“Rallegratevi nel Signore sempre”

16 Dicembre 2018

Sofonia 3,14–17; Salmo, Is 12,2-6; Filippesi 4,4–7; Lc. 3,10–18.

Il profeta Sofonia, nei momenti difficili della vita di Israele, invita il popolo alla gioia, in nome della mobilitazione di Dio a suo favore. Egli vuole revocare la condanna, disperdere i nemici, affermarsi al cuore del popolo come re e salvatore, che rinnova con l’amore la sua creatura; da ciò discende la gioia di Dio, ancora prima che quella del popolo, che non dovrà più lasciarsi cadere le braccia, vivere cioè rassegnato nella disperazione.

La letizia è anche il motivo ispiratore del testo tratto dalla lettera ai Filippesi, a motivo della prossimità di Dio che rimuove l’ansia dal cuore degli uomini sostituendovi la pace e un rapporto schietto e sincero con Lui, fatto di preghiere, suppliche e ringraziamenti.

Il vangelo offre le motivazioni profonde della gioia evangelica. Essa consiste nella disponibilità alla conversione che Giovanni propone alle diverse categorie sociali: le folle, i pubblicani e i soldati. Ma ancora più la letizia scaturisce dalla profezia che lo stesso Battista annunzia, la venuta del Messia che non si limiterà a battezzare con acqua ma in Spirito santo e fuoco.

È importante che la liturgia della terza domenica di avvento sia consacrata alla letizia e alla gioia, assumendo il titolo di Dominica gaudete, come nell’antifona d’ingresso della messa, gaudete in Domino semper. È commovente che tutt’intero il messaggio odierno sia percorso da un irrefrenabile moto di letizia, che ha le sue radice nella volontà divina, di esultare per la redenzione e salvezza di Israele. La creatura è chiamata a asciugare le lacrime dal volto, riprendere vigore e coraggio, abbozzare il sorriso, perché il Signore vuole gioire per primo; il profeta Sofonia dichiara che Dio vuole esultare e rallegrarsi per Israele, rifatto e ricreato dal suo amore. Egli non pago di avere posto all’esistenza la sua creatura, non contiene il proprio gaudio alla vista della rigenerazione di questa creatura, sfigurata dalla colpa e dalla condanna ma totalmente rinnovata dall’effusione della grazia. La gioia dell’uomo è perciò un gaudio derivato e desunto, è l’ingresso nei misteri della beatitudine divina che si compiace del manufatto, a immagine e somiglianza sua, cosa molto buona che supera ogni confronto. Rallegriamoci anche noi del gaudio divino per le meraviglie operate a nostro favore e non consentiamo che la tristezza del mondo si impossessi del nostro animo, conducendoci su strade pericolose.

Il vangelo nelle parole di Giovanni scandisce sapientemente le vie che conducono al rinnovamento dell’uomo nell’amore di Dio, di cui parla Sofonia. È la conversione il segno di questa novità, se essa non si limita al vuoto velleitarismo, ma diviene decisione quotidiana sul da farsi concreto. È interessante cogliere la scansione ternaria che Giovanni individua. La prima tappa è quella dell’amore verso i poveri. “Cosa dobbiamo fare”, richiedono le folle a Giovanni e la risposta ad esse è di instaurare un regime che ha al centro la condivisione e la solidarietà verso i più bisognosi; dando da mangiare a chi non ne ha e di che vestirsi, per chi ne è sprovvisto. La seconda tappa è quella della giustizia, nelle relazioni sociali. I pubblicani si indirizzano a Giovanni, ponendo lo stesso interrogativo, da cui la riposta, “non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato”. È noto che questa categoria odiata e temuta, deteneva l’appalto della riscossione delle imposte per l’autorità romana, maggiorandola indebitamente specie sui poveri, a proprio vantaggio. La richiesta del Battista è perché il detentore del potere non approfitti della propria posizione prevaricando sui più deboli e l’autorità non mostri il suo volto rapace e spietato, ma rispetti le persone povere e le famiglie. La terza tappa, simile alla seconda, riguarda la messa al bando della violenza, brutalità e avarizia. Entrano in scena i soldati, a loro volta intenzionati a assumere un atteggiamento di conversione, con la reiterazione della domanda. Al che Giovanni risponde di non maltrattare alcuno, di non estorcere e di accontentarsi delle paghe. In un mondo in cui la brutalità dei potenti era dilagante, Giovanni invita alla mitezza. Là dove lo ius gladii rendeva legittima qualsiasi richiesta di estorsione, rappresaglia o razzia, Giovanni domanda la radicale rinuncia a tutto questo. Là dove la sete di denaro rendeva possibile ribellioni e ammutinamenti da parte della soldataglia, Giovanni chiedi di accontentarsi di quanto loro già garantito.

È vero il mondo, nonostante gli enormi progressi sul piano tecnico–scientifico, non è molto cambiato sul piano morale, perché le esortazioni del grande profeta sembrano ancora perfettamente ritagliate sulla situazione nostra attuale!!! Ebbene la novità di cui Dio vuole rallegrarsi e noi con Lui, è il ribaltamento di queste storture nell’esistenza dell’uomo.

La possibilità reale di assistere a un vero rivolgimento nella vita umana non risiede comunque nell’efficacia della parola del grande uomo, ma nella profezia da lui consegnata. Egli per primo attende l’avvento di una più forte di lui, che non battezzerà soltanto nell’acqua, ma nello Spirito santo e nel fuoco. E noi ben sappiamo che la potenza della grazia divina ha investito l’umanità il giorno di Pentecoste, quando dal costato squarciato del Cristo sul Golgota, si è effusa sull’umanità il dono escatologico, lo Spirito dell’amore, della comunione e del dialogo tra gli uomini.  È grazie a ciò che Gesù ha promesso e donato, che il concreto cammino di conversione diviene oggetto di una fondata speranza.

La gioia evangelica infine si esprime, sempre nella linea del messaggio odierno, anche nell’instaurazione di un diverso rapporto con il Signore. Proprio la certezza della prossimità divina, suscita nel discepolo un prepotente desiderio di allacciare un dialogo sincero con il suo Signore, facendo della sua vita l’oggetto di una richiesta di aiuto. Essa non è strumentalizzazione di Dio ai fini di interessi personali, ma confessione dell’onnipotenza divina, che si manifesta nella messa al bando dell’angustia. È il messaggio della lettera ai Filippesi, in cui a sua volta si incontra una triade di passaggi nella vita di orazione; la preghiera, la supplica, il ringraziamento–eucaristia. Che intendiamo declinare nei seguenti termini, proprio nella fedeltà alla significazione biblica. Preghiera come adorazione, voto, celebrazione. Preghiera come richiesta pressante di aiuto e sostegno da parte di Dio. Preghiera per esprimere la nostra piena e incessante riconoscenza al nostro Creatore e Salvatore.

Impariamo anche noi a gioire e rallegrarci con Dio e per Dio, per la sua prossimità. Decidiamoci per una conversione sincera e concreta. Essa è resa possibile dal dono dello Spirito da parte di Gesù. Trasformiamo le inquietudini della nostra vita nella schiettezza di una preghiera che nasce da una fede e carità sovrabbondanti. Ci accorgeremo che la gioia evangelica sarà piena e contagiosa!!!