Testimonianza di Robert, fratello di Norfolk liberato il 13 agosto 2015
Versione ridotta da sr. Pia Elisabeth

E’ stato quasi per caso, accidentalmente, che sono diventato domenicano. Oggi sono membro dell’Ordine dei predicatori, sono un laico domenicano. L’Ordine è conosciuto anche con il nome di Ordine dei Domenicani, formato da uomini e donne. Le domenicane, sono delle suore che appartengono ad un ordine fondato da san Domenico stesso nel 1226, non sono quella piccola repubblica dei Caraibi che porta lo stesso nome.
Quando la priora generale della congregazione delle suore Domenicane di Betania, mi ha chiesto di scrivere la mia esperienza, confesso che questa richiesta mi ha innervosito un po’, anzi mi ha reso molto nervoso! Sr. Pia Elisabeth, è la priora generale delle Domenicane di Betania di Francia. L’ho incontrata in diverse occasioni, ogni volta che è venuta negli Stati Uniti, con lei ho intrattenuto uno scambio epistolare per quasi 10 anni circa. Come avrei potuto rifiutare? Impossibile!

La verità è che da diversi anni ero pronto per condividere la mia esperienza, ma non avevo mai trovato le parole giuste per farlo. Così ho atteso l’occasione giusta, penso che questo momento sia arrivato.
L’anno 2016 si prospetta come un anno ricco di significati importanti, di celebrazioni e di commemorazioni. Si celebrerà l’ottavo centenario della fondazione dell’Ordine dei Predicatori, ma anche i cento cinquant’anni della fondazione delle Domenicane di Betania. Questo anno 2016 sarà anche l’anno del Giubileo della misericordia, dell’anno santo straordinario, e, visto che parliamo di misericordia, per me sarà, il mio primo anno da uomo libero, dopo 32 anni di carcere. Questa scarcerazione in sé è già un fatto molto importante.
Tuttavia non è tanto la mia libertà fisica, quanto quella del mio spirito e della mia anima che celebro. Rimango molto umile, onoratissimo e pieno di gratitudine. Certo sono, nervoso e ansioso, come chiunque sia nella mia situazione. Ma sono pieno di gioia, di una gioia immensa, ed è questa immensa gioia che oggi voglio condividere con voi.
Sento una grande gioia nell’essere un domenicano, un figlio spirituale di san Domenico, un discepolo e un fervente sostenitore del beato Jean Joseph Lataste e dello spirito di Betania. Stranamente, devo confessarlo, devo la più grande parte di questa gioia, non a san Domenico, come si potrebbe credere, ma ad un prete domenicano francese, poco conosciuto, Jean Joseph Lataste. La maggioranza delle persone degli Stati Uniti, è la prima volta che sente il nome del beato Jean Joseph. Ma statene certi non sarà nemmeno l’ultima.
Vorrei condividere con voi il mio incontro con questo grande uomo e l’impatto che questo incontro ha avuto fin da subito sulla mia vita.
In una soleggiata domenica pomeriggio mentre andavo alla messa sono passato inavvertitamente sul palco di un auditorio centenario del penitenziario di Stato nel Massachusetts. Vi era un gruppo di una ventina di uomini e sei o sette donne volontarie, che cantavano la liturgia delle ore, l’avevo riconosciuta avvicinandomi.
Ops! Ho fatto immediatamente ciò che qualsiasi persona che si sente fuori luogo avrebbe fatto, anche se, la grande maggioranza di quelle persone non mi erano estranee. Mi sono reso conto che non ero al posto giusto. Ho sorriso in modo imbarazzato, sono partito rapidamente. Poi sono andato in cappella. Alla messa ho chiesto al mio vicino di banco chi era il gruppo sul palco dell’auditorium.
«Oh, sono dei Domenicani» mi ha risposto
Essendo Portoricano, conosco personalmente, quasi tutti, se non tutti gli ispanici del carcere. Sapevo che non vi era un solo dominicano, visto che conoscevo, alcuni di quegli uomini sul palco. Pensavo scherzasse. Non ho fatto altre domande. Stava per iniziare la messa, ero curioso e perplesso.
Alcuni giorni dopo, mentre correvo sulla pista di atletica, ho incontrato uno che conoscevo e che era sul palco quella famosa domenica. Gli ho chiesto che cosa fosse quel gruppo, era molto contento e desideroso di condividere con me la sua esperienza di laico domenicano. Per quasi un’ora, abbiamo corso, camminato e discusso. Mi ha invitato alla loro riunione, la domenica successiva, così da poter farmi un’idea. Mi disse che sarei sempre stato il benvenuto e considerato come “un amico dei Domenicani.”
