“Prima di tutto, fratelli carissimi, si ami Dio e poi il prossimo, perché questi sono i comandamenti che principalmente ci sono stati dati”. Questo è l’inizio della regola di Sant’Agostino con cui ciascun frate domenicano, insieme alle Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori, professa nelle mani del suo Superiore; e nell’inizio c’è tutto. Questo è l’alfa e l’omega del nostro essere consacrati. Se dovessimo disgraziatamente perderlo, pur conservando tutto il resto, saremmo destinati a diventare “come bronzo che rimbomba o come cembalo che strepita” (1 Cor 13,1-3).

Lo scopo della nostra formazione è proprio il lasciarci plasmare da questo amore con l’aiuto di tutti i mezzi che l’Ordine mette a disposizione, il primo dei quali è sicuramente la preghiera nelle sue diverse declinazioni: la celebrazione della Santa Messa, la Liturgia delle Ore, l’orazione, la meditazione della Sacra Scrittura e il Santo Rosario. Ogni frate comincia la propria giornata proprio con le parole del re Davide: “Signore apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”. Con il Miserere, fin dai primi istanti del mattino, esprimiamo la nostra consapevolezza di essere dei peccatori amati immeritatamente da Dio, e si rinnova in noi la memoria del giorno in cui ci siamo consegnati interamente al Signore chiedendo la sua misericordia e quella dei confratelli.

Oltre alla preghiera, la maggior parte del tempo della giornata di un frate studente è dedicato allo studio (personale la mattina e sui banchi di scuola il pomeriggio) della filosofia e della teologia, entrambe illuminate dalla retta dottrina di San Tommaso d’Aquino del cui pensiero sono permeati i nostri studi. Anche lo studio non è una cosa avulsa dalla vita di preghiera; anzi, è proprio un mezzo per entrare in rapporto con il Signore, tanto da essere considerato uno dei nove modi di pregare di San Domenico. Un nostro confratello irlandese ha scritto molto saggiamente che “se la bontà può essere considerata la santità del cuore, la verità è la santità della mente”.

Trasversalmente a tutti questi impegni ciascun frate studente ha delle piccole esercitazioni apostoliche che gli consentono di cominciare a vivere, con la giusta misura, il fine vero e proprio del nostro Ordine: la predicazione per la salvezza delle anime. Gli ambiti sono i più disparati, da internet alla parrocchia, ma hanno tutti come sottofondo quell’amore di Cristo che ci spinge a portarlo a chiunque.

Che dire, poi, della vita comune, di quell’aspetto che pervade costantemente le nostre giornate? La vita comune è una scuola evangelica che ci fa esercitare l’amore gratuito nei confronti dei nostri confratelli. Eppure è evidente che non esiste la comunità perfetta da questo punto di vista. È, allora, un’utopia vivere il Vangelo? Nient’affatto. Sarebbe un’utopia se non si vivesse più quella forma particolare di carità che è il perdono reciproco e che è, in definitiva, ciò che abbiamo chiesto con la professione religiosa: la misericordia. In questo senso, perciò, ciascuno di noi può essere perfetto, perfetto come il Padre nostro celeste, cioè misericordioso come lui, pronto a perdonare tutti, fino a settanta volte sette. Certamente questo non è un traguardo che possiamo raggiungere basandoci unicamente sulle nostre forze e la buona volontà, ma è il dono che chiediamo al Signore ogni mattina con il Salmo 50: “Signore apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”.

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