Salamanca, 1-4 settembre 2016
Il Capitolo Generale di Trogir, del 2013, aveva esortato l’Ordine dei Frati Predicatori ad includere nel Programma delle Celebrazioni Giubilari una approfondita riflessione sulle sfide contemporanee dei Diritti umani che si inscrivesse nell’eredità della riflessione di Francisco De Vitoria, Domingo De Soto e gli altri grandi maestri della Scuola di Diritto di Salamanca, fiorita nel XVI secolo grazie alla sinergia unica creata con i missionari spagnoli dell’epoca, tra i quali Bartolomé de Las Casas e Antonio de Montesinos. Grazie alla perseveranza di fra Mike Deeb, promotore di Giustizia e Pace dell’Ordine e dei suoi collaboratori, dal 1 al 4 settembre 2016, oltre duecento partecipanti tra frati, suore, monache e laici domenicani, provenienti da cinquanta paesi del mondo dei quattro continenti, hanno rianimato il magnifico e monumentale convento di San Esteban di Salamanca, ritrasformandolo in cuore pulsante della riflessione sull’impegno dell’Ordine nella difesa e promozione dei diritti umani, quale elemento costitutivo nell’opera di evangelizzazione.
Rispetto al XVI secolo, l’impressione è però che gli equilibri mondiali, almeno a livello di Ordine, si siano capovolti: ora sono i domenicani dei “Nuovi Mondi” (America Latina, Estremo Oriente e Africa sub-sahariana) in prima linea nella promozione dei diritti umani, sovente minacciati da fenomeni frutto di una globalizzazione economica che è spesso causa strutturale di ingiustizie sociali, oltre che di catastrofici effetti “collaterali” sull’ambiente. Nella vecchia Europa si sente ancora dire, da fior di teologi, che quella di Giustizia e Pace è una vecchia battaglia sessantottina, un hobby per nostalgici negligenti nella “predicazione dottrinale”… A Salamanca non ci si è attardati più di tanto in questo dibattito ozioso, ma ci si è limitati a rispolverare un passaggio del Sinodo dei Vescovi del 1971 (“preistoria post-conciliare”), che ricordava come : «…l’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo…» [Sinodo dei Vescovi 1971, La giustizia nel mondo, n.6].
Il congresso di Salamanca è stato, dunque, prima di tutto, una formidabile occasione per venire a contatto diretto con tante persone e attraverso di loro con tante situazioni in cui nel mondo milioni di esseri umani soffrono in modo inaudito: in Irak e in Medio Oriente, in Cina e nelle Filippine, in Burundi e in Congo, in Colombia e in Brasile, ma anche nel Nord opulento di un mondo segnato dalle migrazioni di tanti disperati. Poter parlare con testimoni diretti di situazioni di ingiustizia, di violenza e di sofferenza e poter conoscere le attività, l’impegno e la dedizione di molti sulle nuove ‘linee di frattura’ del nostro mondo, ha accresciuto la consapevolezza che la nostra chiamata oggi, nello spirito del carisma domenicano, ci obbliga a ripensare una teologia che parta dall’ascolto, prima di farsi proposta ed insegnamento! Proprio in questa direzione è andato anche l’invito del Maestro dell’Ordine, fra Bruno Cadoré, che ha tra l’altro ricordato come non si tratti tanto di essere “predicatori dei diritti umani” ma piuttosto di continuare ad essere predicatori del Vangelo a partire dalla promozione dei diritti umani. Una promozione che non potrà mai ridursi all’affermazione di un principio teorico ma che consiste nell’articolazione della libertà di ciascun soggetto di diritto con l’iscrizione di quest’ultimo nella realtà di una dimensione che lo supera, chiamata “bene comune”.
Una tra principali preoccupazioni del Congresso è stata la ricerca di vie per porre in atto “il processo di Salamanca” oggi: un’idea che richiama l’Ordine nelle sue varie componenti a porre in relazione in modo nuovo l’esperienza diretta di tanti che lavorano e s’impegnano nel contatto diretto con i poveri e gli esclusi in molte parti del mondo e la riflessione teologica vissuta in ascolto delle vittime e della testimonianza di coloro che vivono una concreta solidarietà e vicinanza con esse. Questa preoccupazione è stata declinata al cuore di diversi gruppi di lavoro tematici: a) Giustizia e Pace (GP) e predicazione; b) GP e istituzioni accademiche domenicane; c) GP e lavoro di sensibilizzazione in seno alle Nazioni Unite; d) GP e risoluzioni dei prossimi Capitoli Generali; e) GP e formazione iniziale domenicana di frati, suore e laici.
Aver partecipato a queste intense giornate è stata un’occasione per riannodare con il carisma domenicano inteso come passione per il Vangelo al cuore di una storia che cambia e di un mondo complesso. Conoscere tanti testimoni, persone spesso umili e forti che operano in realtà difficili e sconosciute ai più, è un’ottima occasione per rinnovare la speranza al cuore del proprio impegno quotidiano, perdendo quell’automatismo che rischia talvolta di farci diventare degli “impiegati della vita consacrata”. La convinzione è anche che nelle nostre comunità dovrebbero cambiare certi stili di vita e certe dinamiche di condivisione per rinnovare lo slancio sia nel servizio intellettuale sia nella testimonianza concrete.
di fra Claudio Monge