I Domenicani sono monaci o canonici? Dilemma vero e antico, non diatriba accademica. Uno sguardo d’insieme sulla storia della Chiesa consente di cogliere distintamente due grandi filoni nell’ambito religioso: uno monastico, l’altro canonicale.
Il primo è rappresentato dall’immensa famiglia benedettina, raccolta in grandiosi monasteri retti dall’abate.
Il secondo, di ispirazione agostiniana, è composto da sacerdoti che, facendo capo al vescovo, vivono o in episcopio o in canoniche ed attendono al ministero pastorale (evangelizzazione e sacramenti).
Durante il Medioevo l’espressione più tipica di questo filone può individuarsi nei Premonstratensi (fondati da san Norberto che muore nel 1134); ma la grandiosa riforma promossa da papa Gregorio VII e da san Pier Damiani aveva riattivato fiorenti movimenti canonicali: San Rufo, San Vittore, Springiersbach, etc.
Domenico, terminati gli studi a Palencia. verso il 1197, scarta la vita monastica e sceglie quella canonicale. Né il fascino e la rinomanza dell’abbazia di Silos, fondata un secolo prima, né la recentissima (nel 1194: Domenico aveva una ventina danni) San Pedro de Gumiel -entrambe a pochi chilometri da Caleruega, suo paese natale- lo convincono. Osma -il suo vescovo e i suoi canonici- e basta. Non fu certo una scelta casuale. Giordano di Sassonia affermerà senza esitazione che Domenico mai recedeva da ciò che avesse “secundum Deum et rationabiliter” divisato. Ed anche quando, nel 1205, a Citeaux, il suo vescovo ed ispiratore Diego d’Acebes di ritorno da Roma indosserà simbolicamente l‘abito monastico, egli non ne seguirà l’esempio. A Domenico si addicevano gli squallidi panni (habitum vilissimum) dei mendicanti più che l’ampollosa cocolla degli abati!
Del resto tutta la corrispondenza a noi pervenuta non lascia adito ad incertezze: a cominciare dalla lettera di Innocenzo III che approva l’insediamento dei ‘canonici regolari‘ ad Osma, fino all ultima del 1221, si riscontra assoluta uniformità nell’indirizzo canonicale: 24 volte oxomensis canonicus, 9 volte prior.
Vita canonicale, dunque, perché nella plurisecolare storia della Chiesa, questa soltanto poteva rivendicare a pieno titolo l’ideale apostolico: “ad instar, exemplo primitivæ Ecclesiæ“, ‘ad apostolicam, secundum communionern vitam” ribadiranno, ad ogni piè sospinto gli statuti canonicali.
Andare e/a predicare. Subito Domenico smantella due caposaldi della vita monastica: il voto di stabilità e il lavoro manuale. L’itineranza all’insegna della povertà caratterizza il nuovo stile dei Predicatori, senza remore né compromessi. L‘attività manuale verrà rimpiazzata dallo studio per consentire ai frati una severa preparazione culturale che li renda idonei ad annunciare il vangelo ed a confutare gli errori. Non più opulente e paciose abbazie, sperdute tra le foreste, ma abitazioni funzionali e disadorne, incastonate nel cuore pulsante delle città universitarie; non più terre da bonificare e stalle da accudire, ma biblioteche aggiornate e austere sale di consultazione. La stessa preghiera comune, nerbo della vita conventuale, sarà contrassegnata dalla dimensione apostolica: lasciata la prolissità del cursus monastico, si opta per quello cattedrale (canonicale, appunto), agile ed incisivo. E sarà Domenico in persona a definirne con audacia l’andatura: breviter et succinte, in forma breve e densa. Nulla di più antimonastico!
Nemmeno la vita comune si sottrae alle picconate: alla concezione patriarcale dell‘abate a vita (una volta abate, sempre abate), sottentra l’elezione triennale dei superiori, che assicura il ricambio e scongiura, con l’avvicendamento democratico, accentrazioni egemoniche e nefaste oligarchie. Conventus significa convergenza operativa, armonia di tutte le forze in ordine al bene comune: la salvezza delle anime mediante la predicazione. Come illudersi che una simile rivoluzione non avrebbe provocato la reazione dei benpensanti? E nel giro di pochi anni si scatenerà una lotta senza quartiere contro i Mendicanti; fautori Guglielmo di Saint-Amour, Gerardo d’Abbeville, Nicola di Lisieux.
Il valore supremo che Domenico colloca al cuore della sua fondazione è il sacerdozio ministeriale (come appunto recitavano le Costituzioni: religio clericalis). Nella scia degli Apostoli i Predicatori sarannno dei ‘mandati‘ e per assolvere a questa missione dovranno anzitutto consacrare l’eucaristia e perdonare i peccati: agli antipodi con la vocazione monastica.
Senza dubbio le due grandi strutture, monastica e canonicale, avevano in comune degli elementi (detti precisamente “osservanze monastiche”) volte a promuovere la perfezione dei consigli evangelici: clausura, vita comune, abito, silenzio, etc. Ma anche queste somiglianze verranno ad assumere un’altra fisionomia se inserite nel contesto apostolico. Sarà l’elaborazione lenta ma irreversibile che Domenico portò a compimento, a partire dalla quiete di Osma fino al durissimo impatto con l’eresia. Un vaglio non facile, ma ogni scelta era compiuta in ordine a un fine preciso: rinnovare la apostolicam vivendi formam. Fu una vera ossessione che lo spinse a superare addirittura la “canonicalità”, come ricorda un’antifona del suo ufficio: “virum canonicum auget in apostolicum” e cioè: Dio (soggetto sottinteso) portò Domenico a radicalizzare ed enucleare ogni virtualità latente per farla fiorire nel turgore della vita apostolica.
L’ideale domenicano venne così assumendo contorni sempre più nitidi e nei primi Capitoli generali (1220.1221) la sintesi si profilerà ormai definitiva. Credo che mille volte, accingendosi a fondare qualche comunità o trovandosi a visitare i piccoli nuclei già esistenti, Domenico si ripetesse quanto san Pier Damiani, promotore della grande riforma canonicale, aveva scritto cento e più anni prima: ”È quanto mai chiaro ed evidente che la regola dei canonici uscii dalle norme di vita degli Apostoli e che ogni comunità canonicale che ne osservi con esattezza la disciplina, imita la tenera infanzia della Chiesa”.
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