“Studenti e libri”: ogni studente domenicano dello studio di Bologna legge un libro di un teologo contemporaneo e lo presenta ai suoi professori e ai suoi compagni. Fra Pietro Zauli offre una testimonianza sull’incontro di quest’anno.
DE LUBAC, MARROU E BUD SPENCER
Un vecchio, un giovane e una domanda
La storia è forse una delle cose più curiose che caratterizzano il nostro mondo: lungi da essere abitatrice dei copiosi libri che meticolosamente la raccontano, è un telaio di cui tutti sono parche senza che alcuno di appariscente ne tiri i fili. È un bel problema. Qual è il senso della storia? Dove attingerne il significato ultimo?
Un vecchio saggio – uno di quelli che sembrano sfingi appollaiate su arida pietra – aveva un importuno discepolo che veniva ogni giorno a interrogarlo. Una volta gli domandò: “Che cos’è la mente umana?”. Schiudendo appena i sapidi occhietti, il vegliardo rispose che la mente dell’uomo è come una città. Al che il giovane se ne andò pensoso… tornò e lo incalzò: “Che cos’è una città?” Quello gli rispose: “Una città, ben più che un grumo di case brulicanti, è la sua burocrazia”. Al che il discepolo nuovamente se ne andò pensoso. Tornò e lo incalzò: “Che cos’è la burocrazia?”. Il vecchio si crucciò, chinò il capo e lo fissò intensamente: “Il modo più sofisticato che l’umanità ha trovato per non rispondere alle domande che si pone”. Il giovane fu perplesso e chiese: “Cosa significa?”. “Significa che sono due mesi che ho chiesto un’ordinanza restrittiva… e tu sei ancora qui a romp…” Un grande apoftegma… gli uomini del nostro tempo sono squisitamente burocratici. Soprattutto su argomenti come: Il senso della storia.
Del resto, l’arte di curare il tronco fruttifero delle domande umane è una vocazione o fa parte di essa. A questo servono le vocazioni contemplative: monaci e religiosi sono la coscienza di una civiltà e il suo senso religioso vivente. Quando iniziano ad estinguersi, è segno che sta morendo la coscienza di quella civiltà.
Il nostro cammino di ricerca
Ma come tutti i cammini che meritino di essere intrapresi, necessitano di guide spirituali che, come lanterne, illuminino l’inerpicarsi della via. È stato per mano ai grandi del pensiero teologico dello scorso secolo che noi frati studenti domenicani abbiamo potuto assaggiare il punto di fuga di questa ricerca: Qual è il senso della storia?
Padre Marco Rainini op, il reggente degli studi, ha aggiustato l’ordine degli interventi recensivi di ciascun libro, quasi sviluppando un discorso unitario. E con saggezza di metodo ha iniziato proprio da quegli autori che vanno alla radice del problema. Infatti, come in ogni impresa che si rispetti, non basta essere ben accompagnati, bisogna essere onesti e riconoscere i propri limiti: è possibile all’uomo arrivare ad un simile senso? Nel momento in cui si spremono le proprie meningi per distillare sugosi pensieri in merito, ci si rende immediatamente conto di una ineluttabile verità: 1. La storia è un processo e come tutti i processi può essere giudicato solo alla fine. 2. Noi facciamo parte di questo processo e fin quando respireremo, potremo nutrire la più serena certezza che questo processo non sia ancora finito. Ha ragione lo storico Henri Marrou: per noi è impossibile trascendere la storia.
La luce nel tunnel
Ma qualcosa può essere impossibile in due modi: o assolutamente o relativamente. Il primo caso è l’assurdità: solo il contraddittorio è semplicemente impossibile. Vi è, tuttavia, un’impossibilità relativa che pertiene quindi solo ad alcuni soggetti. Ad esempio, io non posso battere le ali, perché non ho le ali, ma vi assicuro che vicino alla cappella di studentato vi è un gruppo di ronzanti piccioni che lo fanno disperatamente in barba alle proteste degli oranti. Ora, se fosse impossibile in assoluto trascendere la storia, non significherebbe dire che certi esseri non possono, ma che nessuno può, il che implica dire che non ci sia nulla che la trascenda e che, quindi, la trascendenza sia in un’ultima analisi impossibile. Lungi da noi! Il fatto stesso che ci riconosciamo limitati ne è una eloquente prova: se comprendo di avere un limite, riconosco che vi è qualcosa al di là del mio limite, perché se non vi fosse nulla, nullo sarebbe il limite ed io sarei tout cour illimitato.
