Con il permesso del vescovo di Macerata S.E.R. Mons. Nazzareno Marconi, pubblichiamo il presente articolo originariamente uscito su avvenire.it (fonte).

Spunti e indicazioni ispirati dalla preghiera. L’incontro di Pietro e Giovanni con lo storpio alla porta Bella del tempio e l’esempio di Margherita da Città di Castello.
Siamo in un tempo di preparazione all’inizio del cammino sinodale della Chiesa universale, in cui si inserisce quest’anno il cammino comune delle Chiese locali italiane. Come uso fare in questi casi, ho cercato di dedicare un particolare impegno di preghiera per chiedere al Signore una Parola e un esempio di santità, che mi aiutassero a mettermi in sintonia con questo evento di Chiesa. La Chiesa cammina sempre sulle orme della Parola di Dio e dei Santi, questa è la mia fede semplice. Una Parola. La Parola che mi è risuonata nel cuore è stata: l’incontro di Pietro e Giovanni con lo storpio alla porta Bella del tempio (Atti 3,1-10). Debbo confessare che ho capito solo pian piano il messaggio di questo testo sul nostro tempo, sono un vescovo dalla dura cervice e fatico a capire il pensiero del Signore. In questo brano di Atti la Chiesa, sia nella sua istituzione (Pietro) che nei suoi membri più carismatici (Giovanni), incontra l’umanità (lo storpio). L’umanità è paralizzata, sta ancora abbastanza vicina a Dio, sta infatti presso la porta del tempio, ma non riesce a entrare. L’umanità, bloccata nel suo cammino verso Dio, cerca ‘oro e argento’, crede così di risolvere i suoi problemi. D’altra parte sono gli stessi amici dello storpio che l’hanno portato lì a spingerlo a chiedere l’elemosina. Questa visione tutta centrata su ‘oro e argento’ è purtroppo molto diffusa. Anche Pietro e Giovanni, che vorrebbero fare qualcosa per l’uomo storpio e non semplicemente passare dall’altra parte, come facevano i primi due nella parabola del samaritano, si trovano con le tasche vuote. Anche loro ragionano di ‘oro e argento’. La Chiesa, se pensa di servire la salvezza del mondo seguendo le logiche del mondo, quelle di un’elemosina che riempie la pancia, ma non salva tutto l’uomo, si sperimenterà povera di mezzi e di idee come e più di chi vorrebbe salvare. «Ma ciò che ho te lo dono. Nel nome di Gesù, alzati e cammina!». La Chiesa deve invece ragionare guardando in alto e guardandosi dall’alto. Senza timore di dichiarare la sua povertà umana, cosciente della sola ricchezza che ha: la Chiesa può chiamare Gesù per nome e può condividere con ogni uomo questo legame d’amore che la lega al Cristo. Non dobbiamo temere di essere così diversi da quanto la mano tesa del mondo ci chiede. Non possiamo immaginarci salvatori secondo le logiche del mondo. Daremmo al mondo il contenuto delle nostre tasche semivuote e non condivideremmo l’unico tesoro prezioso che possediamo: la comunione col Signore. Cristo non si trasmette però all’umanità con una proclamazione asettica, ma solo mettendoci di mezzo, con tutti noi stessi. Pietro infatti prende lo storpio per mano, lo alza di peso, lo sorregge finché le caviglie dello storpio non si irrobustiscono, finché questo non tenta di fare i primi passi. Agendo così, non solo lo storpio, ma anche Pietro e Giovanni possono finalmente entrare con gioia nel tempio «camminando, saltando, lodando Dio». Forse noi Chiesa di oggi siamo così tristi e demotivati, entriamo spesso nel tempio con la faccia del funerale, perché dobbiamo avvicinarci di più allo storpio, ascoltare il suo grido, proclamare la nostra fede, e afferrarlo per farlo pian piano camminare. «Se non salvi nessuno, non ti salvi» mi insegnava il mio vecchio parroco. A mano a mano che invecchio, anch’io sento tutto il senso di questa verità: ‘Sinodo’ vuol dire che verso la salvezza, o si cammina insieme, o non si va da nessuna parte. Questa è la parola che Dio mi ha dato e che sto cercando di balbettare, ripetendomela in cuore per capire e per vivere bene un Sinodo che sia ‘un santo Sinodo’ e non solo un evento segnato sul calendario. Una Santa. Poi, sempre con la delicatezza che ha con me, il Signore mi ha fatto scontrare con una Santa che conosco dall’infanzia: Margherita da Città di Castello, vissuta a un passo da casa mia, ma che forse per la prima volta solo oggi ho visto davvero bene. Alla luce delle mie domande sul Sinodo l’ho vista tutta nuova, tanto inaspettata, davvero una sorpresa. Dio ama i paradossi. Lo so da tempo. E per trovare un Santo che mi illuminasse il cammino del Sinodo, mi ha messo di nuovo davanti agli occhi una Beata morta nel 