Noi siamo soliti pensare che quando si parla di presenza reale si intende la presenza di Gesù nell’eucaristia, e che è questa presenza di Gesù nel tabernacolo che distingue le chiese cattoliche dalle chiese protestanti, per cui le chiese cattoliche sono “calde” per la presenza eucaristica e quelle protestanti sono “fredde” perché non hanno il tabernacolo e la lucina rossa (una volta c’era anche il conopèo, che è quella tendina che copriva la porticina del tabernacolo).
Molto nei secoli passati è stato detto, giustamente, su questa “presenza” eucaristica, soprattutto in rapporto ai Protestanti. Ora, ciò che è stato detto continua ad avere senso, ma forse dovremmo rivedere alcune nozioni. Dovremmo rivedere il concetto che le chiese senza tabernacolo siano protestanti, perché le chiese orientali anche cattoliche non hanno tabernacoli o cappelle del Santissimo (se non una celletta non accessibile ai fedeli), come da noi. Certamente nessuna di queste chiese orientali, anche cattoliche, conserva sull’altare il Santissimo (continuiamo ancora a chiamarlo così per intenderci) quando si celebra l’eucaristia. Giustamente le nuove norme della chiesa cattolica, ma anche le antiche, mettono (e mettevano) in rilievo che l’eucaristia non si conserva ordinariamente sull’altare maggiore, o anche nelle adiacenze dove si celebra l’eucaristia.
Le considerazioni da fare sono molteplici e qui ci soffermiamo su due. La prima è sul senso della celebrazione eucaristica e della presenza di Gesù nell’eucaristia; la seconda è sulla presenza di Gesù nelle altre celebrazioni liturgiche. Incominciamo da quest’ultima.
Le presenze reali di Gesù
Ci chiedevamo: il Signore è in mezzo a noi sì o no? Questo se lo chiedevano anche gli antichi ebrei nelle loro vicissitudini storiche (Es 17,7). Noi prendiamo la frase e la adattiamo al nostro argomento: quando celebriamo, il Signore è con noi sì o no? La risposta che tutti diamo è: «Sì, il Signore è con noi». È reale la presenza del Signore con noi nella liturgia? Con dei “distinguo” da parte di qualcuno, ma fondamentalmente tutti diciamo: «Sì, certamente». Domando ancora: la presenza del Signore per grazia è una presenza reale? L’inabitazione trinitaria è una cosa reale? È vera, reale, o solo psicologica, mentale, metaforica? Il corpo mistico è un modo dire o è una cosa vera? Di che presenze del Signore si tratta?
I padri del Concilio Vaticano II hanno detto, parlando della liturgia: «(…) Cristo è sempre presente nella sua chiesa, specialmente nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro… sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente, con la sua potenza, nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola giacché quando nella chiesa si legge la sacra scrittura è lui che parla. È presente infine quando la chiesa prega e salmeggia, lui che ha promesso: dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro (Mt 18,20)» (SC 7).
Gesù dunque è veramente, realmente presente sotto tanti segni: la comunità, il ministro, la parola, le azioni sacramentali, le specie eucaristiche.
Ora tutte queste presenze sono presenze reali, vere, dice Paolo VI nella Mysterium fidei, anche se il segno eucaristico porta una presenza particolare, che è quella del Cristo integrale, in umanità e divinità, ma presente in modo “sostanziale”, non fisico, cioè nella sua sostanza – che è un concetto filosofico, della filosofia scolastica – e soprattutto è presente nell’atto della sua offerta suprema al Padre. L’eucaristia è il memoriale di Cristo nella sua pasqua.
Ma il Cristo dell’eucaristia non è un Cristo diverso dal Cristo presente sotto gli altri segni sopra elencati, è solo particolare il modo della presenza.
Questo diciamo non per svalutare la presenza eucaristica, che rimane quella che è, ma perché dobbiamo imparare a rivalutare e pensare la presenza di Gesù anche al di fuori dell’eucaristia, non per diminuire l’eucaristia, ripetiamo, ma per dare giusto valore anche agli altri segni sacramentali, a iniziare dalla comunità riunita in preghiera, alla proclamazione della parola di Dio, allo stesso ministro nell’esercizio del suo ministero.
Il che vuol dire che quando la comunità è riunita per celebrare, la comunità è già sacramento della presenza di Cristo. Quando il ministro è presente nel suo ministero in atto, è un segno reale di Cristo; quando si legge la sacra scrittura è un segno della vera presenza di Cristo che parla. Non per niente diciamo: «Parola del Signore!» e non nel senso di parole che il Signore ha detto in passato, bensì nel senso di parola che egli ci rivolge ora, proprio lui.