L’abbondante caffè che consumo tutte le mattine mi dice proprio il contrario.
La quarta navigazione
Forse è così, forse noi non possiamo uscire dalla bolla storica che ci ‘racchiude’, ma questo non significa che nulla possa entrare. È con autori come De Lubac, Cullmann e Congar che abbiamo esplorato questa possibilità. Se si intende la filosofia come un sapere la cui origine sia totalmente umana non si può cogliere il vertice complessivo dello scorrere dei tempi. L’unica cosa che possiamo cogliere è al massimo l’esistenza di una Provvidenza, di un esodo dalla morte e di una nostra radicale responsabilità nello svolgersi del mondo. Già gli antichi lo insegnavano. Ma i più illuminati fra essi aggiungevano una straordinaria verità: “Di qua non si esce: o il vero della toccata questione alcuno lo apprende da altri, o ritrovalo da sé medesimo; e se ciò non può essere, ha da accettare uno de’ ragionamenti degli uomini, quello più probabile e meno facile a rigettare, e su quello come su una zattera passare in pericolo il mare della vita: salvo che non possa fare securamente e francamente suo viaggio su più saldo navilio, cioè riposando in un ragionamento di Dio” (Platone, Fedone).
Una filosofia della storia non può che essere la vaga intuizione del disegno. Ma la sua visione complessiva può darcela soltanto una teologia della storia e di qui tutta la riflessione sui sacramenti che ci è stata proposta alla luce di Edward Schillebeeckx, quando ancora aveva un po’ di senno e scriveva Cristo sacramento dell’incontro con Dio. Il sacramento è anzitutto un incontro, il che implica che prima dell’oggetto in sé in esso deve essere scorto Colui che ci incontra, il Donante prima che il dono. Un incontro, però, che è con l’Eterno e quindi con ciò che trascende il tempo. Ah e questo come risolverebbe i problemi? Forse che non vi è una storia della teologia e che i sacramenti non sono fatti storici? Sembra che siamo al medesimo punto di partenza.
La saggezza di Bud Spencer
Sono sempre quei grandi teologi a renderci una visione più lucida: la teologia della storia non potrebbe restituirci il senso e il peso complessivo di ogni azione morale o catastrofe naturale, minima o eclatante, che germoglia nella vicenda umana. Per quanto talvolta alcuni sedicenti teologi sembrino tirare ad indovinare, essi non sono degli indovini. Il significato ultimo di un singolo episodio potrebbe essere al massimo oggetto di una rivelazione privata, la quale, perciò, non è propriamente teologia, cioè una riflessione dell’intelligenza sui contenuti della fede, ma essa stessa è un contenuto di fede, per quanto eccezionale, posto che il credente non è obbligato dalla Chiesa ad aderirvi.
Il segreto della storia consiste nell’interfacciarsi con il suo archetipo: Gesù Cristo. Egli è il centro ed è la chiave per poterla leggere, il suo significato ultimo. In quanto Dio al di là del tempo e in quanto uomo perfettamente inserito in esso. Il sacramento visibile di Cristo? Ecco cosa sappiamo: la Chiesa è quel mistero per il quale si prolungano i misteri di Salvatore. La presenza della Chiesa sul mondo dice l’Incarnazione, le persecuzioni manifeste e taciute continuano la Passione, la sua Liturgia è Risurrezione ed Ascensione. La storia sarà compiuta quando si sarà compiuto il Mistero della Chiesa di Cristo che, come il Suo Sposo, siamo certi dovrà morire e risorgere. Frattanto, come mi ha sapidamente indicato un confratello, un grande del nostro tempo, seppur indotto teologo, ha riassunto mirabilmente il nocciolo della questione: “Io devo credere che c’è una Persona, che nel mio caso è Dio, perché dal momento che io, da adulto, capisco che siamo in un mare proprio di… di cose enormi, più di noi, io mi debbo attaccare a Dio, io mi devo attaccare a Quello, con la speranza che, dal momento che Lui mi chiama, capisco tutto, perché oggi non si capisce niente” (Bud Spencer).