D’accordo, perché no? Sono cresciuto nella religione, conoscevo i miei santi; San Domenico, Santa Caterina da Siena, San Martino de’ Porres, Santa Rosa da Lima, e Dio sa quanti altri ancora. Avevo però un’attrazione per San Francesco. E’ sempre stato per me qualcuno d’importante dopo Dio, Gesù e Maria.
La domenica successiva sono andato alla loro riunione. Conoscevo la maggior parte di loro, anche se con molti di loro le mie relazioni si limitavano a un “come va?”. Erano tutti seduti con un libro sulle ginocchia. Ciascuno verificava il numero delle pagine con chi gli stava seduto accanto. Hanno cantato la salmodia del giorno, poi hanno raccolto i libri. Hanno servito del caffè, e allo stesso tempo dato qualche avviso. Dopo ciò, il predicatore è salito sul pulpito per tenere la sua relazione. Il tema del giorno: padre Lataste. Mi sono detto che sarebbe stato sicuramente molto interessante. Ho iniziato a controllare il tempo. Nato il 5 settembre 1832…; entrato al noviziato, … professione solenne, … e il tempo che non passava! Immaginate la scena? Niente di appassionante vero? Poi hanno iniziato a parlare di “esercizi spirituali” e di “Betania” e di quanto questo padre Lataste fosse reticente, esitasse prima di predicare un ritiro in carcere, ma ad ogni modo… è andato… allora. Quel pomeriggio che passava LENTAMENTE. Ho avuto voglia di andarmene più di una volta. Mi annoiavo, sì, e avevo veramente voglia di andarmene, ma alla fine sono rimasto. Stavano parlando di una serie di sermoni che sarebbero stati letti la volta successiva, per poi studiarli, quando di colpo ho sentito una voce che da lontano gridava: “VOLONTARI!”, ho esclamato: “Grazie Signore!”, in carcere questa è la parola che le guardie gridano per dire che i volontari e i visitatori devono lasciare il carcere. Bene! Finalmente la riunione è terminata, un’ultima preghiera, forse la Salve Regina e hasta la vista!
Anche se non facevo parte del gruppo mi hanno dato una copia dei sermoni.
Rientrando in cella li ho messi sul mio tavolo e li ho lasciati lì tutta la sera. Ho iniziato a leggerli molte volte, ma ogni volta sono stato interrotto da qualcuno, li ho dunque rimessi al loro posto.
Finalmente nella calma della notte, senza essere disturbato da nessuno, iniziai a leggere il primo sermone, poi il secondo, poi il terzo. Prima di continuare a leggere, ho riletto il primo, poi ho riletto il secondo, e poi il terzo. Non so perché ho fatto così, ma so che sono stato immediatamente colpito dal modo con cui questo personaggio, si è rivolto alle donne. Delle donne carcerate che lui stesso aveva giudicato dicendo che: “niente di buono potrà nascere da questo genere di pubblico”. Ho continuato a leggere, e ho iniziato a percepire l’amore che padre Lataste aveva per queste donne, sono stato fortemente impressionato, perché erano delle donne che lui non conosceva. Diceva loro: “Vi amo nonostante i vostri errori e mi piacerebbe essere la mano di Dio che vi aiuta a rialzarvi”. Queste parole erano molto forti e risuonavano in me……avevo l’impressione che parlasse a me. Più leggevo, più avevo sete di leggere, e più il mio cuore iniziava ad aprirsi.
Solo in cella, erano circa le due del mattino, in questo luogo, calmo, freddo e senza senso, ho iniziato a sentire un onda di calore salire dentro di me, …o perlomeno ho iniziato a prendere coscienza di questo movimento. Mentre continuavo a leggere, questo calore cresceva e si faceva più intenso, di una intensità che non avevo mai provato prima, sentivo che questo calore non si sarebbe fermato. Ho pensato che avrei avuto una crisi cardiaca.
Anziché sparire, la paura aumentava a dismisura, era come se ci fosse nella cella una presenza impossibile da ignorare. Curiosamente il calore sentito nel mio corpo, si stabiliva soprattutto nel mio cuore e nei suoi dintorni… ero assediato. Mi sono arreso, ho cercato di fare la pace con Dio, nel caso fosse lui che era venuto a prendermi. Volevo prepararmi a morire bene. In quel preciso istante, mentre mi sentivo assediato, tutta la stanza, dal pavimento al soffitto, da un muro all’altro si è riempita di ciò che chiamerei, una nebbia dorata, e luminosa e anche se eravamo in piena notte, questa nebbia mi avvolgeva, ma allo stesso tempo mi impregnava dentro, era come una luce che mi attraversava. La cosa più strana, è che tutto questo va al di là di ogni razionalità e ragione.
