Pubblichiamo l’omelia di S.E. Mons. Jan Romeo Pawłowski, Segretario per le Rappresentanze Pontificie, tenuta in occasione dell’ordinazione di sette presbiteri e di tre diaconi domenicani il 18 giugno 2022.

Oggi è sabato, 18 giugno dell’anno del Signore 2022. Il sole si è levato qui a Bologna alle ore 5.28 e tramonterà alle 21.01. È il 169° giorno dell’anno. È l’anniversario della sconfitta, nel 1815, di Napoleone a Waterloo; nel 1836 in Italia è stato costituito il corpo dei Bersaglieri; nel 1989 la Birmania viene denominata Myanmar. I giornali ci hanno offerto alcune notizie, dominate da quelle riguardanti la guerra in Ucraina. Nella liturgia della Chiesa questo giorno si celebra la memoria di San Gregorio Barbarigo ed alcuni altri Santi di culto locale.

Si direbbe dunque: un giorno normale, nulla di straordinario. È vero, ma non per tutti. Perché per voi, cari fratelli Adriano, Giuseppe e Marco e voi cari fratelli diaconi Claudio, Danish, Francesco, Paolo, Pier Giorgio, Salvatore e Stefano, è un giorno straordinario, irripetibile, unico ed oserei dire sacrosanto. Giorno del vostro sposalizio.

Ecco, dopo alcuni anni di formazione, siete stati giudicati degni di ricevere in dono la partecipazione al sacerdozio di Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote: i primi tre al primo grado del Sacramento dell’Ordine, cioè il diaconato e gli altri sette al secondo grado, cioè il presbiterato. Con quest’ultimo vi sposate oggi con la Santa Chiesa di Cristo, offrite la vostra vita nelle mani del Signore. Com’è grande questo mistero e dico bene mistero: che un uomo come voi possa entrare in un’unione profonda con Gesù e con la Sua Chiesa.

Nelle Lettere dimissorie che avete ricevuto dal vostro Priore Provinciale, il caro padre Daniele, vi è stato comunicato che siete in possesso dei requisiti richiesti per accedere all’ordinazione. Invece, poco fa ho chiesto ancora al medesimo Priore Provinciale: sei certo che ne siano degni? Lui mi ha detto di , assicurando di aver raccolto il giudizio del popolo cristiano e dei vostri formatori.

Caro fratello, vorrei parlare al tuo cuore, come un padre parla a suo figlio nei momenti di particolare importanza: ma davvero sei degno di essere ordinato diacono, presbitero?

So che ti sei posto molte volte questa domanda: ma sono degno? Si potrebbe rispondere: no, non sei degno … non siamo degni, né io di essere Vescovo, né i tuoi confratelli di essere sacerdoti, né tu di diventare diacono o presbitero. Secondo i criteri umani non siamo degni.

Nella Chiesa tutto è grazia, grazia che proviene da Cristo. Ed è la Chiesa Sposa e Madre che ti giudica degno spiritualmente di ricevere questa grazia.

A una condizione … che tu lo voglia. Non sei obbligato, costretto. Tra poco ti interrogherò davanti al Popolo di Dio, invocando a testimoni tutti i Santi, e la Chiesa intera, ti interrogherò: vuoi?

E tu mi risponderai: Si, lo voglio.

E dopo metterai le tue mani nelle mie e prometterai l’obbedienza al Vescovo diocesano e al tuo legittimo Superiore.

Tutto ciò non sarà una pura formalità. Da parte tua, sarà un impegno serio, gravoso, per tutta la vita; un impegno preso con Cristo stesso e con la Sua Chiesa. Per questo motivo, ricordati sempre di questo giorno, 18 giugno 2022.

Questi impegni, queste promesse, sono qualcosa di vitale per te … non ad tempus, per qualche anno, ma per tutta la vita. Possiamo dire che metterai le tue radici nell’eternità. Ricordati di questi impegni!

Quanti diaconi, preti, ed anche Vescovi si sono scordati di tali impegni, o li hanno sottovalutati. Ed è per questo che ci sono coloro che vogliono che la Chiesa cambi il proprio insegnamento, che abolisca il celibato, che sia più flessibile nell’obbedienza, che abbandoni l’obbligo della Liturgia delle ore, che ci sia più democrazia nella Chiesa, che si prenda esempio dalle aziende, dalle organizzazioni multinazionali …

Sentiamo, anche nei nostri tempi queste voci …

Sono voci di coloro che la Chiesa ha interrogato come lo farà con te: Vuoi? Niente forza, costrizione, obbligo, ma: vuoi?

Però se ci impegniamo con quel sì, lo voglio, sì, lo prometto, dobbiamo esserne fedeli, fino alla morte. Se vediamo che non ce la possiamo fare, chiediamo la dispensa al Successore di Pietro.

Non cerchiamo di coprire le nostre colpe, insufficienze, peccati con il grido presuntuoso che la Chiesa di Cristo deve essere riformata, cambiata secondo la nostra povera umana somiglianza e immagine.

Carissimi tutti, per una santa coincidenza, voluta dalla Provvidenza di Dio, stiamo svolgendo questo sacro rito entrando ormai nella celebrazione della Solennità del Corpus Domini, cioè del Corpo e del Sangue del nostro Signore.

