“Sono la serva del Signore”
8 Dicembre 2018
Gen 3,9– 15.20; Salmo 97; Ef 1,3– 6.11-12; Lc 1,26–38
Il percorso biblico che la solennità odierna istituisce origina dalla pagina genesiaca, in cui viene esemplarmente raffigurata la tragedia del peccato, con il carico di conseguenze nefaste, che vanno dalla rottura della familiarità con Dio (dove sei?), la perdita dell’innocenza originaria (ho avuto paura perché sono nudo), il conflitto all’interno della coppia (la donna che mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero). Ma al contagioso diffondersi del male, il testo lascia intravvedere anche una promessa di speranza, il così detto Protovangelo che emerge dalle parole di Dio al serpente (porrò inimicizia tra te e la donna .. questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno). La lettera agli Efesini esalta il mistero della elezione divina, che trascende il tempo e si colloca nell’eternità di Dio, ha come finalità di rendere sante e immacolate le creature, in vista della figliolanza adottiva e della eredità finale, nel Cristo Gesù. Il tutto a lode e gloria della sua grazia. Il vangelo, con l’episodio dell’annunciazione dell’angelo a Maria, mostra l’inizio del ribaltamento operato dalla grazia di Cristo, con l’atto di obbedienza della vergine, che si affida a chi gli annuncia il compimento delle promesse e la nascita del Figlio dell’Altissimo.
I grandi misteri della fede, le verità proclamate nei dogmi della Chiesa, sono ben lungi dall’essere meri dati dottrinali, privi di ricadute e conseguenze fortissime nell’esperienza del credente. Così anche il dogma dell’Immacolata Concezione, promulgato nel 1854 da Pio IX, come credenza di fede già universalmente professato e condiviso dal popolo cristiano, si impone alla nostra attenzione anzitutto per il grande insegnamento. Esso può essere sintetizzato in questa affermazione; Maria concepita senza peccato originale è la primizia della redenzione operata dal figlio suo Gesù Cristo, che ha ricolmato la madre di ogni grazia in previsione dei meriti della sua gloriosa passione morte e risurrezione. Ella pertanto rappresenta l’icona dell’umanità nel suo stato originario, così come essa è voluta e pensata da Dio, sebbene anch’Ella salvata dalla grazia del Figlio suo, se pure secondo una modalità preventiva, alla maniera del genitore che impedisce alla figlia di imbrattarsi nel fango, piuttosto che lavarla dopo essersi inzaccherata. Maria non è una fata o una dea, è creatura come tutti noi, investita anch’Ella dal dono di vita che scaturisce dal costato di Cristo dormiente sul calvario, per svolgere all’interno della storia della salvezza un ruolo unico, quello di essere la Madre del Figlio di Dio. Nell’esaltare i privilegi di cui Maria è stata insignita, il popolo credente celebra i mirabilia Dei e riconosce gli imperscrutabili disegni divini, mentre nel sottolineare la sua condizione di discepola, prima che di Madre dell’Altissimo, ne evidenzia gli aspetti che la accomunano a noi. Ma in entrambi i casi è sempre la nostra fede a uscirne rafforzata.
Siamo confortati nella nostra fede riconoscendo che Dio ha voluto essere cullato, allattato, nutrito, e curato da una madre; che in questo modo sul volto di Maria rifulge quell’aspetto materno e femminino dell’amore di Dio, che in forma eminente appartiene a Dio, è Dio stesso. Maria (che ripetiamo, non è una quarta persona divina), l’immacolata, voluta da Dio come dimora santa per accogliere la venuta in terra del Figlio suo, rammenta a tutti i credenti che Gesù desidera essere accolto, amato, accudito e curato da tutti noi, come il bene più prezioso. La piena di grazia e immacolata inoltre costituisce la dichiarazione più chiara dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, capax Dei, per vocazione e natura destinato a essere ricolmato della presenza di Dio, trasfigurato e trasformato in lui, destinato alla fruizione della visione dell’Altissimo, a partecipare alla figliolanza adottiva e condividere l’eredità.
Al tempo stesso siamo confermati nella nostra fede perché il sì pronunziato dall’immacolata è quello che ogni discepolo è chiamato a profferire; che solo vincendo il contagioso sospetto che la colpa originale ha seminato nei nostri cuori, si avvera la profezia dell’angelo Gabriele, nulla è impossibile a Dio. Il cuore del messaggio dell’Immacolata, ovvero il capolavoro di grazia che Maria mostra, consiste soprattutto nella sua obbedienza, nella disponibilità a riconoscersi come la serva del Signore, perché avvenga di lei quanto proclamato dall’angelo. Sono parole che rivelano chiaramente, se mai ce ne fosse bisogno, come l’essere la primizia del mondo nuovo, il capolavoro della grazia di Dio, non hanno nulla a che vedere con l’acquisizione di posizione di potere o di vantaggio; e se di privilegio si può e deve parlare a riguardo di Maria, esso lo sarà nella logica del martirio e del servizio; privilegiati per eccedere ogni legge di misura nel dono di se stessi e nel sacrificio della propria vita.
Queste considerazioni siano allora lo sprone a vincere le nostre resistenze nei confronti di Dio. Ad accettare l’obbedienza di fede che l’Immacolata addita, nella certezza che solo questa è la via della beatitudine. Che soltanto nella dedizione alla sua chiamata, Dio potrà operare cose grandi in noi, rendendo possibile l’umanamente impossibile. Che nella vita cristiana, servire è regnare e regnare è servire, che il privilegio è quello del martirio e l’eccellenza è solo quella della santità. Allo stesso tempo l’Immacolata, con la grazia speciale che l’ha resa incontaminata dalla colpa originale, susciti in noi un amore sincero per il Signore Gesù, sicché se non potremo cullarlo tra le braccia come una madre, possiamo però custodirlo nel cuore, adorarlo nel sacramento dell’altare, ascoltarlo nelle sue parole, accoglierlo nell’Eucaristia, servirlo nei fratelli.
Infine godendo della vicinanza della Madre di Dio, il cristiano si senta confortato nei momenti della prova, avendo scoperto in lei non solo la potenza propiziatrice di grazie, ma la madre tenera e dolce ripiegata sulla sorte dei figli.