Ho avuto l’impressione che quella fosse la sensazione dell’AMORE. La mia tristezza e la mia paura sono sparite immediatamente, ho iniziato a piangere senza sosta e per molto tempo. Ho pianto e piangendo, ho scoperto che la mia fragilità era anche la mia più grande forza. L’accettare TUTTO ciò che ero. Questo tutto, che mi permetteva di ricondurre la mia forza nella sua massima espressione… accettare tutto me stesso… cosi come SONO.
Quando mi sono arreso alla verità di ciò che ero, la mia vita ha iniziato a cambiare, in un modo che non avrei mai potuto immaginare.
Questo, carissimi fratelli e sorelle è ciò che è capitato nella mia vita. Non l’ho mai raccontato a nessuno. Non è qualcosa che si possa condividere facilmente e con qualsiasi persona. Me lo sono tenuto per me (immaginate un po’, se il servizio psichiatrico del carcere conoscesse tutto questo!).
Ritorno a quella notte misteriosa: erano oltre le due del mattino e sentivo un peso su di me come se fosse un chilo di mattoni. Leggevo ciò che p. Lataste aveva detto: “DIO NON GUARDA A CIO’ CHE SIAMO STATI, GUARDA A CIO’ CHE SIAMO”. I miei occhi si aprirono e subito tutto mi fu chiaro. Sono stato cieco per 22 anni cercando di fuggire da me stesso, dalla mia responsabilità, dalla vergogna, dal disagio e dalla tristezza. Ho portato da solo e per 22 anni la mia colpa perché pensavo solo al dolore e alla sofferenza che avevo causato ai miei affetti, l’immensa vergogna, il disagio e la sofferenza della mia famiglia e degli amici. Questo mi ha sempre ossessionato. Non potevo immaginare lo sguardo insistente della gente sulla mia famiglia che ha subito questa prova per 32 anni. Sono io il responsabile di questo. E non loro. Nessun’altro all’infuori di me.
Nella mia vita ci sono stati momenti dove le cose andavano malissimo… alcune depressioni che non guarivano… non vedevo più alcun senso alla mia vita. Ho vissuto tutte queste situazioni in solitudine e sfortunatamente per me, senza parlarne con nessuno. Dovevo essere io a trovare un modo per neutralizzare il mio dolore, ma non ci riuscivo. Pensavo che avrei trovato una tregua voltando le spalle alle sole espressioni d’amore e di forza che conoscevo: la mia Chiesa, la mia fede, la mia comunità, la mia famiglia. Ho trovato un compromesso con il mio dolore, rifiutando me stesso e trascurando la mia anima. Ho continuato ad annegare in un oceano di depressione, di dolore e di angosce, e la realtà in cui ero immerso mi rendeva sempre più violento e più instabile… Non riuscivo più a gestire me stesso, arrivò il giorno in cui il mio spirito si spense… e poi il reato. Mi sono auto convinto di non meritare alcun perdono, di essere perduto. Come potevo essere perdonato per un tale reato?
Dopo numerosi anni, vedi decenni passati nel tentativo di espiare le mie trasgressioni, sentivo che questo aveva oltrepassato il limite dell’accettabile. Il mio cuore e la mia testa mi dicevano che la mia situazione era irreparabile. Non importava l’energia che avevo messo nel cercare di aiutare gli altri o quante anime ho cercato di salvare per Gesù. Sapevo solo che la mia anima era completamente persa, in uno stato di totale putrefazione. Ero certo di essere imperdonabile, di essere escluso da ogni redenzione.
Questi pensieri occupavano in modo incessante il mio spirito. Più resistevo alla grazia di Dio, più padre Lataste insisteva con il suo messaggio: “la nostra chiesa è una chiesa di peccatori perdonati”. “Cristo ha posto la sua fiducia nel peccatore che si pente ed esorta noi cristiani ad offrire la fiducia a quelli che sbagliano e ‘a perdonare settanta volte sette’ (Matteo 18,21)”. Wow… geniale, chi era questo tipo? Questo Padre Lataste? Avevo veramente bisogno di saperlo, dovevo saperlo.
