Martedì 1 novembre 2016 si è tenuto l’appuntamento mensile della Gioventù Domenicana presso il convento di Venezia. L’oggetto dell’incontro era “La vita di fede”, di cui si propone un breve estratto.

LA VITA DI FEDE
A) definizione dei termini
I evidenze e atteggiamento fiduciale
B) la storia della nostra vita di fede
1 condizioni della sua origine
I educati in famiglia
II scoperta personale
2 tappe nel suo sviluppo

PARTE 1

Il bambino riceve la vita in dono e sin dalla nascita si affida alle cure dei genitori; si affida totalmente ad essi perché sa che da loro ha ricevuto la vita, e la riceverà ogni giorno. Lo stesso meccanismo di affidamento lo si ritrova nella persona adulta. Solo che questa non si affida ai genitori, bensì ad altro: un’idea, un bene materiale, una persona, un’entità superiore. L’uomo, per sua natura, si orienta e si determina riponendo la sua fiducia in qualcosa.
In questo senso, ciascuno è credente, ossia ha fiducia nel fatto che l’oggetto della propria tensione interiore sia idoneo a soddisfare il desiderio di vita, di infinito, che serba in sé. Si tratta, a ben vedere, di una fiducia che non si basa su alcuna evidenza concreta, sperimentata direttamente dalla persona. Nessuno può dirsi sicuro che i beni anelati consentano di soddisfare il proprio desiderio di sentirsi esseri compiuti. Quante persone si riempiono di soldi, per poi accorgersi che a nulla servono se non a diventarne schiavi.
Pertanto, l’affidamento di ciascuno deve essere riposto in un qualcosa che sia idoneo allo scopo di ottenere ogni giorno la vita. E la vita piena a cui si anela deve trovare compimento nella nostra esistenza in ogni singolo istante. La vita, del resto, non potrebbe definirsi tale se la si posticipasse ad un futuro che, per sua natura, non esiste. Sono privi di senso discorsi del tenore: “quando avrò un dato stipendio allora potrò vivere dignitosamente”, oppure “sarò felice quando troverò la donna giusta”. La vita è un presente continuo, è ogni singolo battito di cuore. In ogni attimo deve quindi trovare compimento il senso della persona, ciascun momento deve essere colmato di infinito. Si comprende allora come la materialità verso cui troppo spesso si tende, in quanto per natura, finita, non possa assolvere a tale compito. Il denaro, i beni materiali che si desiderano, possono dare la vita piena? O, piuttosto, derubano la persona della vera vita?
C’è chi ripone la propria fiducia in Dio, cercando in Lui la vera vita, sin da bambino, chi vi giunge per vie tortuose. C’è anche chi, invece, non vi arriva mai. L’apparente vanità dell’esistenza grida affinché ognuno trovi il senso del proprio cammino. In cosa riporre la propria fiducia dunque?

A seguito dell’incontro si è pranzato assieme alla piccola comunità dei frati domenicani. Si è poi effettuata una breve passeggiata in città e, per l’occasione, si è visitato quello che fu il convento dei frati domenicani prima della sua annessione all’ospedale, tutt’oggi in funzione. Il convento originario è costruito in affiancamento alla basilica dei Santi Giovanni e Paolo, e vi si entra transitando dalla Scuola di San Marco. Era originariamente composto da due chiostri, uno dei quali si è conservato, mentre l’altro, quello principale, ha subito delle modifiche sicché l’architettura originaria non è più visibile in talune punti. Lungo i corridoi del chiostro sono presenti le celle dei frati domenicani; sopra ognuna veniva scritto il nome di un autorevole frate appartenente all’ordine, che non necessariamente aveva soggiornato nella cella su cui era apposto il nome. Le stanze non sono visitabili in quanto adibite ad uffici, e l’ingresso del primo piano che portava direttamente in basilica, alla loggia in cui cantava il coro dei frati, è stato murato.
Dopo la visita si è passeggiato brevemente in città. Lì si è discusso sulla necessità dei turisti orientali di fotografare i campanelli veneziani e i frati domenicani. Durante il cammino un bambino italiano ha scambiato i due frati che ci accompagnavano per dei papi, uno dei quali chiamato “nero” per il mantello di detto colore. La profezia di Malachia ha dunque trovato compimento?
Passeggiando si è anche avuto modo anche di narrarsi ricordare con nostalgia sugli ormai celebri “sgabei”, gentilmente offerti dal gruppo spezzino all’incontro provinciale della gioventù domenicana tenutosi a settembre a La Spezia. A scanso di equivoci, gli “sgabei” non sono sgabelli, bensì gnocchi fritti.

PARTE 2

La seconda parte dell’incontro è stata di stampo marcatamente “domenicano”. Si è infatti analizzato il significato del verbo ”laudare”, presente nel motto “laudare, benedicere, predicare”. Dopo aver letto un brano al riguardo, ciascuno ha potuto esprimere il proprio pensiero. La lode a Dio, invero, investe completamente la vita del fedele, sicché non solo la parola, ma anche le opere sono orientate alla Sua maggior gloria. E per far ciò, bisogna seguire l’esempio di Dio fattosi uomo, in quanto “via, verità e vita”. Peraltro, separare i termini del motto non si è rivelato neppure troppo semplice, giacché, appunto, la vita cristiana coinvolge indissolubilmente la lode, la benedizione e la predicazione.
Ma per un’analisi più completa al riguardo, sarà necessario attendere i successivi incontri.

Massimiliano Borini