25 marzo 2018
L’amore crocifisso che salva
Letture: Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mc 14, 1-15,47
Se i fatti descritti e ricordati nel lungo racconto della passione di Gesù secondo l’evangelista Marco non necessitano di commenti lunghi, conviene tuttavia al celebrante suggerire come devono essere compresi. Lungo tutta la Settimana Santa verranno proclamati molti testi assai belli ma anche molto simili e ascoltati numerose altre volte, anno dopo anno. Bisogna insistere sul fatto che se vengono ri-proclamati non è solo per rinfrescare la memoria, ma perché la Parola che essi veicolano riguarda il nostro oggi, sia personale che collettivo. Può aiutare in questa direzione la prima frase del testo del profeta Isaia che si legge nella prima lettura che potrà servire così per tutte le celebrazioni della Settimana Santa. Queste parole del profeta Isaia si possono mettere sulle labbra di Gesù: «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato» (Is 50, 4).
«Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Gesù Cristo è il Re d’Israele. Osanna nell’alto dei cieli». Questi versetti che vengono cantati all’inizio della celebrazione odierna esprimono con efficacia il significato della Settimana Santa e come essa sia tutta orientata verso il significato della Pasqua. È grazie alla potenza della sua santa resurrezione, in effetti, che Gesù Cristo è Signore per la gloria del Padre. Questi versetti ci fanno altresì intravedere nel racconto della passione l’amore infinito del Padre che vuole raccogliere l’umanità nel suo disegno originario: fare di noi suoi figli nel Figlio unico. L’evangelista Marco inizia questo racconto con un convito a Betania, non a casa di Marta e di Maria, amiche care di Gesù, ma in casa di Simone il lebbroso. Questo amico lebbroso, presso il quale Gesù si autoinvita, oggi è ciascuno di noi. Ma allo stesso tempo, ciascuno di noi è ugualmente invitato ad imitare quella donna sconosciuta che, giunta improvvisamente, fa un gesto d’amore folle versando un profumo di grande valore sul capo di Gesù. Con il vaso rotto, il profumo fuoriuscito, tutto è versato in pura perdita. Gesù vede la portata simbolica di questo gesto: «Ha compiuto un’azione buona verso di me […] Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura», ma alcuni – tra cui Giuda – che valutavano tutto in termini di denaro non compresero nulla di questo gesto d’amore: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ma non sarà certamente il profumo ad essere venduto per trecento denari d’argento, bensì Gesù stesso per trenta.
Dopo il banchetto a Betania, il racconto descrive l’ultima cena che Gesù consuma insieme ai suoi discepoli: una cena d’addio nel corso della quale Egli ci dona il suo Corpo e il suo Sangue come segno dell’Alleanza nuova ed eterna, per la remissione di tutti i peccati degli uomini. E nel corso della cena Gesù dichiara: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mania con me, mi tradirà» e ciascuno dei discepoli pone allora questa domanda, la cui eco perdura tuttora nei nostri cuori: «Sono forse io?» E risuona anche in noi il successivo e perentorio intervento di Pietro: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Ma, alcuni istanti dopo, tutti scapperanno via, impauriti, compreso un giovane che li seguiva da lontano: «Lo seguiva però un ragazzo che aveva addosso soltanto un lenzuolo e lo afferrarono. Ma egli lasciato cadere il lenzuolo fuggi via nudo». Al momento della crocifissione, non troviamo più nessuno presso Gesù se non le guardie e due malfattori e uno dei due confessa la sua fede e la sua fiducia in questo Gesù che i suoi amici hanno abbandonato, rinnegato o tradito. Al termine del racconto alcune donne stanno ad osservare da lontano e tra di esse Maria di Magdala, Maria la madre di Giacomo e Salome. Un giudeo influente, Giuseppe di Arimatea, ha il coraggio di domandare il corpo di Gesù a Pilato per deporlo all’interno di una tomba. E così, solo alcune deboli donne sono rimaste fedeli e coraggiose. San Giovanni nel racconto della passione menzionerà anche Maria, la madre di Gesù e lui stesso.
Alla fine, si tratta, così, di contemplare, con l’ausilio delle sante parole della Scrittura, Gesù in croce. Paradossalmente nel suo abbandono supremo e ultimo – «Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?», Egli ci rivela il vero volto di Dio, il suo amore incomprensibile. Perché se in Adamo apparve il peccato delle origini, il peccato di tutti, il peccato di sempre, la nostra autosufficienza, in Gesù crocifisso, umiliato, si manifesta il perdono originale di Dio, il suo perdono di sempre, il suo perdono infinito che rende all’uomo la sua dignità prima e lo fissa nella sua vocazione di figlio amato dal Padre. Per operare un tale rovesciamento, rispettando del tutto la nostra libertà, c’è stato bisogno che si identificasse con la nostra miseria in un silenzio di compassione più eloquente di ogni parola. Egli ha dovuto mostrarsi vulnerabile fino a morire. «Questo è il Figlio mio prediletto», una voce aveva dall’alto proclamato un giorno… Questa voce del Padre tace ora, ma in Gesù il sì, silenzioso e amante di Dio, trionfa sul no mortifero del nostro orgoglio, delle nostre cattiverie, delle nostre accuse. Immolando l’innocente, rifiutando l’amore, oggi ancora gli uomini cercando di uccidere Dio nel loro cuore e nella loro storia. Di fatto Gesù è morto, ma dal fondo degli inferi, unito a tutti gli uomini che lo hanno preceduto, Gesù ha fatto saltare le porte dell’inferno e ha spezzato i legami che ci tenevano imprigionati nel nostro rifiuto dell’amore.