Non avevo mai sentito prima il suo nome… E’ solo recentemente che ho letto quello che lui scrisse circa cento cinquant’anni fa. Leggendo avevo l’impressione che era a me che parlava. Ho cercato tutto quello potevo e che riguardava questo giovane prete.
Ho passato il resto della settimana a cercare la mia anima. Ho cercato nell’ufficio del cappellano maggiori informazioni su p. Lataste. Ho preso in prestito tutto quello che era disponibile… fu come vincere alla lotteria. Più leggevo sulla sua vita e sul suo agire, più la sua storia risuonava in me e avevo voglia di approfondire la sua conoscenza.
La domenica successiva sono tornato alla riunione dei laici domenicani. Presentavano l’ultima parte della biografia di p. Lataste. Ero stupefatto, ma anche ben disposto, ero profondamente, ma profondamente colpito sentivo che nel mio cuore era in atto una trasformazione. Una voce dolce, una voce tenera, mi sussurrava che vi era una speranza anche per me. ANCHE PER ME. Potete immaginare! Questo mia colpiva, ma allo stesso tempo ero impressionato nel vedere cosa era stato capace di fare questo giovane prete in soli quattro anni. E’ stato per me notevole conoscere la sua straordinaria perseveranza, il suo ottimismo e il suo spirito di persuasione di fronte a tutte le sfide che ha dovuto affrontare avendo anche delle preoccupazioni per la sua salute e la sua vita. Ancor più, vedere come ha cambiato il suo modo di vedere, di amare e di rivolgersi a un uditorio di cui lui stesso scriveva: “subivo mio malgrado i condizionamenti popolari di fronte a queste detenute”. Padre Lataste sapeva bene che Cristo ha detto: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma I peccatori” (Mt 9,13). In soli quattro anni p. Lataste ha lavorato vigorosamente fino alla sua morte prematura, aveva 37 anni. Ha testimoniato una fede così forte nel 1864, che resta forte anche ora che siamo nel 2016, ma che lo sarà ancora tra cento o duecento anni. Nella sua vita e nei suoi scritti, padre Lataste ha testimoniato la sua fede, la mia fede, che amo tanto… è stato capace di liberarmi dal carcere, dall’isolamento, dalla censura, dall’isolamento che io stesso mi ero imposto.
Carissimi fratelli e carissime sorelle, molti fra voi hanno sopportato già molto, forse alcuni per la concezione che hanno delle cose. Per quel che mi riguarda, ho passato 32 anni della mia vita isolato fisicamente dal mondo. Oggi però non sono un uomo inacidito… sono un uomo migliore, e sono un uomo libero. Molti uomini e donne continueranno a vivere in carcere, alcuni di loro fino alla morte. Altri saranno liberi fisicamente, ma prigionieri della sconfitta, della precarietà, del girovagare senza tetto né lavoro, della fame, dell’abuso di sostanze o dell’abuso domestico, dell’odio e della disuguaglianza e di altro ancora. Le cose non dovrebbero andare così se fossero la Misericordia e la speranza a prevalere in ogni situazione. La società continuerà a vederci come io vedevo me stesso: qualcuno di imperdonabile, uno spirito malefico e corrotto incapace di meritare la salvezza. Non ci è data la possibilità di dimostrare che meritiamo la fiducia.
Quando padre Lataste si è rivolto alle detenute di Cadillac dicendo che: “Per darsi a noi Dio, non guarda a ciò che siamo stati, ma a ciò che siamo” pensava anche a me, parlava a me e a tutti coloro che hanno sete (come io ne ho avuta) di ascoltare il suo messaggio. Con le parole che p. Lataste pronunciò 150 anni fa si rivolgeva anche a me, a tantissimi altri che ascoltano oggi il suo messaggio di speranza, di misericordia e ad altri che ancora aspettano di ascoltare queste parole. Quanto tempo dovranno ancora aspettare? 31, 33 anni? Non abbiamo così tanto tempo! Abbiamo solo dei brevi istanti di questa vita di lavoro per la gloria di Dio. Il divisore conosce ed è per questo che cerca di farci perdere del tempo in cose inutili. “Siamo in tanti a cadere nell’inferno come dei fiocchi di neve in una giornata d’inverno e Gesù piange” (Santa Teresa di Lisieux). Dio solo sa quante anime sbandate all’interno di questo carcere stanno perdendo il loro tempo. Corrono nel tentativo di sfuggire al loro sentimento di vergogna, al loro senso di colpa di disagio. Aspettando solo di sentire rivolte anche a loro le parole che padre Lataste disse allora: “Dio non guarda a ciò che siamo stati, ma a ciò che siamo.” Che meraviglioso messaggio di speranza!
