Gesù Cristo la Via la Verità e la Vita

10 maggio 2020

LETTURE: At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12

La prima lettura relativizza un poco la comunità ideale della II domenica di Pasqua: iniziano le difficoltà da parte di «quelli di lingua greca» che «mormorarono contro quelli di lingua ebraica» (v. 1) perché si sentivano trascurati.

Ciò che conta è la segnalazione di un disagio nella “convivenza” che rischia di rompere la “comunione”. La soluzione fu che «scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo», tutti però con nomi greci… Ma in fondo è la soluzione giusta e non è un messaggio “meno pasquale” dei discorsi delle domeniche precedenti. Cristo glorioso attraverso lo Spirito conserva la vera comunione grazie al discernimento degli apostoli sulla loro missione – «ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della parola» (v. 4) – e a una sorta di “sinfonia di intenti” tra gli apostoli e gli ellenisti: «scelsero… li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (vv. 5-6).

La seconda lettura ricorda ai fedeli: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale», un edificio spirituale di «pietre vive» (v. 5) edificato sulla pietra che è Gesù Cristo. È il testo del «sacerdozio santo (ieráteuma ághion)… sacerdozio regale (basíleion ieráteuma)» (vv. 5.9) dei fedeli. Nel 1521 Lutero scrisse un opuscolo Sulla necessità di abolire la messa privata, dove citava il nostro testo, ma «contro le meretrci di questi bordelli» (più o meno la curia romana!) e, dopo aver spiegato che essendo di tutti la preghiera, l’accesso a Dio e la conoscenza, non c’è più bisogno «di un mediatore o di un dottore», in seguito sfidava i sacerdoti a mostrare se nel Nuovo Testamento c’è un solo iota o un solo apice «in base ai quali voi siate o dobbiate essere considerati sacerdoti diversamente dagli altri». Per reazione, in casa cattolica si fu molto guardinghi a citare la 1Pt 2,5.9…

L’omelia ogni tanto può rievocare questi dati perché aiutano a comprendere in profondità certe riforme del Vaticano II. Si preciserà la differenza non solo di grado ma di essenza dei due sacerdozi (LG 10), ma insieme si favorirà la presa di coscienza che la maturità cristiana consiste nell’offrire questi «sacrifici spirituali» (v. 5), cioè la vita secondo il vangelo, ma anche il sacrificio di Cristo nella preghiera eucaristica «non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui» (SC 48).

Il titolo del vangelo non può che essere: «Io sono la via, la verità e la vita». Il contesto originario nell’ultima cena è di Gesù che si congeda dai discepoli, ma in realtà è venuta l’ora di «passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1), per cui è naturale che si proponga come “via al Padre”. Il contesto odierno è invece di itinerario verso l’Ascensione, ma le due prospettive non si escludono.

La rivelazione di Gesù è talmente alta che nessuna interpretazione può esaurirla. Sono tuttavia possibili due scelte di fondo: una è accostare “alla pari” concettualmente “via verità vita” per poi in qualche modo ordinarle tra di loro e ovviamente o la verità o la vita saranno superiori alla via. L’altra scelta è di aderire al contesto della pericope che è un contesto di partenza, per cui la prima affermazione è che Gesù è “la via”, mentre verità e vita spiegano la prima affermazione.

La soluzione più semplice e più rispondente al vangelo sembra essere quella di mantenere la centralità di Gesù “via al Padre”. Ciò rende ragione della preparazione delle dimore celesti e soprattutto di ciò che segue immediatamente nel v. 6: «nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

Si potrebbe andare avanti a commentare, ma è preferibile attualizzare rendendosi conto della nostra situazione. Il mistero di Gesù e la sua ricchezza è di collegarci al Padre: ne siamo coscienti? Ci interessa Gesù via per andare al Padre? Siamo coscienti che vedendo/udendo le opere di Gesù nella Scrittura, nella predicazione della Chiesa, nei sacramenti “vediamo” il Padre (vv. 8-11)? Siamo coscienti nella preghiera in Cristo di rivolgerci al Padre (v. 13)? Abbiamo un giusto rapporto con le tante figure a mezzo tra noi e il Padre, cioè la Madonna, i santi, i ministri della Chiesa, Papa compreso? Non si tratta di abolirli, ma di viverli come doni del Padre per la comunione e la confidenza con Lui in Cristo, non come figure autonome, per cui il Catechismo del Concilio di Trento spiegava che se diciamo un Padre nostro a fronte della statua di un santo, l’atteggiamento giusto è di chiedergli che con noi preghi il Padre (IV, VI). Se tutto questo non è riconfigurato, le parole evangeliche passano sopra la testa, sopra l’intelligenza, non suscitano nessun desiderio o vibrazione.

Ma non perdiamo la speranza: quando le Scritture sono proclamate nella liturgia, sono unite a una speciale grazia di intelligenza e di attuazione nella vita. È il conforto di oggi.

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