Qualche anno fa il noto biblista fra Mauro Làconi (1922-2009) presentava questa utile riflessione sulla eucaristia nei racconti evangelici della risurrezione.
Una lunga consuetudine di fede e di pratica religiosa, ben basata sui testi ispirati, ci conduce a collegare il sacramento dell’eucaristia col ricordo della morte di Gesù. Come dimenticare che i tre primi evangelisti, i sinottici, ai quali si affianca la testimonianza di san Paolo, trasmettono il fatto divino dell’istituzione di questo sacramento entro il racconto dell’ultima cena, nell’imminenza della passione (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-26)? Non ci si può avvicinare al rito sacro che lo perpetua senza sentire vivo il messaggio amoroso e drammatico del suo santo sacrificio, e senza percepire almeno una eco lontana, più o meno viva in proporzione alla fede, di quella accorata e serena tristezza del grande martire che, accingendosi all’immolazione, lasciava un vivo – veramente vivo – ricordo di sé. Gesù nell’eucaristia è presente in verità proprio nel gesto dell’immolazione, come vittima sacrificata e l’eucaristia ci riporta prepotentemente, con forza d’amore e di fede, ai piedi della croce. Ma l’eucaristia non ci porta meno vivamente incontro al Cristo risorto. Il Gesù vittima è lo stesso Gesù celeste, vivente e glorificato nel cielo, che ci scende incontro.
E non è soltanto la nostra devota riflessione a capirlo, sostenuta da tutta la tradizione teologica, ma è il testo dei vangeli a suggerircelo.
La testimonianza di Giovanni
È doveroso riconoscere che l’insistenza dei testi evangelici porta prima di tutto e con maggior insistenza sulla relazione eucaristia/passione.
Non però in maniera esclusiva.
Già dovrebbe dar da pensare quella che viene talvolta indicata come la grande lacuna del quarto evangelista: san Giovanni, nel suo ampio resoconto sull’ultima cena, non parla dell’eucaristia! E vero che, scrivendo assai tardi il suo vangelo, spesso si sente autorizzato a non insistere su particolari sufficientemente noti ai cristiani del primo secolo. Però l’istituzione di questo sacramento non è uno dei fatti, sia pure importanti, della vita di Gesù, ma un momento basilare, di cui la chiesa vive da secoli.
E allora vien da pensare che, sganciandola dal racconto della passione, l’evangelista desideri suggerire un mutamento d’accento. Infatti Giovanni parla a lungo dell’eucaristia – e con quale ricchezza di concetti – nel suo capitolo sesto a proposito della moltiplicazione dei pani nel deserto. Il tema che domina in quell’indimenticabile discorso sul pane di vita è appunto la vita, mentre nessun esplicito accenno appare alla morte. Il tema della vita così fortemente sottolineato, non invita forse al pensiero della risurrezione preparandolo da lontano?
Potrebbe sembrare una semplice ipotesi, forse anche suggestiva. E invece è una realtà, alla quale apertamente Giovanni stesso ci riporta, proprio alla fine del vangelo, descrivendo l’apparizione di Gesù risorto ai discepoli presso il lago di Tiberiade (Gv 21,1 ss.). Scendendo dalla barca dopo la pesca miracolosa, i discepoli trovarono Gesù sulla riva che aveva preparato del pesce arrostito sulla brace e del pane (Gv 21,9). Appena gli furono vicini, egli «prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce» (Gv 21,13), dopo aver loro rivolto l’invito: «Venite a mangiare» (Gv 21,12).
Questo misterioso pane e pesce del Cristo risorto, dopo la pesca miracolosa, in una scena quasi di magica solennità, è qualcosa di più che un episodio gentile: richiama il capitolo sesto, quello dell’eucaristia, in cui Gesù aveva offerto pane e pesce dopo la miracolosa moltiplicazione. Il simbolo è sufficiente a Giovanni per richiamare la sostanza delle cose: Gesù risorto ci sfama col pane prodigioso della sua carne glorificata.
La testimonianza di Luca
Al quarto evangelista si avvicina san Luca con una sua testimonianza, essa pure misteriosamente simbolica eppure chiara allo stesso tempo.
Si tratta del mistero, che solo il terzo evangelista ricorda, dei due discepoli di Emmaus che incontrarono per via Gesù risorto, lo accompagnarono in un’indimenticabile camminata e lo riconobbero in circostanze strane (Lc 24,13-35).
A prima vista potrà sconcertare l’incapacità dei due discepoli di riconoscere il maestro, col quale pure parlavano animatamente nel lungo tratto di strada. Eppure la forza dell’incontro è tutta lì: Luca vuol preparare il momento arcano in cui, irrobustiti e illuminati da qualcosa di nuovo, riusciranno finalmente a riconoscerlo e sarà il momento dell’eucaristia.
Non è rilevante ai fini perseguiti dall’evangelista chiedersi se in quell’occasione Gesù abbia veramente celebrato il rito eucaristico. Quello che conta è la scena e la terminologia usata, che lo richiamano in modo assai chiaro: «Quando fu a tavola con loro, Gesù prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30). Esattamente le stesse espressioni impiegate all’ultima cena nel racconto della consegna dello stesso mistero eucaristico (Lc 22,19).
E che sia questo il punto essenziale dell’incontro lo confermano gli stessi due discepoli, i quali, tornati a Gerusalemme, lo racconteranno agli altri discepoli concludendolo proprio con le parole indicatrici: «Essi poi riferirono… come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,35). Questa espressione per noi potrebbe anche sembrare indifferente, ma per san Luca (basta rileggere il suo libro sugli Atti degli Apostoli per convincersene) rappresenta invece un’espressione tecnica per indicare il rito eucaristico, il quale, nella primitiva comunità di Gerusalemme, veniva celebrato ripetendo proprio i gesti di Gesù che aveva spezzato il pane consegnandolo ai discepoli. Dunque i due discepoli hanno riconosciuto Gesù nel momento in cui egli ha ricreato il clima eucaristico.
Il significato della testimonianza
Inquadrando eucaristicamente i racconti delle apparizioni di Gesù risorto, i due evangelisti Luca e Giovanni non solo compiono opera di testimoni, ma si preoccupano anche della vita della chiesa, per la quale la risurrezione di Gesù rappresenta il momento stabile e dura turo della sua stessa vitalità.
Bisogna insomma – essi pensano – che la chiesa di tutti i tempi, e in essa ogni credente, continui a incontrare in modo reale anche se misterioso il Cristo risorto, a vivere della sua vita pasquale, a nutrirsene: ecco l’eucaristia!
Ogni volta che l’assemblea dei fedeli si raduna a celebrarla e la grande preghiera di rendimento di grazie trasforma divinamente il pane e il vino, è Cristo risorto che ritorna vivo e vero in mezzo alla sua chiesa, viene incontro ai suoi fedeli, offre loro in nutrimento se stesso immolato e glorificato affinché ogni credente in lui viva della sua stessa celeste vitalità.
fra Mauro Làconi