Quando penso al dolore e alla disperazione che in tutti questi anni ho vissuto nella solitudine, non posso non pensare a quanti uomini e donne possiamo aiutare a portare il loro peso. Non siamo più prigionieri del peccato, abbiamo ricevuto il dono della riconciliazione e della grazia santificante il perdono e la Misericordia del nostro Dio. Il messaggio di padre Lataste è entrato nei cuori di ciascuno di noi, (persone detenute N.d.T.) in Francia ma anche qui a Norfolk in tal modo che possiamo tutti farne l’esperienza. Come disse p. Lataste: “L’anima di Betania è questa fraternità della Grazia di Cristo che cancella tutte le distanze e tutte le distinzioni”. Continuo a chiedermi quante sono le persone che come me soffrono l’isolamento, che portano un fardello pesante ma non riescono ad accogliere la grazia e la Misericordia di Dio.
Il messaggio del Beato Lataste ha risanato i miei sensi facendo di me una persona nuova. Uno più attento, più compassionevole, più vicino a Cristo. Ha risanato i miei sensi perché io possa essere una persona più attenta e forse per altri obbiettivi che ancora non conosco.
Risanando i miei sensi, padre Lataste, mi ha mostrato che il mio peggior nemico ero io stesso. Io che tentavo di fuggire a me stesso per evitare la vergogna, il senso di colpa e il sentimento di non valere nulla. Più cercavo di fuggire a me stesso meno ci riuscivo.
Risanando il mio udito, padre Lataste mi ha permesso di sentire questa voce del Cristo che mi chiamava giorno dopo giorno, offrendomi il perdono, la Misericordia e l’amore. Il giorno in cui ho prestato l’orecchio ho sentito forte e chiaro il suo messaggio “Non è venuto per i giusti, ma per i peccatori”, ho smesso di essere sordo. E’ venuto a chiamare me. L’ho sentito e sono qui. Ho resistito, ha insistito e ha vinto!
Risanando il mio tatto padre Lataste mi ha dato la possibilità di risentire il calore umano e le braccia accoglienti, non solo dei miei amici che porto sempre dentro di me, ma anche quelli di una grande e accogliente famiglia di fratelli e sorelle sparsi nel mondo. E’ stato per me un onore ricevere la loro amicizia, la condivisione della loro ricchezza spirituale, delle loro virtù, dei loro talenti, e in particolare, quelle dell’Ordine dei predicatori e quelle dei laici domenicani che si sono messi al servizio della nostra fraternita (vengono così chiamati I gruppi di laici che vivono la spiritualità domenicana) è stato così con le Domenicane di Betania fini dagli inizi. Padre Lataste ha reso possibile, che io mi sentissi nuovamente invitato alla tavola del Signore, chiamandomi a condividere la cena pasquale, ricostruendo il gusto per il pane e il vino dell’eucaristia; corpo e sangue di Cristo.
Padre Lataste ha guarito il mio odorato e ha reso possibile che io ora senta lo stato di putrefazione nel quale era la mia anima; come il miracolo di Betania, alla morte di Lazzaro, quando Gesù è arrivato quattro giorni dopo la sua morte, lo ha risorto e liberato donandogli una nuova vita. Esattamente quello che Cristo ha fatto con me. Mi ha risvegliato dal mio sonno, mi ha rialzato, mi ha scosso e mi ha liberato. Cristo mi ha dato una vita nuova. Il vero è che Dio non mi ha mai abbandonato, sono io che mi sono allontanato.
Il beato Jean Joseph Lataste ha cambiato la mia vita in un modo tale che nessuno potrà mai capire. Mi ha ridato la dignità che avevo perduta. Mi ha ridonato speranza, mentre sto costruendo una nuova vita. So che la strada non sarà facile, ma il fine e il senso profondo di Betania è quello di ricostruire, di ricreare qualcosa di nuovo, di magnifico, di puro a partire dalle rovine, dalle cose inutili, da chi è rifiutato ed escluso. Ho voglia di vivere la follia dell’amore infinito nel processo di ricostruzione di tutto il mio caotico passato. Grazie a Betania, il passato non esiste più, esiste solo la speranza di un domani migliore pieno di luce.
Pace e che Dio vi benedica.
Robert, laico domenicano, Norfolk