Intervista a suor Silvia, domenicana irachena, che ritornerà nel suo paese.
Suor Silvia è una delle sedici suore domenicane fuggite dalla città che fu cristiana di Qaraqosh. Un tempo, la città contava cinquantamila abitanti; ora, la pagina Wikipedia ne segna zero. Zero. Sta in questa cifra la tragedia dei Cristiani che si sono lasciati tutto alle spalle pur di continuare a vivere la propria fede. Chi è rimasto, ha dovuto scegliere tra la conversione all’islam e la morte.
E’ una figura minuta, grandi occhi neri e un bel sorriso, è venuta da Carpi, dove ha vissuto e studiato per qualche tempo, solo per poter raccontare ai giornalisti la triste situazione della sua terra natale, l’Iraq, da troppi anni ormai al centro di una spirale di morte e distruzione. Si chiama suor Silvia ed è fuggita assieme alle 30 mila famiglie cristiane della Piana di Ninive (Mosul, nord dell’Iraq) il 6 agosto del 2014, fuggendo verso il Curdistan e dovendo lasciare la propria casa, il Convento delle Domenicane di Santa Caterina da Siena a Mosul.
“Il 1 agosto 2014 ci siamo spostate in un altro paese, il nostro sacerdote ed alcuni giovani hanno invece voluto rimanere. Il 3, la Madre generale ha chiamato dicendo che dovevamo andarcene perché la situazione era precipitata.” dice “il 5 è stato ucciso il giovane diacono, raggiunto dalle pallottole in realtà destinate al nostro prete. Il 6, alle 11 di notte, si è cominciato a sparare e hanno detto che tutti i cristiani dovevano scappare perché l’Isis era entrato a Qaraqosh e a Tilkef e in altre zone. E’ stata una fuga in massa, in mezzo agli spari, terrorizzati, tutto così rapido che tanti sono fuggiti senza prendere nulla”. Suor Silvia spiega che pochi giorni prima l’Isis si era accanito contro la minoranza yazida e la comunità cristiana ha avuto paura che succedesse lo stesso: 400 giovani uccisi e 5000 ragazze vendute come schiave.
A Erbil hanno fondato una prima clinica per curare tutti i profughi: cristiani, musulmani, yazidi. Suor Silvia racconta tutto con pazienza e con le mani che a volte tremano impercettibilmente. Ricorda, ricorda tutto. Lo strazio di lasciare le case, la paura di un futuro incerto, il dolore per le consorelle morte di crepacuore. Delle 73 suore presenti nella regione negli ultimi tre anni ne sono morte 24, 19 solo tra il 2014 e il 2015. Morte di paura, di dolore nel vedere la culla del cristianesimo (i Cristiani sono lì praticamente dal II-III secolo) distrutta e depredata, la propria chiesa profanata e bombardata, non hanno resistito.
Ma la vita continua e l’impegno delle suore, anche grazie alla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha potuto riaprire anche due scuole: una a Erbil con 600 ragazzini dai 6 ai 13 anni tutti cristiani e un’altra a Duhok dove accanto ai cristiani ci sono anche musulmani e yazidi.
Ora la speranza, le forze governative hanno liberato quasi interamente la regione “L’esercito iracheno è stato bravo, sono morti molti sciiti per aiutarci, per rimettere le croci sulle chiese”. Suor Silvia, perché vi aiutano così tanto?, chiediamo: “Perché i Cristiani fanno parte del paese” risponde. E aggiunge che quando ci sono i posti di blocco le suore – i soldati musulmani – le fanno sempre passare “perché dicono che siamo pure come la Madonna” ride, poi aggiunge seria “tutti i Musulmani vogliono bene alla Madonna”. Come a dire che questi dell’Isis, con l’Islam forse c’azzeccano poco.
C’è speranza dicevamo, negli occhi di suor Silvia sicuramente sì. Lei si affida al Signore, lo ripete di continuo “Suor Silvia chi vi difende?” “Solo il Signore, Lui non ci abbandona mai”. Ma ora anche al comunità internazionale deve fare qualcosa. ACS ha organizzato una Conferenza per la ricostruzione il prossimo giovedì 28 settembre a Roma. Presenti i patriarchi, il Segretario di Stato, il cardinal Parolin, gli ambasciatori presso la Santa Sede di molti paesi Europei ed extra-UE. Dai politici italiani e dell’Unione Europea ancora pochi riscontri. Cambierà qualcosa?