Perché allora, se abbiamo venerazione per la presenza eucaristica, non abbiamo venerazione anche per le altre presenze di Cristo, invece di bistrattare la comunità, la parola di Dio, e celebrare i sacramenti con sciatteria e negligenza? Questo è anche il motivo per cui accingendosi a celebrare l’eucaristia, non si comincia con la genuflessione alla presenza eucaristica nel tabernacolo, ma dalla venerazione del segno della comunità (che incensiamo), del ministro (che incensiamo), della parola di Dio (che incensiamo), e finalmente, nel suo culmine, della eucaristia.
La presenza nell’eucaristia
Ma attenzione anche a come pensiamo la presenza eucaristica e a come ne parliamo.
Il discorso non è tra Cristo che non c’è e Cristo che c’è, perché Cristo c’è anche sotto gli altri segni sacramentali.
Non è in gioco la presenza di Gesù in mezzo a noi, ma il “modo” della presenza, che è una presenza di Cristo in atto di offerta di sé, sotto il segno del pane e del vino, perché noi possiamo, in comunione con lui, mangiando lui, diventare noi stessi una offerta gradita a Dio, come lui.
Quindi l’attenzione non è sulla consacrazione in quanto tale – prima non c’è Gesù e dopo c’è -, ma sulla particolare forma di presenza che è quella offertoriale. Da qui deriva che esclamare, al momento dell’elevazione: Signore Dio e Dio mio, o: È il Signore, significa semplicemente fermarsi alla presenza, perdendo di vista la caratteristica essenziale di questa presenza. Quelle sono esclamazioni più devozionali che inerenti alla celebrazione. Non ha importanza se Pio X concesse l’indulgenza a chi diceva la giaculatoria sopra riportata. Oggi abbiamo ricompreso qualcosa in più. Favorire queste giaculatorie non è buona educazione all’eucaristia, è ridurre l’eucaristia solo ad un aspetto, e neppure il più importante di essa: il fatto che Gesù ci sia. Piuttosto, dopo il racconto dell’ultima cena di Gesù, mettiamo una acclamazione, un Amen, un Gloria a te Signore (vedete le preghiere eucaristiche coi fanciulli). C’è già una acclamazione: «Annunciamo la tua morte Signore…» (meno giusta la terza: «Tu ci hai redenti…», che termina con una invocazione: «salvaci o Signore»). Queste giaculatorie non sono oltre tutto gli unici gesti devozionali che sono stati inseriti nella celebrazione.
La stessa elevazione, se non compresa, può diventare fuorviarne rispetto al mistero eucaristico, soprattutto se ci si ferma per una lunga adorazione, o se il sacerdote bacia l’ostia (non è il tempo delle devozioni personali del ministro). Forse un giorno l’elevazione si potrà togliere, come è stato per più di mille anni dall’inizio della chiesa, e sarebbe tutto di guadagnato per la comprensione dell’eucaristia del Signore. Il vero gesto eucaristico offertoriale non è l’elevazione, ma quando si canta la dossologia finale della Preghiera eucaristica.
Ecco, proposti con semplicità, alcuni spunti per riflettere e per celebrare con più autenticità.
In realtà quella che noi chiamiamo consacrazione non è altro che la preghiera di memoria e di invocazione che la chiesa rivolge al Padre, ricordando il gesto di Gesù nell’ultima cena. È la ripetizione del gesto (preghiera, spezzare, distribuire) che fa l’eucaristia voluta dal Signore, e sarebbe solo un allegorismo pensare che l’elevazione indichi Gesù in croce. La messa non è una via crucis.
Alcune altre piccole cose
Nelle messe giovanili talvolta si indugia anche su altri gesti meno autentici, anche se piacciono e “fanno clima”.
Alludo ad esempio al fatto che nella preghiera del Padre nostro prima della comunione ci si tenga per mano. La pre ghiera del Padre nostro non è per sentirci fratelli, ma è la preghiera di fratelli al Padre comune, da farsi tutti con le mani alzate. Il tenersi per mano è un gesto più sentimentale che teologico e sacramentale. Perché non tenerci per mano allora durante la preghiera eucaristica – forse anche questa non è rivolta al Padre? -, o durante uno qualunque degli Oremus, o, forse meglio, quando si prega per la pace nella chiesa, cioè tra di noi?
E similmente nello scambio reciproco del dono della pace, se crediamo alla realtà del corpo mistico non è necessario fare il giro della chiesa per dare la pace a tutti. La chiesa è come una rete; l’importante è che ogni nodo sia aggiustato, allora attraverso il congiungimento coi più vicini siamo già in comunione con tutti, come in una rete elettrica. E che cosa ci comunichiamo in quel gesto? la nostra pace? Sì, ma soprattutto la pace del Signore, che è un dono che riceviamo dall’alto, e che si comunica attraverso la rete. Ha veramente senso dire allora: «buona giornata», quando ci si scambia il gesto di pace, o non piuttosto: «che la pace di Cristo sia con te»?
fra Raffaele Quilotti