dio che poi si traspone nella relazione caritatevole con i fratelli.
La maturazione della dimensione dell’affidamento, cercando il più possibile di non risultare riluttanti alle mozioni delle Spirito che talvolta si presenta come un mormorio interiore, dolce e leggero (Cfr. 1Re 19,13), un soffio che ci scuote pur essendo appena percepibile, concedendoci un’appagante sensazione: quella che si prova quando si lambisce il “mistero” della volontà di Dio. La maturazione, poi, della docilità. Quel presentarsi cioè come poveri in spirito (Mt 5,3) davanti al Signore, non con un cuore egoisticamente ricco di noi stessi, ma libero, pronto a fare la volontà di Dio non appena intuisce, tramite la Grazia, quale essa sia. L’essere dunque mossi dallo Spirito profondamente persuasi che esso guida alla “Verità tutta intera” (Cfr. Lc 2,27-Gv 16,13).
La maturazione della missionarietà. Come ha nuovamente sottolineato papa Francesco nella sua ultima esortazione apostolica “Gaudete ed Exsultate”, la natura del missionario pervade profondamente il vero cristiano. In virtù del mandato ricevuto da Cristo (Cfr. Mc 16,15-20) tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare con la loro stessa vita lo stravolgente messaggio evangelico. Ebbene, nel corso del prenoviziato è maturata anche questa stupenda sensazione, ossia, la bellezza dell’essere annunciatori del vangelo, nella realtà in cui si è chiamati ad operare.
La maturazione della bellezza della vocazione. In una dinamica di cooperazione siamo chiamati a intendere, non già comprendere, il disegno che Dio ha prefigurato per noi; ciascuno secondo il proprio vissuto, secondo le proprie esperienze, secondo il proprio modo di essere; qui si inserisce la vocazione: nella storia di ciascuno, lasciando pur sempre intatta la nostra libertà. Il sentirsi chiamati a donare integralmente la propria vita a Cristo, intuendo grazie allo Spirito, che questa appare la via maestra da seguire, secondo il disegno di Dio. Il risveglio dunque di un senso di gratitudine che si è fatta al contempo coscienza della propria fragilità e che, in ultima analisi, suscita un senso di stupore meraviglioso.
La maturazione della dimensione travolgente dell’annuncio. Quando mi si chiede chi siano i domenicani, in modo immediato, spero non semplicistico, non indugio ad asserire che sono persone con un’esperienza così ricca della bellezza assoluta, tale per cui non possono tenerla per sé, cosicché tutti possano apprezzarla ed orientarsi ad essa. Così, vivendo “a contatto” con questa vocazione all’annuncio per la salvezza delle anime, in fondo assetate do Dio, il prenoviziato si è presentato come un’occasione per interiorizzare questo desiderio e coltivarlo, per farlo sempre più proprio.
La maturazione, infine, della grandezza del silenzio. Il prenoviziato ha funto anche da mirabile strumento attraverso cui comprendere l’apparente inverosimile ossimoro della loquacità del silenzio. La dimensione dello “stare” davanti a Gesù nel silenzio, lasciando parlare lo spirito il quale sa di cosa abbiamo bisogno prima ancora che lo domandiamo sprecando parole (Cfr. Mt 6, 5-8), poiché intercede per noi con “gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26-27).
Un percorso di maturazione dunque, di progressiva crescita nell’alveo di quel meraviglioso ed unico equilibrio tra contemplazione e vita apostolica che ancora oggi, dopo secoli, continua ad animare ininterrottamente l’Ordine dei Predicatori.