28 febbraio 2021
Trasfigurati perché Trasfigurato
Letture: Gen 22, 1-2.9. 10-13. 15-18; Sal 115; Rm 8, 31b-34; Mc 9, 2-10
Il Vangelo proposto per la seconda domenica di Quaresima racconta e riporta un evento memorabile dell’esistenza terrena di Gesù. A lungo le folle lo avevano seguito, lo avevano accolto, ed avevano fatto proprio il suo messaggio con disponibilità e, spesso, con entusiasmo genuino. Successivamente, poiché era gradualmente diventato un pericolo pubblico per le autorità, i Farisei cominciarono ad ostacolarlo e a tendergli insidie; non solo, ma anche le folle iniziarono ad abbandonarlo un poco alla volta. La convinzione di una vittoria dei nemici e di una sua disfatta mortale si fece sempre più chiara in Gesù e così cominciò ad annunciare ai suoi discepoli l’approssimarsi della passione e della morte e, a partire da quel momento, dedicò la maggior parte del suo tempo a formare i discepoli piuttosto che ad insegnare alle folle. Spesso, durante il suo ministero, Gesù si ritirava in solitaria preghiera, talvolta una notte intera. È ciò che fece dopo aver predetto ai discepoli la sua morte, ma in questa occasione non volle andare a pregare da solo ma scelse di farsi accompagnare da alcuni dei suoi e così ne scelse tre – Pietro, Giacomo e Giovanni – forse perché erano coloro che gli erano più particolarmente vicini, ma, forse, anche perché erano quelli fra i discepoli che presentavano la maggior resistenza al suo messaggio.
E allora: «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte,» (Mc 9,2), il monte, segno di un evento importante, forse decisivo: in effetti, scorrendo la Scrittura, si nota che sui monti alti accade sempre qualcosa di divino: è sull’ Oreb che Mosé riceve la rivelazione del Nome divino ed è sul Sinai che sempre Mosé riceve la Legge. È naturale che anche in questo caso sarebbe accaduto qualcosa di simile e della stessa, estrema importanza: «Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime» (Mc 9, 3). Su quel monte, Gesù dovette dire di “sì” alla volontà del Padre, accettare pienamente la sua missione e dunque anche la sua morte. E così, quando ogni aspettativa umana era sparita, quando non rimase altro che la speranza pura e nuda nel Padre, quando tutto, al di fuori della sua missione messianica, gli veniva sottratto o si sbriciolava, si rivelò la sua vera identità: egli venne trasfigurato. Tutta la sua umanità brillò nell’adesione alla volontà del Padre, e poiché i tre avevano avuto il grande privilegio di partecipare alla sua preghiera, furono anch’essi resi partecipi di questa rivelazione della sua identità.
Appaiono allora Mosè ed Elia a simboleggiare la totalità della religione antica d’Israele. Per Pietro, Giacomo e Giovanni non c’è più nulla da cercare: le loro attese si sono finalmente realizzate: il Messia ha trionfato. E allora Pietro propone di non andare più avanti, di restare là: «Rabbi, facciamo tre tende...», ma dicendo ciò chiaramente manifesta che la visione non ha cambiato affatto la sua mentalità. Resta incollato alla tradizione antica poiché vorrebbe inserire nella stessa categoria Gesù, Mosè e Elia, integrando il messianismo di Gesù nelle categorie del Primo Testamento. Pietro fugge il conflitto, preferisce il monte a Gerusalemme e il Tabor al Calvario. Ma la voce del Padre lo riporta al presente: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7b). Intorno regna il silenzio: Mosè e Elia non dicono rivelano nulla ai discepoli, non parlano e poi spariscono e resta soltanto Gesù che il Padre dichiara suo Figlio l’amato, l’unico che è necessario ascoltare. Finalmente la Legge e i Profeti sono compiuti. Il messaggio della voce ha questo significato: Gesù è più di un legislatore, più di un Profeta. Egli è il Figlio, egli è colui che vive eternamente con Dio nella relazione più intima e più preziosa che esista, quella del Figlio in rapporto ad un Padre, quella di un Figlio amato! Collocata nel contesto degli annunci della Passione, questa scena della Trasfigurazione annuncia che il Cristo della sofferenza si pone già sulla strada dell’oblazione fino alla morte sulla Croce certo, ma anche che Egli è già, e resterà nella violenza e nella brutalità della Passione, il Cristo in gloria, un Cristo vincitore del male perché, appunto, egli è il Figlio benamato del Padre.
L’invito che trapela limpido e sereno dal vangelo della Trasfigurazione è allora il seguente: ogni discepolo del Cristo deve partecipare alla Trasfigurazione, tutti dobbiamo lasciarci trasfigurare, diventando identificati, in tutto il nostro essere umano, con la volontà di Dio su di noi. Ciò può avvenire, per noi come per Gesù, se abbiamo il coraggio di ritirarci, secondo i tempi e le necessità di ciascuno, nella solitudine per pregare. Inoltre, siamo anche vocati a contemplare quasi, sotto le apparenze della fragilità creaturale, ciascuno dei nostri fratelli e ciascuna delle nostre sorelle nella loro natura trasfigurata. Dio si rivela in ciascuno e in tutti, se i nostri occhi e i nostri cuori saranno in grado di vedere. E, poiché, unicamente coloro che possiedono un cuore puro possono vedere Dio, siamo convocati ad avvalerci del periodo quaresimale come di uno strumento adeguato a ricevere la grazia della purezza del cuore.
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