Venerando il Santissimo Corpo e Sangue di Gesù, siamo qui in questo cenacolo, dove la presenza eucaristica del Signore, istituita il Giovedì Santo, si unisce intimamente con il sacerdozio ministeriale che lo stesso Signore ha voluto istituire nella medesima circostanza.

Il diacono ed il sacerdote sono intimamente uniti all’Eucaristia, sono uomini dell’Eucaristia. Anche se celebreranno gli altri sacramenti per il bene dei fedeli, l’Eucaristia resterà per sempre il centro della loro vita. Sarà per loro quel fons et culmen, come la definisce il Concilio Vaticano II, fonte e culmine di tutta la loro attività, della loro esistenza.

Scriveva San Giovanni Paolo II: «Nel suo strato più profondo, ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero, è un dono che supera infinitamente l’uomo. Ognuno di noi sacerdoti lo sperimenta chiaramente in tutta la sua vita. Di fronte alla grandezza di questo dono sentiamo quanto siamo ad esso inadeguati».

Dunque, ricevete questo grande dono, consapevoli del mistero del sacerdozio e della vostra inadeguatezza. Solamente in questo modo sarete capaci di diventare servi dell’Eucaristia e servi del Popolo santo di Dio.

Nella Chiesa – e lo stesso vale naturalmente per l’Ordine domenicano di cui fate parte – essere ministri, significa essere servi, anzi più che servi, schiavi. Sì, perché i servi nell’antichità avevano almeno alcuni diritti, ma lo schiavo era colui che non aveva nessun diritto, era semplicemente schiavo, un nessuno.

È duro e difficile tale programma di vita, questa modalità del servizio. È vero, ma non impossibile!

Il Signore ci ha detto che per imparare a servire, ci dobbiamo mettere in ginocchio davanti all’umanità: lavare i piedi, diventare servi e schiavi. È proprio lì che possiamo incontrare Lui, essere da Lui sostenuti, accompagnati nel servizio. Perciò essere suoi amici vuol dire tornare nel Cenacolo, per servire e cibarsi della sua santa Presenza.

Il Vangelo di oggi (Lc 9,11-17) ci parla di coloro che hanno aiutato Gesù nel compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani. Essa era in qualche maniera l’anticipazione del banchetto eucaristico: cosa fanno i futuri sacerdoti, i discepoli di Cristo? Notano il bisogno (non hanno da mangiare) e propongono una soluzione (mandali nei villaggi per mangiare e pernottare).

È importante che la Chiesa e i suoi ministri notino, vedano i bisogni della gente, ma è ugualmente importante che portino tali problemi a Gesù, che abbiano l’umiltà di riconoscere che forse le nostre soluzioni umane sono troppo deboli, inadeguate!

Indicare Gesù, portare la gente da lui, non avere tutte le soluzioni filosofiche, teologiche e pastorali, ma cercarle presso Gesù. Questo è il ruolo del servo, dello schiavo.

Tra poco sarete sdraiati sul pavimento. Quel rito, durante il quale invocheremo su di voi l’assistenza di tutti i santi, dovrebbe ricordare a noi sacerdoti che dobbiamo diventare il pavimento che viene calpestato, un ponte, una strada sulla quale il popolo cammina verso Gesù.

Poi, negli altri Vangeli, nella descrizione di questo medesimo miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, emerge un ragazzo che li ha portati nel proprio sacco, nel suo zaino. Ecco il ruolo di voi diaconi.

Apparentemente sembra un ruolo poco importante, quasi da non notare, ma Gesù si serve di questo aiuto discreto, di questa anticipazione del banchetto, pronta nello zaino di quel ragazzo. Cari diaconi, siate sempre pronti a questo servizio essenziale di preparare, di pensare prima, di offrire generosamente la vostra vita nelle mani miracolose di Gesù.

Scusate carissimi fedeli, se questa mia omelia ed esortazione è stata quasi tutta indirizzata a loro che tra qualche istante diventeranno diaconi e presbiteri. È il loro giorno, il loro sposalizio, la loro festa. Tuttavia, credo che tutti quanti qui presenti, tutti noi abbiamo potuto trovare in queste parole qualcosa del nostro, qualcosa per noi.

Mi rivolgo a voi tutti, almeno alla fine, e vi prego, vi supplico: pregate per questi diaconi e presbiteri. Pregate molto, affinché siano fedeli alle promesse, agli impegni. Che non diventino mai traditori di Cristo, servi di loro stessi. E pregate per tutti noi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, affinché sappiamo il senso del servizio, affinché cerchiamo sempre il bene della Chiesa.

L’unica vera riforma della Chiesa è quella di renderla sempre più bella, più santa. Lo si fa in ginocchio, attraverso la preghiera.

Ci volete bene? Pregate per noi!

Ci aiuti Maria, la Madre Santissima di Dio. Interceda per voi e per noi tutti il vostro Santo Patrono, San Domenico, sepolto in questa Basilica, che invochiamo con le parole della Bolla della sua canonizzazione: Possa il Dio ch’egli onorò da vivo, per intercessione delle sue preghiere, darci la sua grazia in questa vita e la sua gloria in quella futura. Amen.