San Domenico, il giubileo della speranza.
Otto secoli di sfide per i frati predicatori.
Fra Gianni Festa ha presieduto il Comitato Internazionale per celebrare gli 800 anni dalla morte del santo. «In cantiere una serie di eventi e iniziative editoriali per ricordarne l’alta statura spirituale»
Nell’estate del 1221, a Bologna, lo spagnolo Domenico da Caleruega si era ammalato gravemente. Per evitargli il caldo afoso della città, fu portato in un piccolo eremo benedettino sulle colline circostanti; sentendo avvicinarsi la morte, egli chiese però di essere riportato in convento, tra i suoi confratelli. Quando questi gli domandarono se desiderasse essere sepolto vicino alle reliquie di questo o quel santo, Domenico rispose, con un palese rimando all’episodio evangelico della lavanda dei piedi degli apostoli da parte di Gesù: «Non sia mai che io venga seppellito in altro luogo che sotto i piedi dei miei frati». Padre Gianni Festa, il nuovo priore del convento dei Santi Bartolomeo e Stefano, a Bergamo, ha presieduto il Comitato Internazionale per il «Giubileo di san Domenico», che inizierà oggi e proseguirà fino al 6 gennaio 2022: «Sono in calendario – spiega – diverse iniziative volte a commemorare l’ottavo centenario della morte (ma noi preferiamo parlare del “dies natalis in cielo”) del nostro Padre fondatore. Purtroppo, a causa dell’attuale situazione sanitaria, abbiamo dovuto ridurre di molto il nostro programma originario: contiamo comunque di riuscire ad attuare una serie di eventi volti a testimoniare la statura spirituale di san Domenico e le vicende – dalle origini a oggi – di noi Frati predicatori».
Avete in cantiere anche delle iniziative editoriali?
«Mi permetto di ricordare due opere di prossima uscita: la Sismel (Società internazionale per lo studio del Medioevo latino) pubblicherà il primo volume dell’edizione critica delle fonti della vita di san Domenico, edizione che ho curato insieme ad Agostino Paravicini Bagliani e a Francesco Santi; presso le Edizioni Studio Domenicano invece vedrà la luce una biografia di taglio più divulgativo, “Domenico padre dei Predicatori”, scritta da me e da un confratello francese, Augustin Laffay, archivista generale dell’Ordine ».
San Domenico fu un contemporaneo di Francesco d’Assisi: morì il 6 agosto 1221, cinque anni prima di lui. Gli storici ritengono che entrambi gli ordini da loro fondati abbiano costituito una grande novità nella storia della Chiesa.
«Come suggeriva Jacques Le Goff, io parlerei di una svolta non solo nella storia della Chiesa, ma anche in quella della cultura e della società secolare. I nuovi “ordini mendicanti” sorti agli inizi del Duecento – in particolare, i domenicani e i francescani – intendevano dare una risposta ai problemi di ordine religioso e pastorale derivanti dalle trasformazioni della società del tempo, come il ripopolamento delle città, lo sviluppo dei Comuni, l’affermazione di una borghesia mercantile. La struttura di governo di questi ordini è centralizzata, nel senso che tutti i membri dipendono da un unico superiore generale, e i conventi sorgono, significativamente, in contesti urbani. Soprattutto il nostro ordine, fin dagli inizi, ha avuto come tratto peculiare la missione della predicazione. L’episodio – tramandato dalle prime fonti – di Domenico che per un’intera notte dialoga con un oste di Tolosa riuscendo infine a riportarlo dall’eresia alla fede cattolica, testimonia come fin dagli inizi ci fosse la consapevolezza di dover disporre di una preparazione dottrinale e culturale, per poter diffondere il messaggio evangelico ».
Sul vostro conto, tuttavia, è nata anche una «leggenda nera», C’è chi vi ritrae nelle vesti di arcigni «custodi dell’ortodossia»: si va dall’inquisitore domenicano Bernardo Gui, che appare come personaggio anche ne «Il nome della rosa» di Umberto Eco, a un dipinto quattrocentesco di Pedro Berruguete in cui si immagina che Domenico assista da una tribuna al rogo di alcuni eretici.
«Nessuno storico serio, oggigiorno, darebbe credito a questi stereotipi. L’inquisizione spagnola fu soprattutto uno strumento politico, finalizzato a reprimere il dissenso e a legittimare il potere dei sovrani di quel Paese: lo conferma anche il fatto che a nominare l’inquisitore generale – protagonista di un celebre brano de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij – era il re, non il Papa. Del resto, san Domenico morì nel 1221, mentre Papa Gregorio IX fondò il Tribunale dell’Inquisizione solo nel 1233, incaricando dell’ufficio i frati domenicani e minori. Lo stesso Bernardo Gui era un intellettuale, storico di formazione:scrisse un “Manuale dell’inquisitore”, in cui spiegava come identificare gli eretici, ma la sua figura è assai più complessa di quanto non appaia nel romanzo di Umberto Eco o nell’omonimo film di Jean-Jacques Annaud».
Vogliamo, dal passato, rivolgerci al futuro? Che cosa immagina o auspica lei, padre Festa, per l’avvenire del vostro ordine?
«Mi sembra che chi oggi decide di entrare nel nostro Ordine lo faccia perché in esso ha trovato una precisa identità, un modo ben definito di vivere la sequela di Cristo. Mi rendo conto che la parola “identità” è sospetta, perché si presta a fraintendimenti ideologici, nel senso di una chiusura su sé stessi in contrapposizione alla realtà circostante, ma non è certamente questo il senso in cui i figli di san Domenico intendono la loro missione. In otto secoli di storia, il nostro ordine ha sempre saputo raccogliere le sfide che venivano dai cambiamenti culturali: in America Latina, per esempio, già all’epoca di Colombo i domenicani avevano avvertito la necessità di un’“inculturazione” del Vangelo in un contesto evidentemente diverso da quello europeo. Penso che questa attenzione ai “segni dei tempi”, nella fedeltà all’insegnamento di Domenico, dovrà caratterizzare lo stile di noi Frati predicatori anche in futuro».
Giulio Brotti L’eco di Bergamo. Mercoledì 6 gennaio 2021
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