1320, che però è diventata santa solo pochi mesi fa, a 700 anni esatti dalla morte. Santa Margherita da Città di Castello potrebbe essere davvero la Santa di questo inizio di Sinodo. Papa Francesco ha delle intuizioni spirituali che lui stesso ammette di comprendere solo pian piano. Margherita l’ha canonizzata ‘di corsa’ dopo 700 anni, con una canonizzazione per equipollenza che si usa davvero di rado, solo 7 sulle quasi 900 canonizzazioni normali fatte da questo Papa. Forse lo Spirito Santo ha voluto darci una Santa per il Sinodo, proprio mentre ci stavamo dimenticando di chiederla? La prima cosa interessante è che una ‘canonizzazione equipollente’ è l’ammissione solenne che il Papa fa del fatto che: il popolo santo di Dio, con il suo sensus fidei, aveva da 700 anni capito e deciso positivamente sulla santità di Margherita. Ora lo riconosce anche il Papa! Se il Sinodo deve aiutare la Chiesa a imparare come valorizzare il sensus fidei del popolo di Dio, forse abbiamo trovato la Santa adatta. Margherita ha una vita troppo bella perché la si possa riassumere in poche righe. Per ora traccio qualche abbozzo, in futuro potrò tornarci meglio e spero che altri lo facciano con profondità e sapienza. Mi piace l’idea che sia una Santa e non un Santo, una laica consacrata a Dio in una vita normale e non un componente del clero. Ma con lei si va verso periferie molto più ardite di queste: quella delle persone disabili di cui giustamente si propone di farla Patrona. Santa Margherita era storpia e cieca dalla nascita, eppure divenne guida spirituale nel cammino della fede per tanti e fu capace di una tale visione dei misteri di Dio che un faro di contemplazione e spiritualità, anche se un po’ ‘fuori dalle righe’ come Ubertino da Casale, le attribuisce l’ispirazione della parte più significativa della sua opera ‘ Arbor vitae’. A una Chiesa che vuol iniziare un cammino sinodale, appare una storpia che fatica a camminare. A un Papa che ci invita a una nuova visione della Chiesa e della sua missione di annuncio al mondo, si presenta una cieca dalla nascita. Sono quei paradossi evangelici che spesso compaiono, come santa Teresa di Lisieux, monaca di clausura eppure protettrice delle missioni. La vita di Margherita, rinchiusa dai genitori che si vergognavano di lei per le sue inabilità, fiorì nella fede fin dai primi anni. Lei che non poteva leggere imparò a mente tutto il Salterio e buona parte del Vangelo, diventando da adulta maestra della fede per i semplici, che nutriva con queste preziose sorgenti della Scrittura. Lei che non poteva vedere il mondo, imparò ad ascoltare così attentamente Dio e gli uomini, che pareva capace di vedere nei cuori. Quando i genitori, delusi perché cecità ed altri handicap si aggravavano sempre di più, la abbandonarono adolescente a una vita da mendicante, proprio negli anni in cui la Chiesa scopriva il valore degli Ordini Mendicanti, Margherita trovò una famiglia di buoni cristiani che la accolsero in casa. Anche i padri domenicani la ospitarono volentieri in chiesa per la messa quotidiana e la confessione frequente, accogliendola poi nel gruppo delle Mantellate. Come santa Caterina da Siena, Margherita fu una laica che apparteneva a questo gruppo di terziarie che seguivano la regola di san Domenico. Lei rifiutata e scartata insegnò a non rifiutare e non scartare nessuno: una lezione ancora tanto attuale. A una Chiesa che cerca di aprirsi all’evangelizzazione come comunità che tutta annuncia e serve il Vangelo: uomini e donne, laici, consacrati e clero; Margherita testimonia che tutti, davvero tutti, possono diventare annunciatori di Cristo, testimoni del suo Vangelo. Parola di Dio, preghiera, santa Messa e confessione frequente assieme a tutta la carità che la sua condizione di persona disabile le permetteva di fare, furono i mezzi semplici della sua santificazione. Davvero la via della santità è aperta a tutti. Infine dentro il cuore di questa giovane, morta a 33 anni senza famiglia, ma vissuta davvero al centro della famiglia della Chiesa, verranno miracolosamente trovate le immagini di Gesù, Maria e Giuseppe. A una Chiesa che nel Sinodo vuol meglio comprendere come mettere la famiglia al centro della pastorale e della vita della comunità cristiana, appare una ‘senza famiglia’ che aveva letteralmente la Santa Famiglia nel Cuore. Non so dire meglio come nella intera vicenda umana e spirituale di santa Margherita da Città di Castello brilli un dono per il Sinodo, che non dovrebbe essere sprecato. Vescovo di Macerata]]>